L'assidua frequenza dell'ambiente
libertino portò Pascal a distinguere fra “spirito di geometria” e “spirito di
finezza”.
B. Pascal, Pensieri, S.
1-4; B. 1-4
1. Differenza tra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza. Nel primo i princípi sono tangibili, ma lontani dal comune modo di pensare, sicché si fa fatica a volger la mente verso di essi, per mancanza di abitudine; ma, per poco che la si volga a essi, si scorgono pienamente; e solo una mente affatto guasta può ragionar male sopra princípi cosí tangibili che è quasi impossibile che sfuggano.
Nello spirito di finezza i princípi sono, invece, nell'uso
comune e dinanzi agli occhi di tutti. Non occorre volgere il capo o farsi
violenza: basta aver buona vista, ma buona davvero, perché i princípi sono cosí
tenui e cosí numerosi che è quasi impossibile che non ne sfugga qualcuno. Ora,
basta ometterne uno per cadere in errore: occorre, pertanto, una vista molto
limpida per scorgerli tutti e una mente retta per non ragionare stortamente
sopra princípi noti.
Tutti i geometri sarebbero, quindi, fini se avessero la
vista buona, giacché non ragionano falsamente sui princípi che conoscono; e gli
spiriti fini sarebbero geometri se potessero piegare lo sguardo verso i
princípi, a loro non familiari, della geometria.
Se, dunque, certi spiriti fini non sono geometri, è perché
sono del tutto incapaci di volgersi verso i princípi della geometria; mentre la
ragione per cui certi geometri difettano di finezza è che non scorgono quel che
sta dinanzi ai loro occhi e che, essendo usi ai princípi netti e tangibili
della geometria, e a ragionare solo dopo averli ben veduti e maneggiati, si
perdono nelle cose in cui ci vuol finezza, nelle quali i princípi non si
lascian trattare nella stessa maniera. Infatti, esse si scorgono appena; si
sentono piú che non si vedano; è molto difficile farle sentire a chi non le
senta da sé: sono talmente tenui e in cosí gran numero che occorre un senso
molto perspicuo e molto delicato per sentirle e per giudicarne poi in modo
retto e giusto secondo tale sentimento, senza poterle il piú delle volte
dimostrare con ordine rigoroso, come nella geometria, perché non se ne
possiedono nella stessa maniera i princípi e volerlo fare sarebbe un'impresa senza
fine. Bisogna cogliere la cosa di primo acchito con un solo sguardo, e non per
progresso di ragionamento, almeno sino a un certo punto. E cosí è raro che i
geometri siano spiriti fini e gli spiriti fini geometri, perché i primi voglion
trattare con metodo geometrico le cose che esigon finezza, e cadono nel
ridicolo volendo cominciare dalle definizioni e poi dai princípi: metodo fuor
di luogo in questa specie di ragionamento. Non che la mente non lo faccia, ma
lo fa in modo tacito, naturalmente e senz'arte, perché l'espressione di esse
eccede le umane capacità e pochi ne possiedono il sentimento.
E gli spiriti fini, per contro, essendo usi a giudicare con
una sola occhiata, rimangon talmente stupiti quando si trovano di fronte a
proposizioni per loro incomprensibili, e alla cui intelligenza si eccede solo
attraverso definizioni e princípi sterilissimi, che essi non sono avvezzi a
esaminare minutamente, che se ne infastidiscono e se ne disgustano.
Ma gli spiriti falsi non sono mai né fini né geometrici.
I geometri che sono soltanto tali hanno, dunque, una mente
retta, purché ogni cosa venga loro spiegata bene, per mezzo di definizioni e di
princípi: altrimenti sono falsi e insopportabili, poiché non sanno ragionare
rettamente se non sopra princípi ben chiariti.
E gli spiriti fini che sono soltanto tali non posson avere
tanta pazienza da scendere sino ai primi princípi delle cose speculative e
d'immaginazione, che non hanno mai incontrate nelle civili conversazioni e che
sono del tutto fuori dell'uso comune.
2. Varie specie di dirittura di mente: gli uni in un dato ordine di cose, ma non negli altri, dove si smarriscono.
Gli uni deducono bene le conseguenze da pochi princípi, e
questa è dirittura di mente.
Gli altri deducono bene le conseguenze delle cose in cui ci
sono molti princípi.
Per esempio, gli uni comprendono a fondo i fenomeni
dell'acqua, in cui ci sono pochi princípi, ma le conseguenze sono talmente
sottili che solo un'estrema dirittura di mente può coglierle.
E costoro non sarebbero forse per questo grandi geometri,
perché la geometria comprende un gran numero di princípi, e una mente può esser
di tal natura da intendere a fondo pochi princípi, ma non da poter minimamente
intendere le cose in cui ce ne sono molti.
