La vera
natura dell’anima la porta a separarsi dal corpo. Si tratta di un processo di
purificazione guidato dalla ragione.
Enneadi, I, 2, 5
1 Bisogna vedere sin dove <ci conduce> la purificazione: cosí soltanto
vedremo a chi diventiamo simili <per la virtú> e a quale dio identici.
2 Anzitutto si deve ricercare in che modo <la virtú purifichi> l’animo, il desiderio e tutte le
altre affezioni, dolori e passioni consimili; e cioè sino a qual punto l’anima
si possa separare dal corpo.
3 Per separarsi cosí dal corpo, essa si
raccoglie in se stessa, quasi da luoghi diversi, completamente impassibile,
considerando come semplici sensazioni i piaceri inevitabili; guarisce ed evita
i dolori solo per non essere inquietata, né piú sente le sofferenze, o, se ciò
non è possibile, le sopporta serenamente e le diminuisce col non condividerle;
sopprime l’ira, per quanto è possibile e, se non può, non si lascia dominare da
essa, <lasciando> al corpo il movimento involontario
che diventa raro e debole; non ha timore – di nulla infatti essa ha paura,
quantunque anche qui <il timore possa esistere>, come impulso involontario – eccetto quando esso sia di
avvertimento.
4 È chiaro che non c’è in lei nessun
desiderio di cosa turpe: desidera il mangiare e il bere non per sé, ma per
soddisfare <i bisogni del corpo>, né ricerca i piaceri d’amore, o soltanto, io credo,
quelli naturali che non abbiano un cieco impulso; e se fa questo, lo fa con una
fantasia già dominata.
5 E cosí sarà completamente pura da tutte
queste passioni e vorrà purificare anche la sua parte irrazionale, in modo che
essa non riceva alcun colpo dall’esterno, o almeno non violentemente, sicché
alla fine quei colpi diventino piú rari e cessino del tutto per la sua
vicinanza: sarà come di un uomo che vive presso un saggio e trae profitto da
questa vicinanza, o diventando simile ad esso, oppure vergognandosi di osare
ciò che l’uomo buono non vuole che egli faccia. Non ci sarà dunque nessuna
lotta. Basta che la ragione sia presente, e la parte inferiore <dell’anima> la rispetterà e, ove si agiti con
violenza, si irriterà da se stessa di non conservare la serenità alla presenza
del padrone e rinfaccerà a se stessa la sua debolezza.
(Plotino, Enneadi, Rusconi, Milano, 1992, pagg. 79-81)