Jacques Monod (1910-1976), biologo e filosofo della scienza, è noto soprattutto per essere l’autore dell’opera Il caso e la necessità (1970). In questa lettura egli prende posizione a favore degli empiristi contro l’innatismo, precisando però che il concetto di esperienza non deve riguardare solo un individuo, ma tutta la specie umana nel corso dell’evoluzione.
J. Monod, La biologia molecolare, Newton Compton, Roma, 1977,
pagg. 42-44
Queste scoperte danno dunque ragione, in un senso nuovo, a Cartesio e a Kant contro l'empirismo radicale che, malgrado ciò, continua a regnare in campo scientifico da duecento anni, gettando il sospetto su qualsiasi ipotesi che presupponga l’“innatismo” degli schemi conoscitivi. Ancora oggi alcuni etologi sembrano legati all'idea che gli elementi del comportamento negli animali sono o innati o appresi, e ciascuna di queste due modalità esclude assolutamente l'altra. Tale concetto è del tutto erroneo come è stato efficacemente dimostrato da K. Lorenz. Quando il comportamento implica elementi acquisiti dall'esperienza, questi elementi sono tali in quanto seguono un programma che è il solo a essere innato, cioè geneticamente determinato. La struttura del programma richiede e guida l'apprendimento, che si inscriverà in una certa “forma” prestabilita, definita nel patrimonio genetico della specie. Cosí si deve indubbiamente interpretare il processo di apprendimento primario del linguaggio nel bambino. Non c'è nessun motivo di supporre che non si verifichi la stessa cosa per le categorie fondamentali della conoscenza nell'uomo, e forse anche per moltissimi altri elementi del comportamento umano, meno fondamentali, ma di enorme significato per l'individuo e la società. In teoria tali problemi sono accessibili alla sperimentazione e gli etologi ne compiono di simili ogni giorno. Si tratta, in effetti, di esperimenti crudeli, che sarebbe impensabile praticare sull'uomo o sul bambino. Cosí, per rispetto verso se stesso, l'uomo non può che impedirsi di esplorare alcune strutture costitutive del suo essere.
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Tuttavia, in un senso tutt'altro che trascurabile, i grandi empiristi del XVIII secolo avevano ragione. È perfettamente vero che, negli esseri viventi, tutto deriva dall'esperienza, compreso l'innatismo genetico, sia quello riguardante il comportamento stereotipato delle api oppure quello degli schemi innati della conoscenza umana. Ma non si tratta dell'esperienza reale che si rinnova per ogni individuo, a ogni generazione, bensí di quella accumulata dall'intera ascendenza della specie nel corso della sua evoluzione. Solo quest'esperienza attinta a caso, solo questi innumerevoli tentativi, severamente selezionati, poterono far sí che il sistema nervoso centrale, come qualsiasi altro organo, si adattasse alla sua funzione particolare. Nel caso del cervello si trattava di dare, del mondo sensibile, una rappresentazione che si adeguasse alle prestazioni della specie, di fornire lo schema che consentisse di classificare in modo efficace i dati di per sé inutilizzabili dell'esperienza oggettiva e perfino, nell'uomo, di simulare soggettivamente l'esperienza per anticiparne i risultati e predisporre l'azione.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. IV, pagg. 910-911