Come è nato storicamente il capitale? Dal lavoro, rispondono ideologicamente i borghesi. In questo brano, Marx smaschera la "favola borghese" e mette in luce la vera origine del capitale, che "viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro". Infatti, lungi dal nascere dal lavoro, il capitale è il frutto di sanguinose espropriazioni.
Abbiamo visto come il denaro viene trasformato in capitale, come col capitale si fa il plusvalore, e come dal plusvalore si trae più capitale, Ma l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale e di forza-lavoro di una considerevole entità in mano ai produttori di merci. Tutto questo movimento sembra dunque aggirarsi in un circolo vizioso dal quale riusciamo ad uscire soltanto supponendo un’accumulazione «originaria» («previous accurnulation» in A. Smith) precedente l’accumulazione capitalistica: una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.
Nell’economia politica quest’accumulazione originaria fa all’in circa la stessa parte del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò il peccato colpì il genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato. C’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche più. Però la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a mangiare il suo pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di faticare. Fa lo stesso! Così è avvenuto che i primi hanno accumulato ricchezza e che gli altri non hanno avuto all’ultimo altro da vendere che la propria pelle. E da questo peccato originale data la povertà de/la gran massa che, ancor sempre, non ha altro da vendere fuorché se stessa, nonostante tutto il suo lavoro, e la ricchezza dei pochi che cresce continuamente, benché da gran tempo essi abbiano cessato di lavorare. Il signor Thiers per esempio sminuzza ancora ai francesi che una volta erano così intelligenti, tali insipide bambinate con tutta la serietà e solennità dell’uomo di Stato, allo scopo di difendere la p r o p r i é t é. Ma appena entra in ballo la questione della proprietà, diventa sacro dovere tener fermo al punto di vista dell’abbiccì infantile come unico valido per tutte le classi d’età e tutti i gradi di sviluppo. Nella storia reale la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza. Nella mite economia politica ha regnato da sempre l’idillio. Diritto e « lavoro » sono stati da sempre gli unici mezzi d’arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta, per «questo anno». Di fatto i metodi del l’accumulazione originaria sono tutto quel che si vuole fuorché idillici.
Denaro e merce non sono capitale fin da principio, come non lo sono i mezzi di produzione e di sussistenza. Occorre che siano trasformati in capitale. Ma anche questa trasformazione può avvenire soltanto a certe condizioni che convergono in questo: debbono trovarsi di fronte, e mettersi in contatto due specie diversissime di possessori di merce, da una parte proprietari di denaro e di mezzi di produzione e di sussistenza, ai quali importa di valorizzare mediante l’acquisto di forza-lavoro altrui la somma di valori posseduta; dall’altra parte operai liberi, venditori della propria forza-lavoro e quindi venditori di lavoro. Operai liberi nel duplice senso che essi non fanno parte direttamente dei mezzi di produzione come gli schiavi, i servi della gleba ecc., né ad essi appartengono i mezzi di produzione, come al contadino coltivatore diretto ecc., anzi ne sono liberi, privi, senza. Con questa polarizzazione del mercato delle merci si hanno le condizioni fondamentali della produzione capitalistica. Il rapporto capitalistico ha come presupposto la separazione fra i lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro. Una volta autonoma, la produzione capitalistica non solo mantiene quella separazione, ma la riproduce su scala sempre crescente. Il processo che crea il rapporto capitalistico non può dunque essere null’altro che il processo di separazione dalla proprietà delle proprie condizioni di lavoro, processo che da una parte trasforma in capitale i mezzi sociali di sussistenza e di produzione, dall’altra trasforma i produttori diretti in operai salariati.
Dunque la cosiddetta accumulazione originaria non è altro che il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione. Esso appare « originario » perchè costituisce la preistoria del capitale e del modo di produzione d esso corrispondente.
La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla struttura economica della società feudale. La dissoluzione di questa ha liberato gli elementi di quella.
Il produttore immediato, l’operaio, ha potuto disporre della sua persona soltanto dopo aver cessato di essere legato alla gleba e di essere servo di un’altra persona o infeudato ad essa. Per divenire libero venditore di forza-lavoro, che porta la sua merce ovunque essa trovi un mercato, l’operaio ha dovuto inoltre sottrarsi al dominio delle corporazioni, ai loro ordinamenti sugli apprendisti e sui garzoni e all’impaccio delle loro prescrizioni per il lavoro. Così il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa; e per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma dall’altro lato questi neo affrancati diventano venditori di se stessi soltanto dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. E la storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco.
I capitalisti industriali, questi nuovi potentati, hanno dovuto per parte loro non solo soppiantare i maestri artigiani delle corporazioni, ma anche i signori feudali possessori delle fonti di ricchezza. Da questo lato l’ascesa dei capitalisti si presenta come frutto di una lotta vittoriosa tanto contro il potere feudale e contro i suoi rivoltanti privilegi, quanto contro le corporazioni e contro i vincoli posti da queste al libero sviluppo della produzione e al libero sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Tuttavia, i cavalieri dell’industria riuscirono a soppiantare i cavalieri della spada soltanto sfruttando avvenimenti dei quali erano del tutto innocenti. Essi si sono affermati con mezzi altrettanto volgari di quelli usati un tempo dal liberto romano per farsi signore del proprio patrono.
Il punto di partenza dello sviluppo che genera tanto l’operaio salariato quanto il capitalista, è stata la servitù del lavoratore.
La sua continuazione è consistita in un cambiamento di forma di tale asservimento, nella trasformazione dello sfruttamento feudale in sfruttamento capitalistico.
Per comprenderne il corso non abbiamo affatto bisogno di rifarci molto indietro. Benché i primi inizi della produzione capitalistica si incontrino sporadicamente fin dai secoli XIV e XV in alcune città del Mediterraneo, l’era capitalistica data solo dal secolo XVI. Dov’essa entra in scena, l’abolizione della servitù della gleba è da lungo tempo compiuta e già da parecchio tempo va impallidendo quella che è la gloria del Medioevo, l’esistenza cioè di città sovrane.
Nella storia dell’accumulazione originaria fanno epoca dal punto di vista storico tutti i rivolgimenti che servono di leva alla classe dei capitalisti in formazione; ma soprattutto i momenti nei quali grandi masse di uomini vengono staccate improvvisamente e con la forza dai loro mezzi di sussistenza e gettate sul mercato del lavoro come proletariato eslege. L’espropriazione dei produttori rurali, dei contadini e la loro espulsione dalle terre costituisce il fondamento di tutto il processo. La sua storia ha sfumature diverse nei vari paesi e percorre fasi diverse in successioni diverse e in epoche storiche diverse.
(K. Marx, "Il capitale", I, sez. VII, cap. 24)