NIETZSCHE, ATTACCHI A SOCRATE

Per i suoi natali Socrate apparterrebbe al popolo minuto: Socrate era plebe. E' noto, e lo si può vedere anche oggi, quanto egli fosse brutto. Ma la bruttezza, un'obiezione di per se stessa, é tra i Greci quasi una confutazione. E Socrate era poi veramente un greco? La bruttezza é abbastanza spesso l'espressione di uno sviluppo ibrido, ostacolato dall'incrocio. In altri casi, essa appare come un'involuzione nello sviluppo. Gli antropologi che si interessano di criminologia ci dicono che il delinquente tipico é brutto: monstrum in fronte, monstrum in animo. Ma il delinquente é un décadent. Era Socrate un delinquente tipico? Per lo meno a ciò non contraddice quel famoso giudizio fisionomico che aveva un suono così urtante per gli amici di Socrate. Uno straniero che si intendeva di facce, allorchè venne ad Atene, disse in faccia a Socrate che egli era un monstrum- che nascondeva in sè tutti i vizi e le bramosie peggiori. E Socrate si limitò a rispondere: "Lei mi conosce, signore!". E' un indice della décadence in Socrate non solo la confessata sregolatezza e anarchia degli istinti; precisamente a essa rinvia anche la superfetazione della logica e quella malvagità da rachitico che lo caratterizza. Non dimentichiamo nemmeno quelle allucinazioni acustiche che sono state interpretate in senso religioso, come il demone socratico. Tutto in lui é esagerato, buffo, caricatura, tutto é al tempo stesso occulto, pieno di secondi fini, sotterraneo. Cero di capire da quale idiosincrasia provenga quell'equazione socratica di ragione= virtù=felicità: la più stravagante equazione che sia mai esistita e che ha contro di sè, in particolare, tutti gli istinti dei più antichi Elleni. Con Socrate il gusto dei Greci degenera a favore della dialettica: che cosa avviene esattamente in questo momento? Innanzitutto viene sconfitto in tal modo un gusto aristocratico; con la dialettica la plebe rialza il capo. (Il crepuscolo degli idoli)

Questo brusco rovesciamento del gusto a favore della dialettica é un grande punto interrogativo. Che cosa accadde propriamente? Socrate, il plebeo che impose quel cambiamento, ottenne la vittoria sopra un gusto più nobile, il gusto di chi eccelle: la plebe giunse alla vittoria grazie alla dialettica. Prima di Socrate, tutta la buona società rifiutava le maniere della dialettica: si credeva che mettesse a nudo le anime; si metteva in guardia la gioventù contro di essa. Perchè questo sfoggio di motivi? A qual fine dimostrare? Contro gli altri, si possedeva l'autorità. Si comandava e basta. Inter pares, si possedeva la propria origine, che é pure un'autorità: e, come ultima risorsa, ci si intendeva! Non c'era posto per la dialettica. Anzi, si diffidava di un simile presentare in pubblico i propri argomenti. Tutto ciò che é dabbene non tiene pronti in mano i propri motivi. C'é qualcosa di sconveniente nel mostrare tutte le 5 dita. Ciò che si può dimostrare ha poco valore. Che la dialettica susciti diffidenza, che convinca poco, é del resto cosa risaputa per istinto dagli oratori di tutti i partiti. Nulla é più facile da cancellare che un effetto dialettico. La dialettica può essere soltanto una legittima difesa. Bisogna trovarsi in uno stato di necessità, avere il bisogno di estorcere un proprio diritto: prima, non si fa uso della dialettica. Perciò furono dialettici gli ebrei, lo fu Reineke Fuchs, lo fu Socrate. Si ha in mano uno strumento spietato. Si può tiranneggiare. Si denuda l'avversario, vincendolo. Si lascia che sia il suo sacrificio a dimostrare che non siamo degli idioti. Si rende l'avversario furioso e desolato, mentre noi restiamo freddi e trionfalmente ragionevoli- si snerva l'intelligenza dell'avversario. L'ironia del dialettico é una forma di vendetta plebea: la ferocia degli oppressi sta nelle fredde pugnalate del sillogismo. (La volontà di potenza, af. 431)

Missionari divini. Anche Socrate sente se stesso come missionario divino; ma in ciò si può ancora sentire una certa traccia di attica ironia e di gusto di scherzare, da cui quell'idea insopportabile e arrogante viene mitigata. Ne parla senza unzione: le sue immagini, del freno e del cavallo, sono semplici e non sacerdotali, e il vero compito religioso che egli si sente assegnato, di mettere il Dio alla prova in cento modi, per vedere se ha detto la verità, fa concludere a un atteggiamento ardito e libero, con cui qui il missionario si pone a fianco del suo Dio. Quel mettere alla prova il Dio é uno dei più sottili compromessi fra religiosità e libertà di spirito che siano mai stati ideati.- oggi non abbiamo più bisogno neanche di questo compromesso. (Aurora, af. 72)

Se tutto va bene, verrà il tempo in cui, per promuovere il proprio avanzamento morale e spirituale, si prenderanno in mano i "Memorabili" di Socrate a preferenza della Bibbia, e in cui Montaigne e Orazio saranno utilizzati come messaggeri e guide per la comprensione del più semplice e imperituro mediatore-saggio, Socrate. A lui riconducono le strade delle più diverse maniere filosofiche di vita, che sono in fondo le maniere di vita dei diversi temperamenti, stabiliti dalla ragione e dall'abitudine, e tutti quanti rivolti con la loro punta verso la gioia di vivere e di se stessi; dal che si potrebbe concludere che l'aspetto più peculiare di Socrate é stato un prendere parte a tuti i temperamenti.- Rispetto al fondatore del cristianesimo, Socrate ha in più la gioconda forma di serietà e quella saggezza piena di birbonate, che costituisce per l'uomo lo stato d'animo migliore. Inoltre aveva un intelletto più grande. (Aurora, af.86)

Socrate trovò la donna che gli occorreva - egli però non l'avrebbe certo cercata, se l'avesse conosciuta bene: così lontano anche l'eroismo di questo spirito libero non sarebbe andato. In realtà Santippe lo spinse sempre più verso la sua particolare professione, rendendogli casa e focolare inabitabili e inospitali: gli insegnò a vivere per le strade e dappertutto dove si poteva chiacchierare e oziare, facendo così di lui il più grande dialettico ambulante di Atene: il quale da ultimo dovette paragonare se stesso alle redini importune poste da un dio sul colle del bel cavallo Atene per non fargli aver pace. (Umano, troppo umano; af. 433)

(F. Nietzsche, passi scelti)