Forse non c'è cosa che qualifica più appropriatamente un popolo e ciascuna epoca della sua storia delle relazioni esistenti tra la massa e la minoranza dirigente. L'azione pubblica - politica, intellettuale ed educativa - è, come indica il suo nome, di tale carattere che l'individuo da solo, qualsiasi sia il grado della sua genialità, non può esercitarla efficacemente. L'influenza pubblica o, se si preferisce chiamarla così, l'influenza sociale, emana da fonti molto differenti da quelle che agiscono nell'influenza privata che ogni persona può esercitare sugli altri. Un uomo non è mai efficace per le sue qualità individuali, ma per la energia sociale che la massa ha depositato in lui. I suoi talenti personali sono stati soltanto il motivo, è occasione o il pretesto perché si condensasse in lui questo dinamismo sociale.
Così, un politico irradierà tanta influenza pubblica quanti sono l'entusiasmo e fiducia che il suo partito ha concentrato in lui. Uno scrittore riuscirà a saturare la coscienza collettiva nella misura in cui il pubblico sentirà devozione per lui. Al contrario, sarebbe falso dire che un individuo influisce in proporzione al suo talento o laboriosità. La ragione è chiara: quanto più profondo, dotto e acuto sia uno scrittore, maggiore distanza ci sarà tra le sue idee e quelle del volgo, e più difficile la sua assimilazione per il pubblico. Soltanto quando il lettore volgare ha fede nello scrittore e gli riconosce una grande superiorità su se stesso, farà lo sforzo necessario per elevarsi alla sua comprensione. In un paese dove la massa è incapace di umiltà, entusiasmo e adorazione verso il superiore vi sono tutte le probabilità perché gli unici scrittori influenti siano i più volgari; vale a dire, i più facilmente assimilabili; vale a dire, quelli decisamente più imbecilli.
Lo stesso accade con il pubblico. Se la massa non apre exabundantia cordis, con fervido slancio, un largo margine di fede entusiasta verso un uomo pubblico e anzi, ritenendosi abile quanto lui, mette in crisi ogni suo atto e gesto, quanto più sottile sia il politico ancor più irrimediabili saranno i fraintendimenti, meno solida la sua posizione, più privo sarà di vera rappresentatività collettiva. E come potrà vincere il nemico un uomo politico che si vede costretto ogni giorno a conquistare umilmente il proprio partito?
Veniamo quindi alla conclusione, che gli "uomini" la cui assenza deplora la suddetta sentenza sono propriamente creazione effusiva delle masse entusiaste e, nel miglior senso del vocabolo, miti collettivi.
Nei momenti di storia ascendente, di appassionata instaurazione nazionale, le masse si sentono masse, collettività anonima che, amando la propria unità, la simbolizza e concretizza in certe persone scelte, sulle quali riversa il tesoro del suo entusiasmo vitale. Allora si dice "vi sono uomini". Nei momenti di decadenza, quando una nazione si sgretola, vittima del particolarismo, le masse non vogliono essere masse, ogni membro di esse si ritiene una personalità dirigente, e, rivoltandosi contro tutti quelli che eccellono, scarica su di loro il suo odio, la sua inettitudine e la sua invidia. Allora, per giustificare la sua inerzia e tacitare un intimo rimorso, la massa dice che "non vi sono uomini".
E' completamente sbagliato supporre che l'entusiasmo delle masse dipende dal valore degli uomini dirigenti. La verità è proprio il contrario: il valore sociale degli uomini dirigenti dipende dalla capacità di entusiasmo che la massa possiede. In certe epoche sembra congelarsi l'anima popolare; diventa sordida, invidiosa, petulante e si atrofizza in essa il potere di creare miti sociali. Ai tempi di Socrate c'erano uomini così forti come poteva esserlo Ercole; ma l'anima della Grecia si era raffreddata, e incapace di secernere mitiche fosforescenze, non riusciva a immaginare ormai intorno all'erculeo uno zodiaco radioso di dodici fatiche.
Si guardi alla vita intima di qualsiasi partito attuale. In tutti, inclusi quelli della destra, assistiamo al lamentevole spettacolo in cui, invece di seguire il capo del partito, è la massa di questo che gravita sul suo capo. Esiste nella moltitudine un risentimento pieno contro ogni possibile eccellere, e dopo aver negato agli uomini migliori ogni fervore e consacrazione sociale, si rivolge a loro e dice "Non vi sono uomini".
Curioso esempio della solita incongruenza tra quello che l'opinione pubblica dice e ciò che sente nel profondo! Quando sentirete dire: "Oggi non vi sono uomini", intenderete: "Oggi non vi sono che masse".
