Partendo da uno dei fenomeni ben noti
all’esperienza umana – la sete –, Platone presenta una concezione dell’anima
fra le piú famose della storia della filosofia. Vengono affermate la non coincidenza
dell’anima con la Ragione, e la presenza nell’anima di componenti irrazionali
che la Ragione ha il dovere di controllare. L’interlocutore di Socrate è
Glaucone.
Repubblica, 439 a-441 c
1 [438 d] [...] [Socrate]
Questo, ripresi, intendevo allora dire, puoi bene affermarlo, se adesso hai
compreso: tutte le cose che sono in relazione con un oggetto, considerate in sé
e da sole hanno relazione con gli oggetti presi in sé e da soli; ma cose dotate
di una determinata qualità l'hanno con oggetti [e] dotati di quella
qualità. E non dico che siano esattamente quali sono i loro oggetti; non dico
che, per esempio, la scienza delle cose sane e malate è sana e malata, e quella
delle cattive e buone cattiva e buona; ma poiché essa è divenuta scienza non di
ciò che costituisce l’oggetto della scienza, ma di un oggetto determinato,
ossia del sano e del malato, eccola divenuta anch’essa una scienza determinata;
e perciò non la si è piú chiamata semplicemente scienza, ma, per l’aggiunta
della specificazione, scienza medica. – Ho compreso, rispose, e mi sembra che
sia cosí. [439 a] – E la sete, feci io, non porrai tu che quello che
essa è, lo è nel numero delle cose “che sono di qualcosa”? Essa è, non è vero?,
sete di ... – Sí che la porrò, rispose; è sete di una bevanda. – Ora, per una
bevanda determinata non c'è anche una determinata sete? E non è vero che la
sete in sé non è sete né di molta né di poca bevanda, né di una bevanda buona
né di una cattiva, né, in una parola, di una bevanda determinata? E invece, sete
come sete, non è per natura soltanto sete di una bevanda in quanto bevanda? –
Assolutamente. – Perciò l’anima di chi ha sete, in quanto ha sete, non desidera
altro [b] che bere e tende e mira a questo. – È chiaro. – Ebbene, se,
quando ha sete, c’è qualche altra cosa che la tira in senso opposto, non ci
sarà in lei un elemento diverso da quello che ha sete e che, come una bestia,
la spinge a bere? Perché, come s’è detto, l’identico oggetto non può effettuare
nel medesimo tempo azioni opposte con la stessa sua parte e rispetto
all’identico oggetto. – No certamente. – Cosí, credo, se si parla dell’arciere,
non sta bene dire che le sue mani al tempo stesso allontanano e avvicinano al
corpo l’arco, ma dovremo dire che una lo allontana, l’altra lo avvicina. – [c]
Perfettamente, ammise. – Ora, possiamo dire che ci sono persone che, per quanto
assetate, non vogliono bere? – Certo, rispose, ce ne sono molte, e non di rado.
– E che se ne potrà dire?, feci io. Non forse che nell’anima loro c’è un
elemento che incita e un altro che vieta di bere? e che questo è diverso e
prevale sul primo? – Mi sembra di sí, rispose. – E quello che cosí vieta,
quando sorge, [d] non sorge dalla ragione? E gli impulsi e le attrazioni
non sono dovuti a passioni e sofferenze? – È evidente. – Non avremo torto,
dunque, continuai, a giudicare che si tratti di due elementi tra loro diversi:
l’uno, quello con cui l’anima ragiona, lo chiameremo il suo elemento razionale;
l’altro, quello che le fa provare amore, fame, sete e che ne eccita gli altri appetiti,
irrazionale e appetitivo, compagno di soddisfazioni e piaceri materiali. – No,
anzi [e] cosí avremmo ragione, rispose. – Ecco dunque definiti, ripresi,
questi due aspetti che sono nell’anima nostra. Il terzo è forse quello
dell’animo, quello che ci rende animosi? o avrà esso la stessa natura di uno
dei due precedenti? – Forse, rispose, del secondo, l’appetitivo. – Però, dissi,
una volta sentii raccontare un aneddoto, per me attendibile: Leonzio, figlio di
Aglaione, mentre saliva dal Pireo sotto il muro settentrionale dal lato
esterno, si accorse di alcuni cadaveri distesi ai piedi del boia. E provava
desiderio di vedere, ma insieme non tollerava quello spettacolo e ne
distoglieva lo sguardo. Per un poco lottò [440 a] con se stesso e si
coperse gli occhi, poi, vinto dal desiderio, li spalancò, accorse presso i
cadaveri esclamando: “Eccoveli, sciagurati, saziatevi di questo bello
spettacolo”. – L’ho sentito raccontare anch’io, rispose. – Ora, conclusi,
questo racconto significa che talvolta l’impulso dell’animo contrasta con i
desidèri: si tratta di cose tra loro diverse. – Sí, significa questo, ammise.
