Il Sofista è il dialogo in cui Platone si
propone di definire il sofista stesso attraverso il “metodo diairetico” (metodo
della definizione attraverso successive divisioni). Alla fine il sofista
risulta il possessore di una epistéme apparente, per il fatto che si
vanta di essere in grado di contraddire qualsiasi affermazione. Ma il problema
centrale del dialogo concerne le cose che “appaiono”, cioè che “non sono”, ma
“sembrano essere”; il tentativo di risolverlo porta al superamento – il
parricidio” – di Parmenide e all’affermazione
dell’“essere diverso”. Con il termine “genere” è indicata l’“Idea”.
Sofista, 254 e-257 c
1 [254 e] Lo Straniero – Ma
che cosa abbiamo noi mai inteso dire ora, dicendo “identico” e “diverso”? Sono
questi forse due generi, altri dai tre di prima [Essere, Moto, Quiete], sempre
necessariamente misti a quelli? Dobbiamo cosí ricercare su cinque e non su tre,
per essere essi [255 a] appunto cinque, oppure invece noi ci inganniamo
chiamando coi nomi “identico” e “diverso” qualcuno di quei tre generi? Teeteto
– Forse. Lo Straniero – Ma il moto e la quiete non sono per niente né il
diverso né l’identico. Teeteto – Perché? Lo Straniero – Perché
qualsiasi termine noi attribuiamo insieme sia alla quiete che al moto, questo
termine non può indicare né l’uno né l’altro di essi due, quiete e moto. Teeteto
– E perché? Lo Straniero – Perché il moto starebbe e la quiete si
muoverebbe. Uno dei due infatti, quale si sia, nell’un caso e nell’altro, [...]
[b] costringerà l’altro a mutarsi nell’opposto, in quanto esso sarà
venuto a partecipare del suo opposto. Teeteto – Proprio cosí. Lo
Straniero – Partecipano quindi ambedue dell’identico e del diverso. Teeteto
– Sí. Lo Straniero – Non diciamo dunque che il moto è l’identico o
il diverso e neppure, d’altra parte, diciamo cosí della quiete. Teeteto –
No. Lo Straniero – Ma forse dobbiamo pensare come una cosa sola “ciò che
è” e l’identico? Teeteto – Forse. Lo Straniero – Ma se non
significano nulla di diverso “ciò che è” e “identico”, allora dicendo che sia
il moto che la quiete, ambedue, sono, di nuovo noi [c] verremo cosí a
dire che ambedue sono la stessa cosa. Teeteto – Questo è certamente
impossibile. Lo Straniero – È quindi impossibile che l’identico e “ciò
che è” siano una cosa sola. Teeteto – Direi di sí. Lo Straniero –
Poniamo quindi come quarto genere oltre ai primi tre, l’identico? Teeteto –
Certamente. Lo Straniero – Ebbene? Dobbiamo dire che quinto è il
diverso? O dobbiamo pensare che questo e “ciò che è” sono due denominazioni
applicate ad un solo genere? Teeteto – Forse. Lo Straniero – Ma
io credo che tu mi conceda che delle cose che sono si danno due generi, alcune
si dicono essere quello che sono sempre in relazione a se stesse, altre sempre
[d] in relazione ad altro. Teeteto – E come no? Lo Straniero –
Il diverso è sempre in relazione al diverso. Non è vero? Teeteto –
Certo. Lo Straniero – Ciò non avverrebbe se “ciò che è” e il diverso non
differissero totalmente; se però il diverso partecipasse di ambedue questi
generi, come “ciò che è”, si potrebbe dare il caso di un diverso che non
sarebbe diverso rispetto ad un’altra cosa, ma invece ora ci risulta
certissimamente che ciò che è diverso, è questo che è necessariamente in
relazione ad altro. Teeteto – È proprio cosí come dici. Lo Straniero
– Dobbiamo dunque porre la [e] natura del diverso come quinto fra i
generi da noi prescelti. Teeteto – Sí. Lo Straniero – Ed essa è
diffusa attraverso tutti gli altri, dobbiamo affermare; infatti ciascuno di
essi è diverso dagli altri, non per sé, ma per il fatto che partecipa al
carattere proprio diverso. Teeteto – Perfettamente.
