L’anima
bella è quella capace di elevarsi al di sopra del mondo sensibile; l’anima
brutta, invece, è quella che vive seguendo le passioni: vittima e nello stesso
tempo responsabile di una scelta che le è innaturale.
Enneadi, I, 6, 5
1 Bisogna anche sapere quali sono gli
effetti dell’amore per le cose non sensibili che vi fanno provare le belle
occupazioni, i bei caratteri, i costumi temperanti e, in generale, le azioni e
le disposizioni virtuose e la bellezza dell’anima? E che provate quando vi
vedete interiormente belli? E perché voi folleggiate e siete emozionati e
bramate d’essere con voi stessi raccogliendovi fuori del corpo? Questo infatti
provano i veri amorosi. E per quale cosa lo provano? Non per una forma, per un
colore, per una grandezza, ma per l’anima che è senza colore e possiede in sé
l’invisibile temperanza e lo splendore delle altre virtú; <lo provate> quando vedete in voi stessi o
contemplate in altri la grandezza dello spirito, un carattere giusto, la purezza
dei sentimenti, il coraggio su un viso nobile, la gravità, quel rispetto di sé
che si diffonde in un’anima calma, serena ed impassibile e soprattutto
l’irraggiar dell’Intelligenza di essenza divina. In che modo, dunque, amando e
desiderando queste cose, le diciamo belle? Poiché esse lo sono manifestamente e
chiunque le veda dirà che esse sono realtà vere. Ma che sono queste realtà?
Belle, certamente. Ma la ragione desidera ancora sapere quello che esse sono
per rendere amabile l’anima; che cosa brilla dunque sopra tutte le virtú come
una luce?
2 Vorremo, considerando i loro contrari,
cioè le bruttezze dell’anima, porle per opposizione? Sarà forse utile alla
nostra questione sapere cos’è la bruttezza e perché si manifesta. Sia dunque
un’anima brutta, intemperante e ingiusta, piena di numerosi desideri e del
massimo turbamento, timorosa per debolezza, invidiosa per meschinità, che pensa
sí, ma solo a oggetti mortali e vili, sempre falsa, amica dei piaceri impuri,
vivente solo della vita delle passioni corporee cosí da trovare il suo piacere
nella turpitudine. E non diremo noi che questa bruttezza è sopraggiunta in lei
come un male estrinseco che la sporca, la rende impura e la mescola a grandi
mali, in modo che la vita e le sue sensazioni non sono piú pure? [...]
(Plotino, Enneadi, Rusconi, Milano, 1992, pagg. 133-135)