Nietzsche rappresentava Socrate come il corruttore dell'originario spirito vitale dei greci. In questo brano commenta le sue ultime parole e crede di individuarvi la prova della sua tesi: Socrate considerava la vita una malattia, alla divinità di Asclepio, infatti, si usava sacrificare un gallo in caso di guarigione. Fu la vita di Socrate una lunga e ben congeniata dissimulazione? Nietzsche si pone la domanda.
340. Ammiro la forza d'animo e la saggezza di Socrate in tutto quanto egli fece, disse - e non disse. Questo ateniese, spirito maligno e ammaliatore, beffardo e innamorato, che faceva tremare e singhiozzare i giovani più tracotanti, non fu soltanto il più saggio chiacchierone che sia mai esistito: fu altrettanto grande nel tacere. Avrei voluto che anche nell'ultimo momento della vita fosse restato silenzioso: allora, forse, sarebbe appartenuto a una categoria di spiriti ancora più elevata. Fosse stata la morte o il veleno, la religiosità dell'animo, o la malvagità - certo è che qualche cosa, all'ultimo momento, gli sciolse la lingua, e lui disse: "Critone, sono in debito d'un gallo ad Asclepio". Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie: "O Critone, la vita è una malattia!". Possibile? Pessimista un uomo par suo, che visse serenamente e sotto gli occhi di tutti, come un soldato? Non s'era appunto preoccupato d'altro che di far buon viso alla vita, e per tutta la durata di essa aveva tenuto nascosto il suo giudizio ultimo, il suo più intimo sentimento! Socrate, Socrate ha sofferto della vita! E se ne è anche vendicato - con quelle parole velate, atroci, pie e blasfeme! E per di più Socrate sentì la necessità di vendicarsi? Mancava forse alla sua straricca virtù un granello di magnanimità? Ah, amici! Noi dobbiamo superare i Greci!
(F. Nietzsche, Idilli di Messina, La gaia scienza, Scelta di frammenti postumi 1881-1882, pag. 191, testo critico di G. Colli e M. Montanari, Mondadori, 1965)