Friedrich
Nietzsche (1844-1900), quasi contemporaneamente a Marx, prende posizione sulla
dialettica e sulla concezione hegeliana della storia. L'aspetto che piú
disturba Nietzsche è la “chiusura” del sistema hegeliano: nella dialettica
hegeliana non vi è libertà, anzi da essa scaturiscono una filosofia e una
concezione della storia che educano alla sottomissione e al servilismo.
F.
Nietzsche, Utilità e danno della storia [1874]
Credo che in questo secolo non ci sia stata
nessuna deviazione o svolta pericolosa della cultura tedesca, che non sia
diventata piú pericolosa ancora per l'enorme influenza fino a questo momento
dilagante, di questa filosofia, ossia della filosofia hegeliana. [...] Una tale
maniera di considerare ha abituato i Tedeschi a parlare del “processo del
mondo” e a giustificare il proprio tempo come il risultato necessario di questo
processo del mondo; una tale maniera di considerare ha messo la storia al posto
delle altre forze spirituali, l'arte e la religione, come unicamente sovrana,
in quanto essa è “il concetto che realizza se stesso”, in quanto essa è “la
dialettica degli spiriti dei popoli” e il “giudizio universale”.
Questa
storia hegelianamente intesa la si è chiamata con scherno “il cammino di Dio
sulla Terra”; il quale Dio però viene per parte sua fatto solo dalla storia. Ma
questo Dio è diventato nei crani degli hegeliani trasparente e comprensibile a
se stesso, e ha già salito tutti i gradini dialetticamente possibili del suo
divenire, fino a quella autorivelazione: sicché per Hegel il vertice e il punto
terminale del processo del mondo si sono identificati con la sua stessa
esistenza berlinese. Egli anzi avrebbe dovuto dire che tutte le cose che
vengono dopo di lui sono propriamente soltanto una coda musicale del rondò
della storia mondiale, e che, ancor piú propriamente, esse sono da giudicare
superflue. Questo egli non l'ha detto: in compenso ha istillato nelle
generazioni da lui lievitate quell'ammirazione di fronte alla “potenza della storia”,
che praticamente si trasforma ad ogni istante in nuda ammirazione del successo
e conduce all'idolatria del fatto: per tale idolatria ci si è oggi generalmente
esercitati nell'espressione molto mitologica, e inoltre davvero ottimamente
tedesca, “tener conto dei fatti”. Ma chi ha imparato a incurvare la schiena e a
piegare la testa davanti alla “potenza della storia”, in guisa cinesemente
meccanica fa da ultimo cenno di “s'” a ogni potenza, sia poi questa un governo
o un'opinione pubblica o una maggioranza numerica, e muove le sue membra
esattamente al ritmo in cui una qualsiasi “potenza” tira il filo. Se ogni
successo contiene in sé una necessità razionale, se ogni avvenimento è la
vittoria di ciò che è logico e dell'“idea”, allora ci si metta subito giú in
ginocchio e si percorra poi inginocchiati l'intera scala dei “successi”.
(F.
Nietzsche, Considerazioni inattuali, II, in Opere, Adelphi,
Milano, 19762, vol. III, tomo 1, pagg. 326-328)