Piaget, Funzioni invarianti e strutture variabili dello sviluppo mentale

Jean Piaget (1896-1980) in una delle opere divulgative piú conosciute (Lo sviluppo mentale del bambino, 1964) espone con chiarezza la sua teoria sullo sviluppo mentale e delinea le principali fasi dell’evoluzione dell’intelligenza, ognuna delle quali costituisce un diversa e specifica modalità di conoscere e di agire da parte del bambino. Nelle pagine iniziali qui riportate vengono definiti i concetti fondamentali che Piaget utilizza per la sua spiegazione unitaria dello sviluppo, che sottolinea la continuità esistente fra la vita biologica e la vita mentale: nello scambio fra l’organismo e l’ambiente è sempre la ricerca dell’equilibrio che spiega lo sviluppo (piú statico quello raggiunto dalla crescita organica, piú mobile quello a cui tende l’intelligenza) e si ritrovano sempre gli stessi meccanismi di funzionamento (funzioni invarianti) in base ai quali il soggetto riadatta la propria condotta, ristrutturando i propri schemi in funzione di un cambiamento nell’ambiente che ha provocato uno squilibrio (un bisogno, un problema). L’equilibrio (o adattamento) è infatti il risultato dei due processi complementari dell’assimilazione e dell’accomodamento. Attraverso questa dinamica si producono forme o stadi successivi di equilibrio sempre piú avanzate (le strutture variabili). Questo “costruttivismo” di Piaget sottolinea il ruolo fondamentale delle continue interazioni fra il soggetto e l’ambiente nella costruzione dell’intelligenza e allo stesso tempo individua come principali fattori che spiegano l’evolversi delle strutture processi spontanei e naturali dovuti a necessità interne di “equilibrazione”.

 

J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino

 

Lo sviluppo psichico, che comincia con la nascita e termina con l’età adulta, è paragonabile alla crescita organica: come quest’ultima, consiste essenzialmente in un cammino verso l’equilibrio. Infatti, cosí come il corpo è in evoluzione sino ad un livello relativamente stabile, caratterizzato dal compimento della crescita e la maturità degli organi, analogamente possiamo concepire la vita mentale come evolventesi in direzione di una forma di equilibrio finale rappresentata dalla mente adulta. Lo sviluppo è quindi, in un certo senso, un progressivo equilibrarsi, un passaggio continuo da uno stato di minor equilibrio ad uno di equilibrio superiore: per quanto riguarda l’intelligenza, è facile contrapporre l’instabilità e l’incoerenza relative delle idee infantili alla sistematizzazione della ragione adulta; nella sfera della vita affettiva, si è spesso notato come l’equilibrio dei sentimenti si accresca con l’età; i rapporti sociali infine obbediscono alla stessa legge di stabilizzazione graduale.

Dobbiamo tuttavia sottolineare sin dall’inizio una differenza essenziale fra la vita del corpo e quella della psiche, se vogliamo rispettare il dinamismo inerente alla realtà psichica: la forma finale di equilibrio raggiunta dalla crescita organica è piú statica di quella verso cui tende lo sviluppo mentale, e soprattutto piú instabile, tanto che, non appena si compie l’evoluzione ascendente, ha automaticamente inizio un’evoluzione regressiva che porta alla vecchiaia. Esistono alcune funzioni psichiche, strettamente dipendenti dallo stato degli organi, che seguono una curva analoga: l'acutezza visiva, ad esempio, raggiunge un punto massimo verso la fine dell’infanzia, per diminuire in seguito, e molte relazioni percettive sono rette dalla stessa legge. Le funzioni superiori dell’intelligenza e dell’affettività tendono al contrario verso un “equilibrio mobile”, tanto piú stabile, quanto piú è mobile, di modo che, per le menti sane, la fine della crescita non segna affatto l’inizio della decadenza, bensí apre la via ad un progresso spirituale che nulla ha di contraddittorio con l’equilibrio interno.

È in termini di equilibrio, quindi, che cercheremo di descrivere l’evoluzione del bambino e dell’adolescente. Da questo punto di vista lo sviluppo mentale è una costruzione continua, paragonabile a quella di un vasto edificio che ad ogni aggiunta divenga piú solido, o piuttosto alla messa a punto di un delicato meccanismo, le cui fasi graduali di montaggio portino ad un’elasticità e mobilità degli elementi tanto maggiore, quanto piú stabile divenga il loro equilibrio. A questo punto, dobbiamo però introdurre un’importante distinzione fra due aspetti complementari di questo processo di costituzione dell’equilibrio: è opportuno scindere sin dall’inizio le strutture variabili, che definiscono le forme o stati successivi dell’equilibrio, ed un certo funzionamento costante, che permette il passaggio da uno stato qualsiasi al livello successivo.

