A prima
vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi, risulta che
è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci
teologici. Finché è valore d'uso, non c'è nulla di misterioso in essa, sia che
la si consideri dal punto di vista che soddisfa, con le sue qualità, bisogni
umani, sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto di lavoro umano. E'
chiaro come la luce del sole che l'uomo con la sua attività cambia in maniera
utile a se stesso le forme dei materiali naturali. P. es. quando se ne fa un
tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò non di meno, il tavolo rimane
legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma appena si presenta come merce, il tavolo
si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi
per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e
sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se
cominciasse spontaneamente a ballare. Dunque, il carattere mistico della merce
non sorge dal suo valore d'uso. E nemmeno sorge dal contenuto delle
determinazioni di valore. Poiché: in primo luogo, per quanto differenti possano
essere i lavori utili o le operosità produttive, è verità fisiologica ch'essi
sono funzioni dell'organismo umano, e che tutte tali funzioni, quale si sia il
loro contenuto e la loro forma, sono essenzialmente dispendio di cervello,
nervi, muscoli, organi sensoriali, ecc. umani. In secondo luogo, per quel che
sta alla base della determinazione della grandezza di valore, cioè la durata
temporale di quel dispendio, ossia la quantità del lavoro: la quantità del
lavoro è distinguibile dalla qualità in maniera addirittura tangibile. In
nessuna situazione il tempo di lavoro che costa la produzione dei mezzi di
sussistenza ha potuto non interessare gli uomini, benché tale interessamento non
sia uniforme nei vari gradi di sviluppo. Infine, appena gli uomini lavorano in
una qualsiasi maniera l'uno per l'altro, il loro lavoro riceve anche una forma
sociale. Di dove sorge dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro
appena assume forma di merce? Evidentemente, proprio da tale forma.
L'eguaglianza dei lavori umani riceve la forma reale di eguale oggettività di
valore dei prodotti del lavoro, la misura del dispendio di forza-lavoro umana
mediante la sua durata temporale riceve la forma di grandezza di valore dei
prodotti del lavoro, ed infine i rapporti fra i produttori, nei quali si attuano
quelle determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma d'un rapporto
sociale dei prodotti del lavoro. L'arcano della forma di merce consiste dunque
semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i
caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei
prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi
rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un
rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi.
Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose
sensibilmente sovrasensibili cioè cose sociali. Proprio come l'impressione
luminosa di una cosa sul nervo ottico non si presenta come stimolo soggettivo
del nervo ottico stesso, ma quale forma oggettiva di una cosa al di fuori
dell'occhio. Ma nel fenomeno della vista si ha realmente la proiezione di luce
da una cosa, l'oggetto esterno, su un'altra cosa, l'occhio: è un rapporto fisico
fra cose fisiche. Invece la forma di merce e il rapporto di valore dei prodotti
di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con
la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel
che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è
soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per
trovare un'analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo
religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti,
dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli
uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo
io chiamo il feticismo che s'appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono
prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.
Come l'analisi precedente ha già dimostrato, tale carattere feticistico del
mondo delle merci sorge dal carattere sociale peculiare del lavoro che produce
merci. Gli oggetti d'uso diventano merci, in genere, soltanto perché sono
prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro. Il
complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo.
Poiché i produttori entrano in contatto sociale soltanto mediante lo scambio dei
prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei loro
lavori privati appaiono soltanto all'interno di tale scambio. Ossia, i lavori
privati effettuano di fatto la loro qualità di articolazioni del lavoro
complessivo sociale mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i prodotti
del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi
le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè,
non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma
anzi, come rapporti materiali fra persone e rapporti sociali fra le cose. Solo
all'interno dello scambio reciproco i prodotti di lavoro ricevono un'oggettività
di valore socialmente eguale, separata dalla loro oggettività d'uso,
materialmente differente. Questa scissione del prodotto del lavoro in cosa utile
e cosa di valore si effettua praticamente soltanto appena lo scambio ha
acquistato estensione e importanza sufficienti affinchè cose utili vengano
prodotte per lo scambio, vale a dire affinchè nella loro stessa produzione venga
tenuto conto del carattere di valore delle cose. Da questo momento in poi i
lavori privati dei produttori ricevono di fatto un duplice carattere sociale. Da
un lato, come lavori utili determinati, debbono soddisfare un determinato
bisogno sociale, e far buona prova di sè come articolazioni del lavoro
complessivo, del sistema naturale spontaneo della divisione sociale del lavoro;
dall'altro lato, essi soddisfano soltanto i molteplici bisogni dei loro
produttori, in quanto ogni lavoro privato, utile e particolare è scambiabile con
ogni altro genere utile di lavoro privato, e quindi gli è equiparato.
