I filosofi
in genere sono ingenui e non del tutto onesti. Essi in fondo non sono altro che
avvocati delle loro idee, dei loro pregiudizi; “nel filosofo non c’è nulla
d’impersonale”.
F. Nietzsche, Al di là del bene e del male
Dopo aver letto assai a lungo i filosofi tra le righe, dopo averli studiati attentamente, io dico: bisogna ancora collocare la maggior parte del pensiero cosciente, e persino il pensiero filosofico, tra le attività dell’istinto; bisogna cominciare ad imparare dal capo come si è fatto a proposito dell’“atavismo” e dell’“ereditarietà”. Come l’atto della nascita di per sé non può esser reso in considerazione nel progresso e nel processo della ereditarietà, cosí la coscienza non può essere contrapposta all’istinto. Quasi tutto il pensiero cosciente del filosofo è diretto nascostamente dai suoi istinti ed è obbligato a seguire una strada determinata. Anche dietro la logica e le sue mosse, apparentemente indipendenti, si nasconde giudizi di valori, o, per dirla chiaramente, esigenze fisiologiche di conservazione di una data specie di vita. [...]
Quello che ci spinge a guardare un po’ con diffidenza, con una certa aria di ironia tutti i filosofi non è tanto il fatto che piú volte essi hanno avuto modo di convincerci della loro ingenuità, [...] ma per il fatto che non sono del tutto onesti: mentre infatti in coro alzano canti in onore della virtú, quando si osa toccare il problema della realtà, vorrebbero farci credere che le loro opinioni sono il risultato di una dialettica fredda, pura, olimpicamente distaccata, da loro scoperta e ottenuta [...]; mentre in realtà una frase colta a volo, un’idea strana, una suggestione, un desiderio costretto nell’astratto e opportunamente filtrato, è quello che essi difendono con ragioni cercate a fatica. In fondo, sono tanti avvocati che non vogliono sentirsi chiamare con il loro nome, furbi difensori dei loro pregiudizi che essi vogliono far passare per “verità”; e sono ben lontani da quella forza d’animo che di tutto questo sa rendersi ragione, assai lontani dal buon gusto del coraggio, che grida tutto ciò sia per mettere in guardia i nemici e gli amici, sia per orgoglio, sia per prendersi gioco di se stessi. La pedanteria tanto rigida quanto virtuosa del vecchio Kant con la quale egli ci attira sui sentieri piú scivolosi della dialettica [...] è uno spettacolo che fa ridere noi, che non ci siamo abituati, noi che non sentiamo un piacere piú grande di quello di svelare gli inganni dei vecchi predicatori di morale.
Un po’ alla volta sono arrivato a farmi un’idea di ciò che è la grande filosofia, nient’altro che la professione di fede del suo autore, quasi le sue memorie che egli scrive senza volerlo. Cosí pure che il fine morale o immorale costituisca il vero nocciolo vitale di ogni filosofia. [...] Infatti è consigliabile e prudente domandarsi, quando si vuole spiegare come abbiano avuto origine le affermazioni metafisiche di questo o quel filosofo: a quale morale tende questo filosofo? Perché io non credo che un “impulso verso la coscienza” sia il padre della filosofia, ma piuttosto che un altro impulso [...] si sia servito dello strumento “conoscenza” (ed anche “ignoranza”). Ma chi considera fino a che punto gli istinti fondamentali dell’uomo possono essere qui stati in gioco come geni ispiratori [...] riconoscerà che essi hanno tutti almeno una volta avuto a che fare con la filosofia, e che ciascuno di essi vorrebbe presentarsi come la ragione ultima dell’esistenza, come legittimo sovrano di tutti gli altri impulsi. Poiché ogni impulso tende a dominare e come tale tende a filosofare. In verità, negli uomini colti, negli uomini di scienza propriamente detti, la cosa può essere diversa, migliore, se vogliamo: può darsi che in essi entri qualcosa che può chiamarsi “impulso verso la coscienza”, qualche piccolo meccanismo indipendente che [...] possa lavorare bene per conto suo, senza coinvolgere gli altri interessi dello scienziato. Perciò i veri interessi dello scienziato sono posti di solito del tutto altrove, nella famiglia, nel denaro, nella politica: cosí che è quasi indifferente che il piccolo meccanismo sia applicato ad uno o ad un altro ramo della scienza [...]. Al contrario, nel filosofo non c’è nulla di impersonale: ed anzitutto la sua morale garantisce inequivocabilmente chi egli sia, vale a dire in che modo siano coordinati o subordinati tra loro i suoi istinti naturali.
R. Bortot e V. Milanesi, Il concetto di
filosofia nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1984,
pagg. 184-186