Neurath, Empirismo e metafisica

Polemizzando con Russell, Neurath  mette in evidenza l’accanimento antimetafisico interno alla scuola empirista della prima metà del secolo.

 

O. Neurath, Universal Jargon and Terminology, in Philosophical Papers 1913-1946, Dordrecht-Boston-Lancaster 1983, pagg. 225-229, trad. di F. Fistetti

 

Quando parlano della loro “proposta”, gli empiristi logici ammettono di aspettarsi proposte concorrenti. Essi in linea di principio, sono inclini a un atteggiamento tollerante. Né sentono il bisogno della univocità del razionalismo tradizionale. Non pochi pensatori sono dell’avviso che almeno un residuo atteggiamento razionalistico costituisca uno stimolo necessario. Io non credo, invece, che esso sia uno stimolo indispensabile (ci fu un periodo in cui la teologia, o almeno un residuo di teologia sembrava essere un elemento indispensabile della ricerca scientifica) – una questione questa, che va trattata nel capitolo sulla “behavioristica degli scienziati”.

Credo che sia piú serio che un bambino impari un linguaggio come un essere che rispecchia il comportamento degli altri e adotta mille tabú. Nessun empirista logico può impedire che un bambino venga condizionato in questo modo; al piú, può solo tentare di modificare un particolare tipo di condizionamento.

Le “interpretazioni ontologiche fuorvianti” non si limitano soltanto a pensatori che sono totalmente contrari alla nostra impresa, ma anche uno scienziato come Bertrand Russell, i cui libri hanno avuto un'influenza enorme all'interno del Movimento per l'Unità della Scienza e sull'analisi del linguaggio, non si occupa che in questo modo dei nostri tentativi.

Illustrerò le mie osservazioni su questo punto con delle citazioni dal suo ultimo libro, An Inquiry into Meaning and Truth, ove nella Prefazione egli dichiara: “Per quanto riguarda il metodo, simpatizzo con i positivisti logici piú che con qualsiasi altra scuola esistente”.

Russell afferma (p. 148): “La dottrina di Neurath, se presa sul serio, priva le proposizioni empiriche di ogni significato. Nonostante che i filosofi sembrino dimenticare questo semplice fatto, scopo delle parole è quello di occuparsi di cose ben diverse dalle parole. Le teorie linguistiche di alcuni filosofi moderni dimenticano le modeste finalità pratiche delle parole quotidiane, e si perdono in un misticismo neo-neo-platonico. Mi sembra di sentirli dire: ‘All'inizio era la parola’, e non ‘All’inizio c'era ciò che la parola significa’. È degno di nota che questo ritorno alla vecchia metafisica venga spacciato per un tentativo ultra-empiristico”.

Non solo a quali delle molteplici caratteristiche del misticismo neo-platonico Russell si riferisse quando ha scritto questa proposizione. A quanto pare, egli trasforma le nostre proposizioni, che si occupano di termini, in una metafisica “ontologica” che si occupa dell'“esistenza” delle parole, a cui egli si oppone mediante una proposizione “ontologica”: “all'inizio c'era ciò che la parola significa”.

Vorrei far notare che Russell nella sua risposta usa continuamente termini che io non uso affatto. Non ho mai formulato una proposizione di questo tenore: “All’inizio c'era la parola”.

Russell dice polemicamente: “Se entro in un ristorante ed ordino il pranzo, non desidero certo che le mie parole si accordino con altre parole all'interno di un sistema, ma semplicemente che mi portino il cibo”. Sono d'accordo con Russell, ma io non ho mai detto di voler mettere insieme le mie parole con altre parole in un sistema, quando voglio avere un pollo. Ho solo avanzato una proposta su come intraprendere una discussione. Ho semplicemente proposto di non impiegare il termine “confronto” in casi tra loro molto diversi da un lato quando diciamo “una proposizione contraddice un'altra proposizione”, dall'altro quando diciamo “portare un coniglio invece del pollo non soddisfa il desiderio espresso dall'ordine di Russell”. Propongo soltanto di dover trasformare cosí questa espressione: “Il pensiero-parola di Russell: ‘apparirà un pollo’ (in connessione con il suo ordine) sembra essere in contraddizione con il suo pensiero-parola: 'Non è apparso alcun pollo'”. Questo è tutto.

Russell tenta di creare qualcosa di assoluto, una “realtà”, una “personalità” o qualunque altra cosa essa sia. Perciò egli, come Schlick, confronta le “proposizioni della memoria” con il “pensiero attuale, mentre io proporrei di dire che noi confrontiamo le nostre “precedenti proposizioni della memoria” con le “ultime proposizioni della memoria”.

Russell sembra postulare la personalità come un elemento stabile e permanente della sua discussione e, per cosí dire, come un'assunzione a priori. A questo proposito, egli pone in evidenza la dicotomia tra “mondo mentale” e “mondo non-mentale” e, al pari di Wittgenstein, con le cui opinioni non sempre è d’accordo, sembra supporre un tipo di proposizione “immateriale” che, al di là degli enunciati, funge da vettore dei significati. Credo che si possa dire che gli enunciati “rappresentano la stessa proposizione”, quando essi risultano intercambiabili in rapporto alle loro rispettive posizioni all'interno della comunicazione umana

La mia proposta è di trattare democraticamente tutte le proposizioni di osservazione senza riguardo al fatto che esse siano formulate dalla stessa persona in tempi diversi o da diverse persone; perciò propongo che in linea di principio non c'è alcuna differenza tra le proposizioni di osservazione formulate da una persona pochi secondi fa o anni addietro.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 117-118