L'eguaglianza di lavori toto coelo differenti può consistere soltanto in un far
astrazione dalla loro reale diseguaglianza, nel ridurli al carattere comune che
essi posseggono, di dispendio di forza-lavoro umana, di lavoro astrattamente
umano. Il cervello dei produttori privati rispecchia a sua volta questo duplice
carattere sociale dei loro lavori privati, nelle forme che appaiono nel
commercio pratico, nello scambio dei prodotti, quindi rispecchia il carattere
socialmente utile dei loro lavori privati, in questa forma: il prodotto del
lavoro deve essere utile, e utile per altri, e rispecchia il carattere sociale
dell'eguaglianza dei lavori di genere differente nella forma del carattere
comune di valore di quelle cose materialmente differenti che sono i prodotti del
lavoro. Gli uomini dunque riferiscono l'uno all'altro i prodotti del loro lavoro
come valori, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto
come puri involucri materiali di lavoro umano omogeneo. Viceversa. Gli uomini
equiparano l'un con l'altro i loro differenti lavori come lavoro umano,
equiparando l'uno con l'altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti
eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno. Quindi il valore non porta
scritto in fronte quel che è. Anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro
in un geroglifico sociale. In seguito, gli uomini cercano di decifrare il senso
del geroglifico, cercano di penetrare l'arcano del loro proprio prodotto
sociale, poichè la determinazione degli oggetti d'uso come valori è loro
prodotto sociale quanto il linguaggio. La tarda scoperta scientifica che i
prodotti di lavoro, in quanto son valori, sono soltanto espressioni materiali
del lavoro umano speso nella loro produzione, fa epoca nella storia dello
sviluppo dell'umanità, ma non disperde affatto la parvenza oggettiva dei
carattere sociale del lavoro. Quel che è valido soltanto per questa particolare
forma di produzione, la produzione delle merci, cioè che il carattere
specificamente sociale dei lavori privati indipendenti l'uno dall'altro consiste
nella loro eguaglianza come lavoro umano e assume la forma del carattere di
valore dei prodotti di lavoro, appare cosa definitiva, tanto prima che dopo di
quella scoperta, a coloro che rimangono impigliati nei rapporti della produzione
di merci: cosa definitiva come il fatto che la scomposizione scientifica
dell'aria nei suoi elementi ha lasciato sussistere nella fisica l'atmosfera come
forma corporea. Quel che interessa praticamente in primo luogo coloro che
scambiano prodotti, è il problema di quanti prodotti altrui riceveranno per il
proprio prodotto, quindi, in quale proporzione si scambiano i prodotti. Appena
queste proporzioni sono maturate raggiungendo una certa stabilità abituale,
sembrano sgorgare dalla natura dei prodotti del lavoro, cosicchè p. es. una
tonnellata di ferro e due once d'oro sono di egual valore allo stesso modo che
una libbra d'oro e una libbra di ferro sono di egual peso nonostante le loro
differenti qualità chimiche e fisiche. Di fatto, il carattere di valore dei
prodotti del lavoro si consolida soltanto attraverso la loro attuazione come
grandezze di valore. Le grandezze di valore variano continuamente,
indipendentemente dalla volontà, della prescienza, e dall'azione dei permutanti,
pei quali il loro proprio movimento sociale assume la forma d'un movimento di
cose, sotto il cui controllo essi si trovano, invece che averle sotto il proprio
controllo. Occorre che ci sia una produzione di merci completamente sviluppata,
prima che dall'esperienza stessa nasca la cognizione scientifica che i lavori
privati - compiuti indipendentemente l'uno dall'altro, ma dipendentí l'uno
dall'altro da ogni parte come articolazioni naturali spontanee della divisione
sociale del lavoro - vengono continuamente ridotti alla loro misura socialmente
proporzionale. perché nei rapporti di scambio dei loro prodotti, casuali e
sempre oscillanti, trionfa con la forza, come legge naturale regolatrice, il
tempo di lavoro socialmente necessario per la loro produzione, così come p. es.
trionfa con la forza la legge della gravità, quando la casa ci capitombola sulla
testa. La determinazione della grandezza di valore mediante il tempo di lavoro è
quindi un arcano, celato sotto i movimenti appariscenti dei valori relativi
delle merci. La sua scoperta elimina la parvenza della determínazione puramente
casuale delle grandezze di valore dei prodotti del lavoro, ma non elimina
affatto la sua forma oggettiva.