“Ciò che negli animali si chiama natura, nell'uomo si chiama
miseria”; con questa frase lapidaria Pascal sottolinea la grandezza dell'uomo
in confronto agli altri esseri viventi.
Un'altra frase giustamente famosa
è quella riportata nel Pensiero successivo: “L'uomo è solo una canna, ma una canna che
pensa”.
B. Pascal, Pensieri S. 370,
377; B. 409, 347
370. La grandezza dell'uomo. La grandezza dell'uomo è cosí evidente che s'inferisce dalla sua stessa miseria. Invero, ciò che negli animali è natura, nell'uomo lo chiamiamo miseria: riconoscendo cosí che, essendo oggi la sua natura simile a quella degli animali, è decaduto da una natura migliore, che era un tempo la sua.
Infatti, chi si sente infelice di non essere re, se non un
re spodestato? Forse che Paolo Emilio era considerato infelice, perché non era
piú console? Al contrario, tutti lo stimavano fortunato di esserlo stato,
perché la sua condizione non era di esserlo sempre. Invece, si giudicava
infelicissimo Perseo di non essere piú re, giacché la sua condizione era di
esserlo sempre: tanto che pareva strano che sopportasse ancora la vita. Chi si
stima disgraziato per aver soltanto una bocca? e chi invece non si giudicherà
disgraziato di non avere se non un occhio solo? A nessuno forse è mai passato
per la mente di affliggersi di non aver tre occhi; ma chi ne è del tutto privo
è inconsolabile. [...]
377. L'uomo è solo una canna, la piú fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d'acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre piú nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l'universo ha su di lui; mentre l'universo non ne sa nulla.
Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso
dobbiam cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che
non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio
della morale.
(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi,
Torino, 1967, pagg. 160-163)