Effettivamente, quando si paragona il fanciullo all’adulto si è talvolta colpiti dall’identità delle reazioni – si parla allora di “piccola personalità”, per dire che il bambino sa bene quello che desidera ed agisce, come noi, in funzione d’interessi precisi; talvolta si scopre invece una quantità di differenze – nel gioco, per esempio, o nel modo di ragionare, e si dice allora che “il bambino non è un piccolo adulto”. Volta a volta, le due impressioni sono esatte: da un punto di vista funzionale, cioè considerando i moventi della condotta e del pensiero, esistono funzionamenti costanti, comuni a tutte le età: ad ogni livello l’azione suppone sempre un interesse che la provochi, si tratti di un bisogno fisiologico, affettivo o intellettuale (in quest’ultimo caso il bisogno si presenta sotto forma di un interrogativo o problema); ad ogni livello, l'intelligenza cerca di comprendere o di spiegare, ecc. ecc. Ma se le funzioni dell’interesse della spiegazione ecc. sono dunque comuni a tutti gli stadi, cioè “invarianti” in quanto funzioni, è altrettanto vero che gli “interessi” (contrapposti all’“interesse”) variano considerevolmente da un livello mentale all’altro, e le spiegazioni particolari (contrapposte alla funzioni dello spiegare) sono forme molto diverse a seconda del grado di sviluppo intellettuale. Accanto alle funzioni costanti si devono quindi distinguere le strutture variabili: ed è precisamente l’analisi di queste strutture progressive, o forme successive, di equilibrio, che permette di determinare le differenze od opposizioni da un livello all’altro della condotta, dai comportamenti elementari del neonato sino all’adolescenza.

Le strutture variabili saranno dunque le forme di organizzazione dell’attività mentale, considerata nel suo duplice aspetto motorio e intellettuale da un lato, e affettivo dall’altro, e nelle sue dimensioni individuale e sociale (interindividuale). Per maggiore chiarezza distingueremo sei stadi o periodi di sviluppo che indicano l’apparizione di queste strutture costruite in successione: 1) Lo stadio dei riflessi o meccanismi ereditari, delle prime tendenze istintive (alimentari) e delle prime emozioni. 2) Lo stadio delle prime abitudini motorie e delle prime percezioni organizzate, cosí come dei primi sentimenti differenziati. 3) Lo stadio dell’intelligenza sensomotoria o pratica (anteriore al linguaggio), delle organizzazioni affettive elementari e delle prime fissazioni esterne dell’affettività. Questi tre primi stadi costituiscono insieme il periodo della prima infanzia (sino a circa un anno e mezzo-due anni, cioè prima degli sviluppi del linguaggio e del pensiero propriamente detto). 4) Lo stadio dell’intelligenza intuitiva, dei sentimenti interindividuali spontanei, e dei rapporti sociali di subordinazione all’adulto (dai due ai sette anni), o seconda fase dell’infanzia propriamente detta). 5) Lo stadio delle operazioni intellettuali concrete (inizio della logica) e dei sentimenti morali e sociali di cooperazione (dai sette agli undici-dodici anni). 6) Lo stadio delle operazioni intellettuali astratte, della formazione della personalità e dell’inserimento affettivo ed intellettuale nel mondo degli adulti (adolescenti).

Ognuno di questi stadi è caratterizzato dunque dall’apparizione di strutture originali, la cui costruzione lo distingue dagli stadi anteriori. I caratteri essenziali di queste successive costruzioni persistono nel corso degli stadi anteriori, come sottostrutture sulle quali vengono edificandosi i nuovi caratteri: ne consegue che nell’adulto ogni stadio precedente corrisponde ad un livello piú o meno elementare o elevato della gerarchia delle condotte. Ma ad ogni stadio corrispondono anche caratteri contingenti e secondari, che vengono modificati dallo sviluppo ulteriore in funzione dei bisogni di una migliore organizzazione. Ogni stadio costituisce dunque, attraverso le strutture che lo definiscono, una forma specifica di equilibrio, e l’evoluzione mentale si realizza nella direzione di un equilibrarsi sempre piú avanzato.

