Kant ha cercato di derivare gli scopi dalla nozione stessa di razionalità intesa come aderenza al principio. Noi abbiamo affermato in precedenza che i principi sono strumenti dotati di funzioni specifiche, destinati ad operare insieme agli scopi dati ( e a modificarli). Il tentativo kantiano di separare i principi da ogni scopo dato e di derivare poi gli scopi o i vincoli particolari dalle massime di condotta della nuda nozione di adesione al principio non è riuscito(1). Se le nostre procedure razionali sono nate per operare in tandem con determinati scopi biologici (o con desideri e scopi il cui perseguimento nel nostro passato evolutivo era statisticamente correlato con la promozione del valore adattativo complessivo), allora non sorprende che il tentativo di derivare razionalmente gli scopi ex novo , a partire dall’assenza totale di scopi o desideri, fallisca. Questo non significa che noi siamo legati per sempre ai desideri e agli scopi con cui partiamo. Le nostre procedure razionali i consentono di modificarli in misura significativa con interventi che sono singolarmente modesti, ma che, se reiterati, possono produrre dei cambiamenti cumulativi enormi (2).
Supponiamo che qualcuno riesca a mettere a punto una teoria completamente adeguata della razionalità sostantiva dei desideri. Data tale teoria, noi saremmo in grado di dire che un’azione o una procedura per la formazione delle credenze è razionale quando fosse strumentalmente efficace nel conseguimento di scopi razionali (non di un qualsiasi scopo arbitrariamente dato). Naturalmente ciò costituirebbe un progresso notevole. La razionalità strumentale non esaurirebbe più l’intero campo della razionalità; vi rientrerebbe anche la razionalità sostantiva degli scopi.Nonostante questo cambiamento, però, la razionalità resterebbe in grande misura strumentale. Il passo che trascende decisamente questa struttura in larga misura strumentale è costituito dal valore decisionale.
( La natura della razionalità, p. 217)