Un frammento de "La gaia scienza" che definisce ciò che sarà il nocciolo del pensiero nietzschiano, ovvero l'avversione per la ragione, scienza apollinea che insegue la certezza, intesa come rimedio contro la dionisiaca incertezza dei sensi. La ragione pone il distacco dalla vita, ma l'uomo moderno non insegue tanto la ragione quanto i sensi e le loro contraddizioni. Da un lato quindi la "malattia filosofica" che insegue l'innegabile e l'immutabile, dall'altro la sana e più immediata accettazione del divenire e della sua precarietà.
372.
Perché non siamo idealisti. Un tempo i filosofi avevano paura dei sensi: abbiamo
noi forse disimparato troppo questa paura? Oggi noi siamo tutti quanti sensisti,
noi uomini del presente e dell'avvenire della filosofia, non già secondo la
teoria, ma secondo la prassi, la pratica... Quelli invece credevano di essere
accalappiati dai sensi fuori dal loro mondo, il freddo mondo dell “idee”,
in una pericolosa isola del sud, dove, com'essi paventavano, le loro filosofiche
virtù si sarebbero liquefatte quasi come neve al sole. [...] ...le idee, con
tutto il loro gelido, anemico aspetto, sarebbero seduttrici peggiori dei sensi...
[...] In summa: ogni idealismo filosofico è stato fino a oggi qualcosa come
una malattia, quando non fu, come nel caso di Platone, l'accorgimento di una
saluta sovraccarica e pericolosa, il timore della strapotenza dei sensi, la
saggezza di un saggio socratico. Forse è soltanto che noi moderni non siamo
abbastanza sani per sentire la necessità dell'idealismo di Platone? E noi
non temiamo i sensi, perché...
(F. Nietzsche, Idilli di Messina, La gaia scienza, Scelta di frammenti postumi
1881-1882, pag. 237, testo critico di G. Colli e M. Montanari, Mondadori,
1965)