Possiamo allora definire quali sono i meccanismi funzionali comuni ad ogni stadio. In modo del tutto generale possiamo dire (non solo confrontando ogni stadio al successivo, ma ogni condotta all’interno di un qualsiasi stadio alla condotta successiva) che ogni azione – cioè ogni movimento, ogni pensiero od ogni sentimento – risponde ad un bisogno. Il bambino, come l’adulto, non esegue alcuna azione, esterna o anche totalmente interiore, se non è spinto da un movente, e tale movente si presenta sempre sotto forma di un bisogno (un bisogno elementare, un interesse, un interrogativo, ecc.). Ma, come ha ben dimostrato Claparède, un bisogno è sempre la manifestazione di uno squilibrio: si ha bisogno quando qualche cosa al di fuori di noi o dentro di noi, nella nostra struttura fisica o mentale, si è modificato, e quando si tratta di riadattare la condotta in funzione di questo cambiamento. La fame o la stanchezza, per esempio, determineranno la ricerca del nutrimento o del riposo; l’incontro con un oggetto esterno provocherà il bisogno di giocare, la sua utilizzazione a fini pratici o susciterà un interrogativo, un problema teorico; una parola altrui ecciterà il bisogno di imitare, di simpatizzare, oppure susciterà la riserva o l’opposizione, poiché entra in conflitto con una nostra qualsiasi tendenza. Inversamente, l’azione si conclude quando si fa soddisfazione dei bisogni, cioè quando si è ristabilito l’equilibrio tra il fatto nuovo che ha provocato il bisogno, e la nostra organizzazione mentale quale si presentava anteriormente ad esso. Mangiare o dormire, giocare o raggiungere i propri scopi, rispondere ad un interrogativo o risolvere un problema, riuscire in una buona imitazione, stabilire un legame affettivo, mantenere il proprio punto di vista, sono altrettante soddisfazioni che, negli esempi precedenti, porranno termine alla condotta specifica suscitata dal bisogno. Si potrebbe cosí dire che ad ogni istante l’azione viene squilibrata dalle trasformazioni che si manifestano nel mondo, esterno od interno, e ogni nuova condotta consiste non soltanto nel ristabilire l’equilibrio, ma anche nel tendere verso un equilibrio piú stabile di quello dello stato anteriore a questa perturbazione.

L’azione umana consiste appunto in questo continuo e perpetuo meccanismo di riadattamento o riequilibrio, e proprio per tale ragione nelle prime fasi di costruzione le strutture mentali successive, determinate dallo sviluppo, possono venir considerate come altrettante forme di equilibrio, ognuna delle quali è un progresso rispetto alle precedenti. Occorre però comprendere anche che questo meccanismo funzionale, per quanto generale sia, non spiega il contenuto o la struttura dei diversi bisogni, poiché ognuno di essi è relativo all’organizzazione del livello considerato; la vista di uno stesso oggetto, per esempio, provocherà domande molto diverse in un bambino piccolo, ancora incapace di classificazione, e in un grande, con idee piú ampie e sistematiche. Gli interessi di un bambino dipendono quindi in ogni momento dall’insieme delle nozioni acquisite e delle disposizioni affettive, in quanto tendono a completarle nella direzione di un migliore equilibrio.

Prima di esaminare in modo particolareggiato lo sviluppo, occorre precisare la forma generale dei bisogni e degli interessi comuni a tutte le età. Possiamo dire, a questo proposito, che ogni bisogno tende 1) ad incorporare le cose e le persone all’attività propria del soggetto, quindi ad “assimilare” il mondo esterno alle strutture già costruite, e 2) a riadattare queste in funzione della trasformazioni subite, quindi “accomodarle” agli oggetti esterni. Da questo punto di vista, tutta la vita mentale, come del resto la stessa vita organica, tende ad assimilare progressivamente l’ambiente circostante, realizzando questa incorporazione per mezzo di strutture, o organi psichici, il cui raggio d’azione diviene sempre piú ampio: la percezione e i movimenti elementari (prensione, ecc.) permettono dapprima il possesso degli oggetti vicini e nel loro stato presente, piú tardi la memoria e l’intelligenza pratica permettono sia di ricostituire il loro stato immediatamente anteriore, sia di anticipare le loro trasformazioni imminenti; il pensiero intuitivo rafforza poi questi due poteri; l’intelligenza logica, prima nella forma delle operazioni concrete, poi della deduzione astratta, compie quest’evoluzione, rendendo il soggetto padrone degli avvenimenti piú lontani nello spazio e nel tempo. In ognuno di questi livelli la mente assolve quindi alla medesima funzione, che è quella d’incorporare a sé l’universo, ma la struttura di tale assimilazione varia, variano cioè le forme successive di incorporazione, dalla percezione e dal movimento sino alle operazioni superiori.

Cosí, assimilando gli oggetti, l’azione ed il pensiero sono costretti ad aggiustarsi ad essi, cioè a ridimensionarsi in seguito ad ogni variazione esterna. Possiamo chiamare “adattamento” l’equilibrio di assimilazioni ed accomodamenti; questa è la forma generale dell'equilibrio psichico; lo sviluppo mentale consisterebbe quindi nella sua progressiva organizzazione, in un adattamento sempre piú preciso alla realtà. Studieremo ora concretamente le tappe di questo adattamento.

 

(J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino, 1967)