Nelle macchine
il lavoro oggettivato si contrappone materialmente al lavoro vivo come il potere
che lo domina e come attiva sussunzione di esso sotto di sé: non solo in quanto
se ne appropria, ma nello stesso processo di produzione reale. Il rapporto di
capitale come valore che si appropria l'attività valorizzante è posto, nel
capitale fisso, che esiste sotto forma di macchine, nello stesso tempo come
rapporto tra valore d'uso del capitale e valore d'uso della forza- lavoro. Il
valore oggettivato nelle macchine si presenta inoltre come una premessa rispetto
alla quale la forza valorizzante della singola forza-lavoro scompare come
qualcosa di infinitamente piccolo; con la produzione in masse enormi, che è
posta con le macchine, scompare altresí, nel prodotto, ogni rapporto al bisogno
immediato del produttore e quindi al valore d'uso immediato (...).
L'accumulazione della scienza e dell'abilità, delle forze produttive
generali del cervello sociale, rimane così, rispetto al lavoro, assorbita nel
capitale, e si presenta perciò come proprietà del capitale, e più precisamente
del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo produttivo come
mezzo di produzione vero e proprio. Le macchine si presentano così come la forma
più adeguata del capitale fisso, e il capitale fisso, se si considera il
capitale nella sua relazione con se stesso, come la forma più adeguata del
capitale in generale.
(...) In quanto poi le macchine si sviluppano con
l'accumulazione della scienza sociale, della produttività in generale, non è nel
lavoro, ma nel capitale che si esprime il lavoro generalmente sociale. La
produttività della società si commisura al capitale fisso, esiste in esso in
forma oggettiva e, viceversa, la produttività del capitale si sviluppa con
questo progresso generale che il capitale si appropria gratis. Qui lo sviluppo
delle macchine non va esaminato in dettaglio, ma solo sotto l'aspetto generale
per cui nel capitale fisso il mezzo di lavoro, dal suo lato materiale, perde la
sua forma immediata e si contrappone materialmente, come capitale, all'operaio.
La scienza si presenta, nelle macchine, come una scienza altrui, esterna
all'operaio: e il lavoro vivo si presenta sussunto sotto quello oggettivato, che
opera in modo autonomo. L'operaio si presenta superfluo, nella misura in cui la
sua azione non è condizionata dal bisogno del capitale.
(...) Nella stessa
misura in cui il tempo di lavoro - la mera quantità di lavoro - è posto dal
capitale come unico elemento determinante, il lavoro immediato e la sua quantità
scompaiono come principio determinante della produzione - della creazione di
valori d'uso - e vengono ridotti sia quantitativamente a una proporzione esigua,
sia qualitativamente a momento certamente indispensabile, ma subalterno,
rispetto al lavoro scientifico generale, all'applicazione tecnologica della
scienze naturali da un lato, e rispetto alla produttività generale derivante
dall'articolazione sociale nella produzione complessiva dall'altro -
produttività generale che si presenta come dono naturale del lavoro sociale
(benché sia, in realtà, prodotto storico). Il capitale lavora così alla propria
dissoluzione come forma dominante della produzione. Lo scambio del lavoro vivo
col lavoro oggettivato, cioè la posizione del lavoro sociale nella forma
dell'opposizione di capitale e lavoro salariato, è l'ultimo sviluppo del
rapporto di valore e della produzione basata sula valore. La premessa di questa
è e rimane la quantità di tempo di lavoro immediato, la quantità di lavoro
impiegato, come fattore decisivo della produzione della ricchezza. Ma nella
misura in cui si sviluppa la grande industria, la creazione della ricchezza
reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità del lavoro
impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il
tempo di lavoro, e che a sua volta - questa loro powerful effectiveness - non è
minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro
produzione, ma dipende invece dallo stato generale della scienza e dal progresso
della tecnologia, o dall'applicazione di questa scienza alla produzione. (Lo
sviluppo di questa scienza, in particolare della scienza della natura, e con
essa di tutte le altre, è a sua volta di nuovo in rapporto allo sviluppo della
produzione materiale). L'agricoltura, per esempio, diventa una semplice
applicazione della scienza del ricambio materiale, da regolarsi nel modo più
vantaggioso per l'intero organismo sociale. La ricchezza reale si manifesta
invece - e questo è il segno della grande industria - nella enorme sproporzione
tra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione
qualitativa tra il lavoro ridotto a una pura astrazione e la potenza del
processo di produzione che esso sorveglia. Non è più tanto il lavoro a
presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l'uomo a
porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore. (Ciò
che si è detto delle macchine, vale anche per la combinazione delle attività
umane e per lo sviluppo delle relazioni umane). L'operaio non è più quello che
inserisce l'oggetto naturale modificato come membro intermedio tra l'oggetto e
se stesso; ma è quello che inserisce il processo naturale, che egli trasforma in
un processo industriale, come mezzo tra se stesso e la natura inorganica, della
quale si impadronisce. Egli si colloca accanto al processo di produzione,
anziché esserne l'agente principale. In questa trasformazione non è né il lavoro
immediato, eseguito dall'uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma
l'appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della
natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale - in
una parola, è lo sviluppo dell'individuo sociale che si presenta come il grande
pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di
lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base
miserabile rispetto a una nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è
stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma
immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di
lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di
scambio deve cessare di essere la misura del valore d'uso. Il pluslavoro della
massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza
generale, così come il non- lavoro dei pochi ha cessato di essere la condizione
dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione
basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale
immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell'antagonismo.