Una nazione è una massa umana organizzata, strutturata da una minoranza di individui scelti. Qualunque sia il nostro credo politico, è d'obbligo riconoscere questa verità, che si riferisce a uno strato della realtà storica molto più profondo di quello dove si agitano i problemi politici. La forma giuridica che adotta una società nazionale potrà essere quanto di più democratico e perfino comunista si possa immaginare; ciononostante, la sua costituzione viva, transgiuridica, consisterà sempre nell'azione dinamica di una minoranza sopra la massa. Si tratta di una inevitabile legge naturale che svolge nella biologia delle società un ruolo simile a quello della legge delle densità in fisica. Quando in un liquido si versano corpi solidi di densità differente, questi finiscono sempre per rimanere collocati all'altezza che corrisponde alla loro densità. Allo stesso modo, in ogni raggruppamento umano si produce spontaneamente una articolazione dei suoi membri secondo la differente densità vitale che posseggono. Questo si avverte già nella forma più semplice di società, nella conversazione. Quando sei uomini si riuniscono per conversare, la massa indifferenziata di interlocutori poco dopo l'inizio si articola in due parti, una delle quali dirige nella conversazione l'altra, influisce su di essa, dona più di quanto non riceva. Quando questo non avviene, è che la parte inferiore del gruppo resiste anomalamente ad essere diretta, influenzata dalla porzione superiore, e allora la conversazione diventa impossibile. Così, quando in una nazione la massa rifiuta di essere massa - cioè, di seguire la minoranza dirigente -, la nazione si disfa, la società si smembra e sopravviene il caos sociale, l'invertebrazione storica.
Un caso estremo di questa invertebrazione storica lo stiamo ora vivendo in Spagna. Tutte le pagine di questo rapido saggio cercano di correggere la miopia che di solito si soffre nella percezione dei fenomeni sociali. Questa miopia consiste nel credere che i fenomeni sociali, storici, sono i fenomeni politici, e che le malattie di un corpo nazionale sono malattie politiche. Ebbene, il fatto politico è certamente l'esterno, il contorno, o cute di quello sociale. Ma questo è ciò che salta prima alla vista. E vi sono, in effetti malattie nazionali che sono malattie politiche. Ebbene, il fatto politico è certamente l'esterno, il contorno o cute della pelle sociale. Ma questi morbi esterni non sono mai gravi. Quando chi sta male in un paese è la politica, si può dire che niente sta molto male. Quando è leggero e transitorio il malessere, è sicuro che il corpo sociale si autoregolerà un giorno o l'altro.
In Spagna, per disgrazia, la situazione è inversa. Il danno non sta tanto nella politica quanto nella società stessa, nel cuore e nella testa di quasi tutti gli spagnoli.
[…] La malattia spagnola è, per mala ventura, più grave che la suddetta immoralità pubblica. Peggio che avere una malattia è essere una malattia. Che una società sia immorale, abbia, o contenga immoralità è grave; ma che una società non sia una società è molto più grave. Ebbene: questo è il nostro caso. La società spagnola si sta dissociando da lungo tempo perché ha infetta la radice stessa dell'attività socializzatrice.
Il fatto primario sociale non è la mera riunione di alcuni uomini, ma l'articolazione che in questo unirsi si produce immediatamente. Il fatto primario sociale è l'organizzazione in diretti e dirigenti di un raggruppamento umano. Questo comporta in alcuni una certa capacità per dirigere; in altri, una certa facilità intima a lasciarsi dirigere. In conclusione: dove non c'è una minoranza che agisce sopra una massa collettiva, e una massa che sa accettare l'influenza di una minoranza, non c'è società, o si è molto vicini a che non vi sia.
Ebbene: in Spagna viviamo oggi consegnati all'impero delle masse. I miopi non lo credono perché, in effetti, non vedono rivolte per le strade né assalti a Banche e Ministeri. Ma questa rivoluzione da strada significherebbe solo l'aspetto politico che assume, alcune volte, l'impero di una massa sociale determinata: quella proletaria.
Io mi riferisco a una forma di dominio molto più radicale della sommossa nella piazza, più profonda, diffusa, onnipresente, e non di una sola massa sociale, ma di tutte, e in specie delle masse con maggiore potere: quelle della classe media e superiore.
[…] Questo fenomeno mortale di insubordinazione spirituale delle masse contro ogni minoranza eminente si manifesta con tanta maggiore squisitezza quanto più ci allontaniamo dalla zona politica. Così il pubblico degli spettacoli e concerti si crede superiore a ogni drammaturgo, compositore o critico, si compiace nel prendere a calci gli uni e agli altri. Per quanto scarsa sia la discrezione e la conoscenza di cui un critico possa godere, avverrà sempre che possieda di entrambe le qualità più della maggioranza del pubblico. Sarebbe naturale che quel pubblico sentisse l'evidente superiorità del critico e, riservandosi tutta l'indipendenza che sembra giusta, ci fosse in esso la tendenza a lasciarsi influenzare dalle valutazioni dell'esperto. Ma il nostro pubblico muove da uno stato d'animo inverso a questo: il sospetto che qualcuno pretende di capire intorno a qualcosa un po' più di lui, lo fa andare fuori di sé.
