L'idea hegeliana di stato sorge da una filosofia in cui la concezione liberale dello stato e della società è quasi completamente tramontata.
Abbiamo visto che l'analisi fatta da Hegel lo condusse a negare ogni armonia "naturale" tra l'interesse particolare e l'interesse generale, tra la società civile e lo stato. L'idea liberale dello stato veniva così demolita.
Affinché lo schema dell'ordine sociale costituito non venga infranto l'interesse comune deve dipendere da un'istituzione autonoma e l'autorità dello stato deve essere posta al di sopra del campo di battaglia tra gruppi sociali in concorrenza. Lo stato "deificato" di Hegel non può in nessun modo essere messo a confronto con quello fascista. Quest'ultimo, infatti, rappresenta proprio quel livello dello sviluppo sociale che lo stato di Hegel doveva evitare, cioè il dominio diretto e totalitario sull'insieme da parte di interessi particolari.
In un regime fascista la società civile domina lo stato, mentre lo stato di Hegel domina la società civile. E in nome di chi e che cosa esso domina tale società?
Secondo Hegel, in nome del libero individuo e del suo vero interesse. "L'essenza dello stato moderno consiste nell'unione dell'universale con la completa libertà del particolare e con il benessere degli individui".
La principale differenza tra il mondo antico e il mondo moderno sta nel fatto che in quest'ultimo i grandi problemi della vita umana devono essere decisi non da qualche autorità superiore, ma dalla libera volontà dell'uomo. "Questa volontà deve avere la sua nicchia particolare nella grande costruzione dello stato".
Il principio fondamentale di questo stato consiste nel pieno sviluppo dell'individuo. La sua costituzione e tutte le sue istituzioni politiche devono esprimere "la conoscenza e la volontà degli individui".A questo punto, tuttavia, la contraddizione storica immanente alla filosofia politica di Hegel ne determina il fato. L'individuo che riconosce e desidera il suo vero interesse nell'interesse comune semplicemente non esiste.
(H. Marcuse,
Ragione e rivoluzione, Il Mulino, Bologna 19684, 244-245).