Subentra il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del
tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione
del lavoro necessario della società a un minimo, a cui corrisponde poi la
formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al
tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso
stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo
di lavoro a un minimo, mentre, d'altro lato, pone il tempo di lavoro come unica
misura e fonte della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro
nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del
tempo di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo - in
misura crescente - la condizione (question de vie et de mort) di quello
necessario. Da un lato esso evoca, quindi, tutte le forze della scienza e della
natura, come della combinazione sociale e delle relazioni sociali, al fine di
rendere la creazione della ricchezza (relativamente) indipendente dal tempo di
lavoro impiegato in essa. Dall'altro lato esso intende misurare le gigantesche
forze sociali così create alla stregua del tempo di lavoro, e imprigionarle nei
limiti che sono necessari per conservare come valore il valore già creato. Le
forze produttive e le relazioni sociali - entrambi lati diversi dello sviluppo
dell'individuo sociale - figurano per il capitale solo come mezzi, e sono per
esso solo mezzi per produrre sulla sua base limitata. Ma in realtà essi sono le
condizioni per far saltare in aria questa base. La natura non costruisce
macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi
automatici ecc. Essi sono prodotti dell'industria umana: materiale naturale,
trasformato in organi della volontà umana sulla natura o della sua esplicazione
nella natura. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana: capacità
scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale
grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva
immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso sono passate sotto
il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità a esso. Fino a
quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del
sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita
reale .
(...) La creazione di molto tempo disponibile oltre il tempo di
lavoro necessario per la società in generale e per ogni membro di essa (ossia di
spazio per il pieno sviluppo delle forze produttive dei singoli, e quindi anche
della società), questa creazione di tempo di non-lavoro si presenta, al livello
del capitale, come tempo di non-lavoro per alcuni. Il capitale vi aggiunge il
fatto che esso moltiplica il tempo di lavoro supplementare della massa con tutti
i mezzi della tecnica e della scienza, perché la sua ricchezza è fatta
direttamente di appropriazione di tempo di lavoro supplementare: giacché il suo
scopo è direttamente il valore, e non il valore d'uso. In tal modo esso, malgré
lui, è strumento di creazione della possibilità di tempo sociale disponibile,
della riduzione del tempo di lavoro per l'intera società a un minimo
decrescente, sì da rendere il tempo di tutti libero per il loro sviluppo
personale. Ma la sua tendenza è sempre, per un verso, quella di creare tempo
disponibile, per l'altro di convertirlo in pluslavoro. Se la prima cosa gli
riesce, ecco intervenire una sovrapproduzione, e allora il lavoro necessario
viene interrotto perché il capitale non può valorizzare alcun plusprodotto.
Quanto più si sviluppa questa contraddizione, tanto più viene in luce che la
crescita delle forze produttive non può più essere vincolata all'appropriazione
di pluslavoro altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessa deve appropriarsi
del suo pluslavoro. Una volta che essa lo abbia fatto - e con ciò il tempo
disponibile cessi di avere un'esistenza antitetica - da una parte il tempo di
lavoro necessario avrà la sua misura nei bisogni dell'individuo sociale,
dall'altra lo sviluppo della produttività sociale crescerà così rapidamente che,
sebbene ora la produzione sia calcolata in vista della ricchezza di tutti,
cresce il tempo disponibile di tutti. Giacché la ricchezza reale è la
produttività sviluppata di tutti gli individui. E allora non è più il tempo di
lavoro, ma il tempo disponibile la misura della ricchezza. Il tempo di lavoro
come misura della ricchezza pone la ricchezza stessa come fondata sulla povertà,
e il tempo disponibile come tempo che esiste nella, e in virtù della, antitesi
al tempo di lavoro supplementare, ovvero tutto il tempo di un individuo è posto
come tempo di lavoro, e l'individuo viene degradato perciò a mero operaio,
sussunto sotto il lavoro. Come, con lo sviluppo della grande industria, la base
su cui essa poggia - ossia l'appropriazione di tempo di lavoro altrui - cessa di
costituire o di creare ricchezza, così, con esso, il lavoro immediato cessa di
essere, come tale, base della produzione, per un verso in quanto viene
trasformato in un'attività più che altro regolatrice, di sorveglianza, ma poi
anche perché il prodotto cessa di essere il prodotto del lavoro immediato,
isolato, ed è piuttosto la combinazione dell'attività sociale ad assumere la
veste di produttore.
(...) L'economia effettiva - il risparmio - consiste in
un risparmio di tempo di lavoro; ma questo risparmio si identifica con lo
sviluppo della produttività. Non si tratta quindi affatto di rinuncia al
godimento, bensì di sviluppo di capacità, di capacità atte alla produzione, e
perciò tanto delle capacità quanto dei mezzi di godimento. La capacità di godere
è una condizione per godere, ossia il suo primo mezzo, e questa capacità è lo
sviluppo di un talento individuale, è produttività. Il risparmio di tempo di
lavoro equivale all'aumento di tempo libero, ossia del tempo dedicato allo
sviluppo pieno dell'individuo, sviluppo che a sua volta reagisce, come massima
produttività, sulla produttività del lavoro. Esso può essere considerato, dal
punto di vista del processo di produzione immediata, come produzione di capitale
fisso: questo capitale fisso è l'uomo stesso. Che del resto lo stesso tempo di
lavoro immediato non possa rimanere in astratta antitesi al tempo libero - come
si presenta dal punto di vista dell'economia borghese - si intende da sé. Il
lavoro non può diventare gioco, come vuole Fourier, al quale rimane il grande
merito di aver indicato come obbiettivo ultimo la soppressione non della
distribuzione, ma del modo di produzione stesso nella sua forma superiore. Il
tempo libero - che è sia tempo di ozio che tempo per attività superiori - ha
trasformato naturalmente il suo possessore in un soggetto diverso, ed è in
questa veste di soggetto diverso che egli entra poi anche nel processo di
produzione immediato.
(K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, La Nuova Italia 1968-70, II vol. pp.389-411)