Come nel governo popolare è necessaria la virtù, ce ne vuole anche nell'aristocrazia. là vero che non vi è richiesta in modo tanto assoluto. Il popolo, che è, rispetto ai nobili, quello che i sudditi sono rispetto al monarca, è tenuto a freno dalle loro leggi. Ha quindi minor bisogno di virtù di quanto non ne abbia il popolo nella democrazia. Ma come saranno tenuti a freno i nobili? Coloro che dovranno far eseguire le leggi contro i loro colleghi, sentiranno per prima cosa di agire contro se stessi. La virtù è dunque necessaria in questo corpo, per la natura stessa della costituzione. Il governo aristocratico ha di per sè una certa forza che la democrazia non ha. I nobili vi formano un corpo che, per la sua prerogativa e il suo interesse privato, reprime il popolo: basta che vi siano delle leggi, perché vengano messe in esecuzione a tale scopo. Ma per questo corpo è altrettanto facile reprimere gli altri, quanto è difficile reprimere se stesso. La natura di questa costituzione è tale, che sembra mettere le stesse persone sotto la potestà delle leggi, e insieme sottrarle ad essa. Ora, un corpo siffatto può reprimere se stesso in due modi soltanto: mediante una grande virtù, che faccia sì che i nobili si trovino in qualche modo uguali al popolo, il che può formare una grande repubblica; o mediante una virtù minore, cioè una certa moderazione, che rende i nobili per lo meno uguali a se stessi, il che fa la loro conservazione. L'anima di questi governi è dunque la moderazione. Intendo quella che è fondata sulla virtù, non quella che nasce dalla viltà e dalla pigrizia dell'animo.
(Montesquieu, “Lo spirito delle leggi”, III, cap. 4)