2 Lo Straniero – Diciamo dunque
questo sui cinque generi, vedendoli uno alla volta. Teeteto – Che cosa? Lo
Straniero – Prima di tutto il moto è assolutamente diverso dalla quiete. O
come dire? Teeteto – Certo, cosí. Lo Straniero – Non è quindi
[256 a] quiete? Teeteto – In nessun modo. Lo Straniero –
Ma è in quanto partecipa di “ciò che è”? Teeteto – È. Lo Straniero –
E poi ancora: il moto è diverso dall’identico. Teeteto – Direi di sí. Lo
Straniero – Quindi non è l’identico. Teeteto – Non lo è, infatti. Lo
Straniero – Ma noi dicevamo che il moto è identico perché tutto partecipa
dello identico. Teeteto – Proprio cosí. Lo Straniero – Allora
bisogna che noi conveniamo, senza protestare, che il moto è identico e pure non
è identico. Infatti quando diciamo che esso è identico e non è identico, ciò
non diciamo dal medesimo punto di vista, ma quando [b] diciamo che è
identico lo diciamo cosí per la sua partecipazione all’identico, quando diciamo
che non è identico, lo diciamo per la sua comunicazione col diverso, per la
quale esso si trova ad essere distinto dall’identico e non identico cosí ma
diverso, onde giustamente lo si dice d’altra parte anche non identico. Teeteto
– Giustissimo. Lo Straniero – E se mai il moto come tale
partecipasse in qualche modo della quiete, non sarebbe per nulla assurdo dire
che il moto è statico? Teeteto – Sarebbe giustissimo, sempre che noi
vogliamo riconoscere che alcuni dei generi ammettono una reciproca mescolanza,
altri no. Lo Straniero – È vero, [c] noi giungemmo a questa
dimostrazione prima che arrivassimo alle nostre dimostrazioni di ora, ed
abbiamo sostenuto polemizzando che ciò avviene secondo natura. Teeteto –
Come no? Lo Straniero – Diciamo ancora; il moto è diverso dal diverso,
come lo vedemmo essere altra cosa rispetto all’identico ed alla quiete? Teeteto
– Necessariamente. Lo Straniero – In un certo senso quindi non è
diverso, e nel senso del discorso testé fatto lo è. Teeteto – È vero. Lo
Straniero – E che diremo dopo di ciò? Diremo, da una parte, che esso è
diverso da tre generi, e invece non da un quarto, avendo noi convenuto che
cinque fossero i generi, sui quali e nei [d] quali, a preferenza di
tutti gli altri, noi dovessimo condurre la nostra ricerca? Teeteto – E
come? È impossibile ammetterne un numero inferiore a quello visto ora.
3 Lo Straniero – Quindi noi dobbiamo
senza timore sostenere decisamente che il moto è diverso da “ciò che è”? Teeteto
– Senza il minimo timore. Lo Straniero – Allora è chiaro che
realmente il moto non è come essere, ed è in quanto partecipa di “ciò che è”? Teeteto
– Chiarissimo. Lo Straniero – È quindi necessario ammettere che “ciò
che è” ci sia per il moto e per tutti gli altri generi. In relazione a tutti,
infatti, la natura del diverso, rendendo ciascuno di essi [e] diverso da
“ciò che è”, lo fa non essere, e per la stessa ragione noi potremo cosí
correttamente dire di tutti che non sono e di nuovo, per il fatto che
partecipano di “ciò che è”, potremo anche dire che sono, e che si tratta di
cose che sono. Teeteto – Probabilmente è cosí. Lo Straniero –
Cosí molteplice è “ciò che è”, in relazione a ciascuno dei generi, e però
infinitamente molteplice “ciò che non è”. Teeteto – Pare di sí. Lo
Straniero – E bisogna dire che “ciò che è”, [257 a] come tale, è
diverso da tutti gli altri generi. Teeteto – Necessariamente. Lo
Straniero – Cosí per noi “ciò che è” per quanti sono gli altri generi, per
tante volte non è; esso infatti non essendo quegli altri generi è uno, come
tale, ma d’altra parte non è questi altri che sono infiniti di numero. Teeteto
– Direi che è cosí. Lo Straniero – Non vi è dunque ragione di
protestare neppure in ciò poiché la natura dei generi è tale da ammettere comunicazione
reciproca. E se qualcuno non ammette ciò, soltanto se ci avrà convinti del
contrario su quanto prima abbiamo detto potrà convincerci del contrario su
quanto abbiamo detto [b] dopo. Teeteto – Giustissimo.
4 Lo Straniero – Vediamo ancora
questo. Teeteto – Che cosa? Lo Straniero – Quando noi parliamo di
“ciò che non è”, è evidente che noi non parliamo di un opposto di “ciò che è”,
ma solo di una cosa diversa. Teeteto – Come? Lo Straniero –
Quando, per esempio, parliamo di qualche cosa che non è grande; ti pare che noi
indichiamo allora, col nostro dire, il piccolo piuttosto che l’uguale? Teeteto
– E come? Lo Straniero – E dunque quando si dirà che negazione
significa opposizione, noi non concederemo questo, ma soltanto invece
ammetteremo che qualche cosa di altro indicano le particelle negative, come mé
(non) [c] e ou (non), preposte ai nomi che le seguono, o
piuttosto poste davanti alle cose alle quali sono applicati i nomi pronunciati
dopo la negazione. Teeteto – Assolutamente.
(Platone, Opere, vol. I, Laterza, Bari, 1967, pagg.
419-422)