Nella stessa società aristocratica accade lo stesso. Non sono le dame meglio dotate di spiritualità ed eleganza coloro che impongono i loro gusti e maniere, ma, al contrario, le dame più imborghesite, rozze e ineleganti che schiacciano con la loro stupidità quelle creature eccezionali. Ovunque assistiamo al deprimente spettacolo che i peggiori, che sono la maggior parte, si rivoltano di frequente contro i migliori.
Come ci potrà essere organizzazione nella politica spagnola, se non c e neanche nelle conversazioni? La Spagna si trascina, invertebrata, non già nella sua politica, ma, ciò che è più profondo e sostanziale della politica, nella convivenza sociale stessa. In questo modo non potrà funzionare nessuno dei meccanismi che fanno muovere la macchina pubblica. Oggi si formerà un'istituzione, domani un'altra, finché sopraggiungerà il definitivo collasso storico.
Non ci sarà modo di uscire da tale situazione fino a quando la massa, rifiutando la sua biologica missione, cioè seguire i migliori, non accetterà né ascolterà le opinioni di costoro, e nell'ambiente collettivo trionferanno soltanto le opinioni della massa, sempre sconnesse, sconsiderate e puerili. […] Una rozza sociologia, nata per generazione spontanea e che da molto tempo domina le opinioni correnti, tergiversa su questi di massa e minoranza scelta, intendendo per quella l'insieme delle classi economicamente inferiori, la plebe, e per questa le classi più elevate socialmente. Finché non correggiamo questo quid pro quo non faremo mai un passo in avanti nella comprensione del fatto sociale.
In ogni classe, in ogni gruppo che non soffra di gravi anomalie, esiste sempre una massa volgare e una minoranza eminente. È chiaro che dentro una società sana, le classi superiori, se lo sono veramente, potranno contare sui una minoranza più nutrita e più scelta che le classi inferiori. Ma questo non vuoi dire che manchi in quelle la massa. Proprio ciò che cagiona la decadenza sociale è che le classi elevate sono degenerate e si sono convertite quasi integralmente in massa volgare. Niente è più lontano, quindi, dalla mia intenzione, quando parlo di aristocrazia, dal riferirmi a ciò che per noncuranza si suole chiamare ancora così.
Procuriamo, quindi, trascendendo i luoghi comuni in uso, di acquisire una intuizione chiara sull'azione reciproca tra massa e minoranza scelta, che è, a mio giudizio, il fatto basilare di ogni società e l'agente della sua evoluzione verso il bene come verso il male.
[…] Ecco qui il meccanismo elementare creatore di ogni società: la esemplarità di pochi si articola nella docilità di molti altri. Il risultato è che l'esempio si diffonde e che gli inferiori si perfezionano nel senso dei migliori.
Questa capacità di entusiasmarsi davanti all'ottimo, di lasciarsi trasportare da una perfezione transeunte, di essere docile verso un archetipo o forma esemplare, è la funzione psichica che l'uomo aggiunge all'animale e che dota di progressività la nostra specie di fronte alla stabilità relativa degli altri esseri viventi.
[…] In questo modo verremo a definire la società, in ultima istanza, come l'unità dinamica spirituale che formano un esemplare e i suoi docili. Questo indica che la società è già di per sé e nativamente un apparato di perfezionamento. Sentirsi docili verso un altro porta a convivere con lui e, simultaneamente, a vivere come lui; pertanto, a migliorare nel senso del modello. L'impulso di adattamento a certi modelli che resterà vivo in una società sarà ciò che questa ha veramente di tale. Una razza umana che non sia degenerata produce normalmente, in proporzione alla cifra totale dei suoi membri, un certo numero di individui eminenti in cui le capacità intellettuali, morali e, in genere, vitali si presentano con la massima potenzialità. Nelle razze più raffinate, questo coefficiente di eccellenza è maggiore che nelle razze grossolane, o, detto alla rovescia, una razza è superiore a un'altra quando riesce a possedere un maggior numero di uomini egregi. […] Questo meccanismo di esemplarità-docilità, principio della coesistenza sociale, ha il vantaggio non solo di suggerire quale è la forza spirituale che crea e mantiene la società, ma allo stesso tempo chiarisce il fenomeno delle decadenze e illustra la patologia delle nazioni. Quando un popolo si trascina attraverso i secoli gravemente ammalato, è sempre perché mancano in lui uomini esemplari o perché le masse sono indocili. La congiuntura estrema consisterà nel fatto che accadano entrambe le cose.