Ci sono, dunque, due specie di spiriti: l'uno che ha il
dono di cogliere con vivezza e profondità le conseguenze dei princípi, ed è lo
spirito di precisione (esprit de justesse); l'altro, che ha il
dono di comprendere un gran numero di princípi senza confonderli, ed è lo
spirito di geometria. L'uno è forza e dirittura di mente; l'altro, ampiezza di
mente. Ora, l'uno può essere senza l'altro; perché la mente può essere
vigorosa, ma limitata, e può esser anche ampia, ma debole.
3. Coloro che sono avvezzi a giudicare con il sentimento non intendon nulla nelle cose di ragionamento, perché vogliono capire súbito d'un solo sguardo, e non sono avvezzi a cercare i princípi. E gli altri, per contro, che sono assuefatti a ragionare per princípi, non intendono nulla nelle cose di sentimento, perché vi cercano i princípi e non riescono a coglierli con una sola occhiata.
4. Geometria, finezza. La vera eloquenza si beffa dell'eloquenza; la vera morale, della morale: ossia, la morale del giudizio si beffa della morale dell'intelletto - che è senza regole.
Poiché al giudizio appartiene il sentimento, cosí come le
scienze appartengono all'intelletto. La finezza è propria del giudizio, la
geometria dell'intelletto.
Beffarsi della filosofia è filosofare davvero.
(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi,
Torino, 1967, pagg. 5-8)
4) Pascal. L'honnêteté
Fra gli aspetti del pensiero libertino che influenzano
Pascal c'è la teoria del gentiluomo, elaborata dal suo amico Antoine Gombault,
cavaliere di Méré. L'ideale della honnêtteté contribuí a far riflettere Pascal sulla
inadeguatezza della “ragione geometrica” non soltanto per la conoscenza della
realtà, ma anche per stabilire rapporti umani corretti. “Gentiluomo”,
“valentuomo”, “galantuomo”, “uomo per bene” sono tutti tentativi di tradurre
l'espressione francese honnête homme.
B. Pascal, Pensieri S. 37, 38, 41, 42; B. 35, 36, 68,
34
37. Bisogna che non si possa [dire] di uno: “È un matematico, un predicatore, una persona eloquente”, ma solamente che è un uomo per bene. Questa qualità universale è la sola che mi piaccia.
Quando, nel vedere una persona, ci torna alla mente il suo
libro, è cattivo segno. Vorrei che non ci si accorgesse di nessuna attitudine
particolare, se non nel momento e nell'occasione di farne uso: ne quid nimis
[“niente eccessi”]. Altrimenti, c'è da temere che una qualità spicchi sulle
altre, e faccia battezzare con un dato nome chi ne sia dotato. Vorrei che si
notasse che uno parla bene solo quando ci fosse da parlar bene, ma che allor ci
se ne avvedesse.
38. L'uomo è pieno di bisogni, e gli è caro solo chi possa soddisfarglieli tutti. - “È un buon matematico”. - Ma non so che farmi delle matematiche: costui mi scambierebbe per un teorema. - “È un bravo soldato”. - Mi prenderebbe per una fortezza assediata. A me occorre un valentuomo, il quale possa soddisfare tutti i miei bisogni in generale.
41. Agli uomini non s'insegna a essere persone per bene, e si insegna tutto il resto. Eppure, essi non si vantano mai di alcunché come di esser gente per bene. Si vantano cioè di sapere la sola cosa che non sia stata loro insegnata.
42. Non passa tra la gente per intenditore di versi chi non abbia messo fuori insegna di poeta; lo stesso per le matematiche, ecc. Ma gl'ingegni universali non sanno che farsi di insegne e non fanno nessuna differenza tra il mestiere di poeta e quello di ricamatore. Non sono chiamati né poeti né matematici; ma sono tutto questo a un tempo, e sanno giudicare di tutti costoro. Non si capisce che cosa propriamente siano. Sanno parlare delle cose di cui si stava conversando quando son capitati tra noi. Ci accorgiamo che hanno un'attitudine piuttosto di un'altra solo quando debbono farne uso. Allora però ce ne ricordiamo, perché una delle loro caratteristiche è, appunto, che, quando non è in discussione il saper parlare, non si dice che san parlare bene, e lo si dice, invece, quando se ne discute. Falsa è, dunque, la lode che si dà a uno, allorché di lui si dice, appena entra, che è molto competente in fatto di poesia; come è cattivo segno quando non si ricorre a una data persona quando ci sia da giudicare di versi.
(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi,
Torino, 1967, pagg. 5-8)