Platone, L’uomo ha molti bisogni (repubblica)

Platone affronta il tema della giustizia. Data la complessità del problema Socrate, propone di ampliare la discussione spostando l’attenzione dall’individuo allo Stato. Il fondamento del vivere in comune sono i bisogni degli individui. Stando insieme e specializzandosi nelle singole attività, si riesce a soddisfarli piú facilmente. L’interlocutore di Socrate è Adimanto.

 

Repubblica, 368 e-371 b

 

1      [368 e] – [...] Noi affermiamo che esiste una giustizia del singolo individuo e in certo senso anche quella di uno stato intero, no? – Senza dubbio, ammise. – Ora, uno stato non è maggiore di un individuo? – Maggiore, sí, rispose. – Ebbene, in un àmbito maggiore ci sarà forse piú giustizia e la si noterà piú facilmente. Perciò, se volete, [369 a] cerchiamo prima negli stati che cosa essa sia. Esaminiamola poi con questo metodo anche in ogni individuo e cerchiamo di cogliere nelle caratteristiche del minore la somiglianza con il maggiore. – Cosí va bene, mi sembra, rispose. – Ora, ripresi io, se non di fatto, ma a parole assistessimo al processo di nascita di uno stato, non vedremmo nascere pure la giustizia e l’ingiustizia? – Forse sí, ammise. – E se ciò avviene, non possiamo sperare di scorgere piú agevolmente il nostro obiettivo? – Molto [b] di piú, certo. – Ora, secondo voi, dobbiamo tentar di andare sino in fondo? Non la credo una impresa da poco, e quindi pensateci su! – Ci abbiamo già pensato, disse Adimanto. Via!, fa’ come hai detto.

2      – Secondo me, ripresi, uno stato nasce perché ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti bisogni. O con quale altro principio credi che si fondi uno stato? – Con nessun altro, rispose. – Cosí per un certo [c] bisogno ci si vale dell’aiuto di uno, per un altro di quello di un altro: il gran numero di questi bisogni fa riunire in un’unica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di stato. Non è vero? – Senza dubbio. – Quando dunque uno dà una cosa a un altro, se gliela dà, o da lui la riceve, non lo fa perché crede che sia meglio per sé? – Senza dubbio. – Suvvia, feci io, costruiamo a parole uno stato fin dalla sua origine: esso sarà creato, pare, dal nostro bisogno. – Come no? – Ora, il primo e maggiore [d] bisogno è quello di provvedersi il nutrimento per sussistere e vivere. – Senz’altro. – Il secondo quello di provvedersi l’abitazione, il terzo il vestito e simili cose. – Sí, sono questi. – Ebbene, dissi, come potrà bastare lo stato a provvedere tutto questo? Non ci dovranno essere agricoltore, muratore e tessitore? E non vi aggiungeremo pure un calzolaio o qualche altro che con la sua attività soddisfi ai bisogni del corpo? – Senza dubbio. – Il nucleo essenziale dello stato sarà di quattro o cinque [e] persone. – È evidente. – Ebbene, ciascuna di esse deve prestare l’opera sua per tutta la comunità? Cosí, per esempio, l’agricoltore, che è uno, deve forse provvedere cibi per quattro e spendere quadruplo tempo e fatica per fornire il grano e metterlo in comune con gli altri? o deve evitarsi questa briga e produrre per sé soltanto un [370 a] quarto di questo grano in un quarto di tempo? e impiegare gli altri tre quarti del tempo uno a provvedersi l’abitazione, uno il vestito, uno le calzature? e non prendersi per gli altri i fastidi che derivano dai rapporti sociali, ma badare per conto proprio ai fatti suoi? Rispose Adimanto: – Forse, Socrate, la prima soluzione è piú facile della seconda. – Nulla di strano, per Zeus!, io dissi. Le tue parole mi fanno riflettere che anzitutto ciascuno di noi nasce per natura completamente diverso da ciascun altro, [b] con differente disposizione, chi per un dato compito, chi per un altro. Non ti sembra? – A me sí. – Ancora: agirà meglio uno che eserciti da solo molte arti o quando da solo ne eserciti una sola? – Quando da solo ne eserciti una sola, rispose. – È chiaro d’altra parte, credo, che se uno si lascia sfuggire l’occasione opportuna per una data opera, questa opera è perduta. – È chiaro, sí. – L’opera da compiere non sta ad aspettare, credo, i comodi di chi la compie. E chi la compie deve starle [c] dietro, senza considerarla un semplice passatempo. – Per forza. – Per conseguenza le singole cose riescono piú e meglio con maggiore facilità quando uno faccia una cosa sola, secondo la propria naturale disposizione e a tempo opportuno, senza darsi pensiero delle altre. – Perfettamente. – Occorrono dunque, Adimanto, piú di quattro cittadini per provvedere quanto dicevamo: ché l’agricoltore, come sembra, non si costruirà lui stesso da solo l’aratro, se ha da essere un buon aratro, né la zappa né [d] gli altri attrezzi agricoli. Né d’altra parte si costruirà i propri arnesi il muratore: gliene occorrono molti. E cosí il tessitore e il calzolaio. No? – È vero. – Ecco dunque che carpentieri, fabbri e molti altri simili artigiani verranno a far parte del nostro staterello e lo renderanno popoloso. – Senza dubbio. – Ma non sarebbe ancora troppo grande se vi aggiungessimo bovai, pecorai e le altre categorie [e] di pastori: ciò perché gli agricoltori possano avere buoi per l’aratura, e i muratori servirsi, insieme con gli agricoltori, di bestie da tiro per i loro trasporti, e i tessitori e i calzolai disporre di pelli e di lane. – Ma con tutta questa gente, ribatté, non sarebbe neanche piccolo il nostro stato. – D’altra parte, ripresi io, è pressoché impossibile fondarlo in un luogo che renda superflue le importazioni. – Impossibile. – Occorreranno quindi altre persone ancora per portargli da un altro stato la roba che gli abbisogna. – Occorreranno, sí. – E se il nostro agente si presenta a mani vuote senza alcuno dei prodotti occorrenti a chi ci fornisce le merci d’importazione [371 a] necessarie per i nostri cittadini, se ne verrà via a mani vuote, non è vero? – Mi sembra di sí. – La produzione interna deve dunque non solo bastare ai cittadini stessi, ma anche rispondere per qualità e quantità alle esigenze di coloro dei quali i nostri cittadini possono avere bisogno. – Deve, sí. – Al nostro stato occorre perciò un maggiore numero di agricoltori e di altri artigiani. – Sí, un numero maggiore. – E anche di altri agenti, a mio avviso, destinati a importare e ad esportare le singole merci. Sono questi i commercianti, non è vero? – Sí. – Ci abbisogneranno dunque anche i commercianti. – Senza dubbio. – E se poi il commercio si svolge per mare, [b] occorreranno ancora molti altri, pratici del lavoro marittimo. – Molti altri, certo. [...]

 

(Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 186-189)