2 E non notiamo, ripresi, anche in numerose
[b] altre occasioni che, quando una persona è dominata da violenti
desidèri che contrastano con la ragione, essa si rimprovera e prova un senso di
sdegno contro l’elemento violento che è in lei? e che, in questo contrasto a
due, il suo animo si allea alla ragione? Ma quando esso fa causa comune con i
desidèri, in quanto la ragione decide che non deve contrastarli, non credo tu
possa affermare di accorgerti che sia mai accaduto in te e nemmeno in altri
alcunché di simile. – No, per Zeus!, disse. – E [c] che succede, feci,
quando uno crede di essere in torto? Non è vero che, quanto piú è nobile di
cuore, tanto meno è capace di arrabbiarsi per la fame, il freddo o qualsiasi
altro simile disagio gli venga da chi, secondo lui, fa questo giustamente? e
che, come dico, l’animo suo non vuol eccitarsi contro codesta persona? – È
vero, rispose. – E quando uno pensa di subire un torto? Non è vero che allora
ribolle d’ira, si stizzisce e si fa alleato di quella che gli sembra giustizia?
e, attraverso la fame, il freddo [d] e ogni simile patimento,
tenacemente resistendo vince, senza desistere dai suoi nobili sforzi finché non
riesce o muore o si ammansisce alla voce della ragione che è in lui, come si
ammansisce un cane alla voce del pastore? – Il paragone è senza dubbio
calzante, rispose; e veramente nel nostro stato abbiamo stabilito che gli
ausiliari, come cani, siano soggetti ai governanti, come a pastori dello stato.
– Tu comprendi bene, dissi, il mio pensiero. Ma vuoi [e] riflettere su
quest’altro punto? – Quale? – L’elemento animoso si rivela l’opposto di come
pensavamo poco fa. Allora noi lo credevamo una specie di appetito, adesso
invece affermiamo che c’è notevole differenza e preferiamo assai dire che
quando l’anima è discorde, esso combatte in difesa della ragione. – Senz’altro,
disse. – Ed è diverso anche da questa o ne è un aspetto, sí che nell’anima
esistono non tre, ma due aspetti, il razionale e l’appetitivo? Oppure, come
nello stato erano tre classi a [441 a] costituirlo (affaristi, ausiliari
e consiglieri), cosí anche nell’anima questo terzo elemento è l’animoso? E non
aiuta esso naturalmente la ragione, a meno che non lo guasti una cattiva
educazione? – È necessariamente il terzo, rispose. – Sí, feci io, sempre che
risulti diverso dall’elemento razionale, come risultò differente
dall’appetitivo. – Ma non è difficile questo, disse; anche nei bambini si
potrebbe notare che fino dalla nascita sono pieni d’animo, ma, in quanto alla
ragione, taluni di essi, a mio parere, [b] ne sono totalmente privi, i
piú ne acquistano col tempo. – Sí, per Zeus!, risposi, hai detto bene. E il
fenomeno che citi si potrebbe constatare anche nelle bestie. Lo confermerà
ulteriormente il verso di Omero che piú sopra abbiamo ripetuto: “percotendosi
il petto rimproverava il suo cuore”. Lí Omero, come se si trattasse di due cose
di cui una rimbrotta l’altra, ha chiaramente rappresentato l’elemento [c]
razionale, che riflette sul meglio e sul peggio, mentre rimbrotta quello che
s’eccita irragionevolmente. – Parli benissimo, disse.
(Platone, Opere, vol. II,
Laterza, Bari, 1967, pagg. 262-265)