Anche Diogene Laerzio fornisce una
ricca sintesi delle dottrine pitagoriche.
Fr. 58 B 1a DK (Diogene Laerzio, Vite
dei filosofi, VIII, 24-33)
1 (24)
Nelle Successioni dei filosofi Alessandro dice di aver trovato anche
questo nelle memorie pitagoriche.
2 (25)
Che principio di tutte le cose è la monade, che dalla monade nasce la diade
infinita, soggiacente come materia alla monade ch’è causa, che dalla monade e
dalla diade infinita vengono i numeri, e dai numeri i punti, e da questi le
linee, e da queste le figure piane, e da queste le figure solide, e da queste i
corpi percepibili, i cui elementi sono quattro, fuoco acqua terra aria, che
mutano e si muovono attraverso il tutto. Che da questi è formato il cosmo animato
e pensante e sferico, il quale ha nel suo centro la Terra, anch’essa sferica, e
abitata.
3 (26)
Che ci sono anche degli antipodi, e che quello che per noi è sotto è sopra per
quelli che sono ai nostri antipodi. Che ugual parte hanno nel cosmo luce e
tenebre, caldo e freddo, secco e umido; che quando prevale, di questi, il
caldo, allora è estate, e quando prevale il freddo è inverno, e quando caldo e
freddo sono in parti uguali allora ci sono le stagioni piú belle, la primavera
e l’autunno; e che la primavera, fiorendo, porta salute, e che l’autunno,
tramontando, è causa di malattie. E che cosí è anche per il giorno, in cui
l’aurora fiorisce e la sera tramonta, onde la sera è piú insalubre. Che l’etere
intorno alla Terra è fermo e malsano sí che tutte le cose viventi in esso sono
mortali, e invece piú in alto è perpetuamente mosso e puro e salubre, sí che
tutte le cose che vivono in esso sono immortali e perciò divine.
4 (27)
Che il Sole e la Luna e gli altri astri sono dèi, perché in essi domina il
caldo, ch’è principio di vita; e che la Luna è illuminata dal Sole. Che l’uomo
è congenere agli dèi, perché partecipa del caldo; e che appunto per questo il
dio si prende cura di noi. Che il destino governa le cose e nell’insieme e
nelle parti. Che dal Sole emana un raggio il quale, attraversando l’etere
freddo e l’etere denso (chiamano etere freddo l’aria, etere denso il mare e
tutto ciò che è umido) e penetrando anche negli abissi, dà vita a tutte le
cose.
5 (28)
Che dotate di vita sono tutte le cose che partecipano del caldo (onde anche le
piante sono esseri viventi), e che tuttavia non tutte hanno anima. Che l’anima
è una particella dell’etere freddo e dell’etere caldo, e differisce dalla vita
appunto perché partecipa anche dell’etere freddo: ed è immortale, perché
immortale è ciò da cui si è staccata. Che gli animali sono generati dagli
animali mediante il seme; e che la terra non può generare. Che il seme è una
goccia di cervello, contenente vapore caldo; esso, quando entra nella matrice,
vi immette dal cervello icore e umidità e sangue, onde poi si formano le carni
e i nervi e le ossa e i peli e insomma tutto il corpo, mentre dal vapore
nascono anima e senso.
6 (29)
Che l’embrione prende forma in quaranta giorni; poi il fanciullo si completa e
viene alla luce in sette o nove o, al massimo, dieci mesi, secondo i rapporti
dell’armonia. Che il fanciullo ha in sé tutti i rapporti della vita; e che
questi, connettendosi, lo tengono unito, aggiungendosi ciascuna parte al
momento dovuto secondo i rapporti dell’armonia. Che i sensi in generale, e la
vista in particolare, sono costituiti da un vapore molto caldo, mediante il
quale possiamo vedere attraverso l’aria e l’acqua; perché il caldo è tenuto
compatto dal freddo [circostante], mentre se il vapore che è negli occhi fosse
freddo, si disperderebbe a contatto dell’aria similmente fredda; e che talvolta
chiamano gli occhi porte del Sole. Le stesse cose dicono anche degli altri
sensi.
7 (30)
E che l’anima dell’uomo si divide in tre parti, intelletto mente animo,
l’intelletto e l’animo essendo comuni anche agli altri animali, la mente
essendo propria dell’uomo soltanto. Che l’anima comincia dal cuore e giunge al
cervello; e che la parte ch’è nel cuore è animo, quella che è nel cervello
intelletto e mente. E che i sensi sono come gocce che vengono da tali parti; e
che la parte razionale è immortale, le altre mortali. Che l’anima è nutrita dal
sangue; e che i ragionamenti sono respiri dell’anima; e che invisibili sono
l’anima e i ragionamenti, perché anche l’etere è invisibile.
8 (31)
Che l’anima è tenuta insieme dalle vene, dalle arterie e dai nervi; ma che se
ha forza e se ne sta racchiusa in se stessa, allora la tengono unita i
ragionamenti e le opere. Che quando è cacciata dal corpo, vaga sopra la Terra
nell’aria, simile a corpo. E che Ermes è il custode delle anime, e che per
questo appunto è chiamato Accompagnatore e Portinaio e Ctonio, perché è lui che
manda le anime uscite dai corpi nei luoghi loro destinati, sia dalla terra che
dal mare. Che le anime purificate vanno verso l’alto, mentre quelle impure né
s’avvicinano ad esse né s’uniscono tra loro, ma sono legate dalle Erinni in
ceppi infrangibili.
9 (32)
Che tutta l’aria è piena di anime; e che tali erano considerati i dèmoni e gli
eroi: e che da essi sono mandati agli uomini i sogni e i segni delle malattie
<e della salute>; né solo agli uomini, ma anche alle greggi e agli altri
armenti. E che per essi ci sono le purificazioni e le cerimonie apotropaiche e
tutta l’arte mantica e i vaticini e tutto ciò che è di tal genere. E che il piú
grande compimento degli uomini è quello di persuadere un’anima al bene,
stornandola dal male. Che l’uomo è felice quando abbia avuto anima buona; ma
che non è mai tranquillo né segue sempre la stessa corrente.
10 (33) Che la giustizia è
fedeltà ai giuramenti; e che per questo Zeus è detto protettore dei giuramenti.
E che la virtú è armonia; e cosí la salute e il bene e dio: e che per questo il
tutto è composto secondo armonia. Che l’amicizia è uguaglianza armonica. Che bisogna
onorare gli dèi e gli eroi, non però nello stesso modo: ma gli dèi con lodi, e
in veste bianca, e in purità; gli eroi dalla metà del giorno. Che la purità
s’ottiene mediante i riti della purificazione e i lavacri e le abluzioni, e col
tenersi lontani da lutti e da contatti sessuali e da ogni altra impurità, e con
l’astenersi da carni già toccate e da quelle di animali morti di morte naturale
e dalle triglie e dai melanuri e dalle uova e dagli animali ovipari e dalle
fave e dalle altre cose dalle quali invitano ad astenersi anche coloro che nei
templi compiono le iniziazioni.
(I Presocratici, Laterza,
Bari, 19904, pagg. 510-512)