In nome della “teoria delle Idee”
l’arte subisce una condanna inappellabile: essa non ha diritto ad alcuna
libertà o autonomia. Socrate parla in prima persona; il suo interlocutore è
Glaucone.
Repubblica, 597 a-598 d
[597 a] – E il
fabbricante di letti? Non dicevi poco fa che non costruisce la specie in cui
diciamo consistere “ciò che è” letto, ma costruisce un determinato letto? – Lo
dicevo, sí. – Se dunque non fa “quello che è” letto, non farà ciò che è, ma un
oggetto che è esattamente come ciò che è, ma che non è. E chi asserisse che
l’opera del costruttore di letti o di un altro operaio è cosa perfettamente
reale, non rischierebbe di dire cose non vere? – Non vere, certamente, rispose;
cosí almeno potrà credere chi si occupa di simili argomenti. – Allora non
meravigliamoci affatto se anche questa opera è, rispetto [b] alla
verità, qualcosa di vago. – No, certo. – Ebbene, ripresi, vuoi che, servendoci
di questi medesimi esempi, ricerchiamo chi mai è questo imitatore? – Se vuoi
..., disse. – Questi nostri letti si presentano sotto tre specie. Uno è quello
che è nella natura: potremmo dirlo, credo, creato dal dio. O da qualcun altro?
– Da nessun altro, credo. – Uno poi è quello costruito dal falegname. – Sí, disse.
– E uno quello foggiato dal pittore. Non è vero? – Va bene. – Ora, pittore,
costruttore di letti, dio sono tre e sovrintendono a tre specie di letti. – Sí,
tre. – Ebbene, il dio, sia che non l’abbia voluto [c] sia che qualche
necessità l’abbia costretto a non creare nella natura piú di un solo e unico
letto, si è limitato comunque a fare, in unico esemplare, quel letto in sé,
ossia “ciò che è” letto. Ma due o piú letti di tal genere il dio non li ha
prodotti, e non c’è pericolo che li produca mai. – Come?, chiese. – Perché,
ripresi, se ne facesse anche due soli, ne riapparirebbe uno di cui ambedue
quelli, a loro volta, ripeterebbero la specie. E “ciò che è” letto sarebbe
quest’ultimo, anziché quei due. – Giusto, [d] rispose. – Conscio di
questo, credo, il dio ha voluto essere realmente autore di un letto che
realmente è, non di un letto qualsiasi; né ha voluto essere un qualunque
fabbricante di letti. E perciò ha prodotto un letto che fosse unico in natura.
– Può darsi. – Vuoi dunque che lo chiamiamo naturale creatore di questa cosa, o
con un titolo consimile? – È proprio giusto, rispose; perché sia questa sia
tutto il resto l’ha fatto in natura. – E il falegname? Non dobbiamo chiamarlo
artigiano del letto? – Sí. – E anche il pittore artigiano e autore di questo
oggetto? – No, assolutamente. – Ma come lo definirai rispetto al letto? –
Secondo me, disse, [e] l’appellativo che piú gli si addice potrebbe
essere “imitatore dell’oggetto di cui quegli altri sono artigiani”. – Bene,
risposi. Allora chiami tu imitatore chi è artefice della terza generazione di
cose a partire dalla natura? – Senza dubbio, rispose. – Tale sarà dunque anche
l’autore tragico, se è vero che è un imitatore. Per natura egli è terzo a
partire dal re e dalla verità. E tali saranno tutti gli altri imitatori. – Può
essere. – Eccoci dunque d’accordo sull’imitatore. Ora veniamo al pittore.
Dimmi: ti [598 a] sembra che egli cerchi di imitare il singolo oggetto
in sé che è nella natura, oppure le opere degli artigiani? – Le opere degli
artigiani, rispose. – Quali sono o quali appaiono? Fa ancora questa
distinzione. – Come dici?, chiese. – Cosí: un letto, che tu lo guardi di lato o
di fronte o in un modo qualsiasi, differisce forse da se stesso? O non c’è
nessuna differenza, anche se appare diverso? E analogamente gli altri oggetti?
– È cosí, rispose; appare diverso, ma non c’è alcuna differenza. [b] –
Esamina ora quest’altro punto. A quale di questi due fini è conformata l’arte
pittorica per ciascun oggetto? A imitare ciò che è cosí come è, o a imitare ciò
che appare cosí come appare? È imitazione di apparenza o di verità? – Di
apparenza, rispose. – Allora l’arte imitativa è lungi dal vero e, come sembra,
per questo eseguisce ogni cosa, per il fatto di cogliere una piccola parte di
ciascun oggetto, una parte che è una copia. Per esempio, il pittore, diciamo,
ci dipingerà un calzolaio, un falegname, gli altri [c] artigiani senza
intendersi di alcuna delle loro arti. Tuttavia, se fosse un buon pittore,
dipingendo un falegname e facendolo vedere da lontano, potrebbe turlupinare
bambini e gente sciocca, illudendoli che si tratti di un vero falegname. –
Perché no? – Ma, mio caro, di tutti costoro si deve, credo, pensare cosí.
Quando, a proposito di un certo individuo, uno venga ad annunziarci di avere
incontrato un uomo che conosce tutti i mestieri e ogni altra nozione propria
dei singoli specialisti, e tutto conosce piú [d] esattamente di chiunque
altro, a tale persona dovremo replicare che è un sempliciotto e che con ogni
probabilità ha incontrato un ciarlatano, un imitatore, da cui è stato
turlupinato; e cosí gli è sembrato onnisciente, ma solo perché è lui incapace
di vagliare scienza, ignoranza e imitazione. – Verissimo, disse. [...]
(Platone, Opere, vol. II,
Laterza, Bari, 1967, pagg. 427-429)