NIETZSCHE, PERCHE' SEMBRIAMO EPICUREI

Un elogio dell'incertezza, tratto da "La gaia scienza". Nietzsche paragona la pulsione alla certezza ad un destriero indocile, che smania di gettarsi verso la consolatoria verità, mentre all'uomo moderno, preso dall'ebrezza dell'incerto, spetta il compito di cavalcare il destriero per tirargli le briglie.

375. Perché sembriamo epicurei. Noi uomini monderni andiamo cauti con le convinzioni ultime: la nostra diffidenza se ne sta in agguato contro gli incantesimi e i maliziosi raggiri della coscienza che si trovano in ogni robusta credenza, in ogni sì e no incondizionati: come si spiega questo? Forse col fatto che per un verso si può scorgere in ciò la cautela del "bambino scottato dal fuoco", dell'idealista deluso; ma per un altro verso, degno di maggiore considerazione, col fatto che si può qui constatare anche la tripudiante curiosità di chi già una volta se ne stava in un cantuccio, di colui che, portato a causa di quel suo cantuccio alla disperazione, si delizia ormai nel suo opposto e volteggia in qualcosa di sconfinato, di "libero in sé". Con ciò si va plasmando un'inclinazione conoscitiva diremmo quasi epicurea, che non vuole lasciarsi sfuggire a buon mercato il carattere problematico delle cose; e parimente prende forma un'avversione alle grandi parole e agli atteggiamenti morali, un gusto che disdegna ogni rozza massiccia antitesi ed è orgogliosamente consapevole del suo esercitato riserbo. E' questo infatti a costituire il nostro orgoglio, questo leggero tirar le briglie al nostro anelito di certezze che si getta avanti all'assalto, questo padroneggiarsi del cavaliere sul suo più indocile destriero: sia innanzi che indietro, infatti, abbiamo sempre sotto di noi furibondi animali di fuoco, e se s'indugia, il pericolo è l'ultima cosa che ci fa indugiare...

(F. Nietzsche, Idilli di Messina, La gaia scienza, Scelta di frammenti postumi 1881-1882, pag. 241, testo critico di G. Colli e M. Montanari, Mondadori, 1965)