Si può vedere, quindi, fino a che punto la questione delle relazioni tra aristocrazia e massa è precedente a tutti i formalismi etici e giuridici, dato che appare come la radice stessa del fatto sociale.
Se adesso rivolgiamo gli occhi alla realtà spagnola, facilmente scopriremo in essa un atroce paesaggio saturato di indocilità e oltremodo deficiente da esemplarità. Per una strana e tragica perversione della capacità di valutazione, il popolo spagnolo, da secoli, detesta ogni uomo esemplare, o, quanto meno, è cieco nei confronti delle sue qualità eccellenti. Quando si lascia commuovere da qualcuno, si tratta, quasi invariabilmente, di qualche personaggio spregevole e inferiore che si mette al servizio degli istinti moltitudinari.
Il dato che meglio definisce la peculiarità di una razza è il profilo dei modelli che sceglie, così come niente rivela meglio la radicale condizione di un uomo dei tipi femminili di cui è capace di innamorarsi. Nella scelta dell'amata, facciamo, senza saperlo, la nostra più veritiera confessione. Dopo aver guardato e riguardato a lungo le diagnosi che si sogliono fare sulla mortale malattia di cui soffre il nostro popolo, mi pare di trovare nell'aristofobia o odio verso i migliori quella più vicina alla verità.
[…] La prima cosa che uno storico dovrebbe fare per definire il carattere di una nazione o di un'epoca è fissare l'equazione peculiare in cui le relazioni delle sue masse con le minoranze scelte si sviluppano entro di essa. La formula che scoprirà sarà una chiave segreta per sorprendere le più recondite palpitazioni di quel corpo storico.
Vi sono razze caratterizzate da una abbondanza quasi mostruosa di personalità esemplari, dietro le quali solo c'era una massa esigua, insufficiente e indocile. Questo fu il caso della Grecia, e questa l'origine della sua instabilità storica. Giunse un momento in cui la nazione ellenica diventò come un'industria dove solo si elaboravano modelli, invece di contentarsi di fissare alcuni standards e fabbricare conformemente a questi un'abbondante mercanzia umana. Geniale come cultura, la Grecia fu inconsistente come corpo sociale e come Stato.
[…] Ma, come è detto in queste pagine, le masse, una volta mobilitate in senso sovversivo contro le minoranze scelte, non ascoltano chi predica loro norme di disciplina. E' necessario che falliscano completamente perché imparino sulle proprie carni lacerate ciò che non vogliono ascoltare. C'è, quindi, un momento in cui le epoche di dissoluzione, le età Kitra, producono una crisi nel cuore stesso delle moltitudini. L'odio verso i migliori sembra esaurirsi come fonte maligna, e comincia a scaturire una nuova sorgente effettiva di amore verso la gerarchia, le fatiche costruttrici e gli uomini egregi capaci di dirigerle.
[…] Qual è dunque, la condizione basilare? Il riconoscimento che la missione delle masse non è altro che seguire i migliori, invece di pretendere di soppiantarli. E questo in ogni ordine e parte della vita. Dove meno importerebbe l'indocilità delle masse è nella politica, per la semplice ragione che il fatto politico non è che l'alveo dove fluiscono le realtà sostanziali dello spirito nazionale. Se questo si trova ben disciplinato in tutto il resto, poco danno possono provocare le sue insubordinazioni politiche.
Dove più importa che la massa si sappia massa e, pertanto, senta il desiderio di lasciarsi guidare, di imparare, di perfezionarsi, e negli ordini più quotidiani della vita, nella sua maniera di pensare sulle cose di cui si parla nelle riunioni e si legge sui giornali, nei sentimenti con cui si affrontano le situazioni più banali dell'esistenza.
In Spagna è arrivato a trionfare in assoluto il più qualunquistico imborghesimento. Così nelle classi elevate come in quelle infime reggono indiscusse e indiscutibili norme di una atroce trivialità, di un devastante filisteismo. È curioso assistere al fatto che in ogni istante ed occasione la massa degli inetti schiaccia ogni tentativo di maggiore finezza.
[…] Se la Spagna vuole resuscitare, è necessario che si impadronisca di lei un formidabile appetito di tutte le perfezioni. La grande sventura della storia spagnola è stata la carenza di minoranze egregie e l'imperturbato imperio delle masse. Per lo stesso motivo, da oggi in avanti, un imperativo dovrebbe governare gli stili e orientare le volontà: l'imperativo di selezione.
(Ortega y Gasset, Spagna invertebrata)