Per Plotino
esistono tre tipi di uomini, a cui sono collegati tre modi di essere e tre
livelli di conoscenza. Il primo è quello degli uomini che rimangono attaccati
alla terra, il secondo è quello di coloro che tentano di elevarsi ma
falliscono, il terzo è quello di coloro che “si sollevano al di sopra delle
nubi e della nebbia terrena” e che Plotino definisce “divini”.
Enneadi, V, 9, 1
1 Tutti gli uomini, fin dalla nascita, si
servono dei sensi prima che dell’intelligenza e s’imbattono anzitutto nelle
cose sensibili: alcuni rimangono fermi ad esse per tutta la vita e credono che
esse siano le prime e le ultime ritenendo che il dolore e il piacere che c’è in
esse sia il male e il bene; in tal modo trascorrono la vita sfuggendo l’uno e
rincorrendo l’altro; e chi fra loro dà una certa importanza alla filosofia,
sostiene che questa sia la sapienza. Costoro sono simili a quegli uccelli
pesanti che hanno avuto molto dalla terra e, resi pesanti, non riescono a
volare in alto, pur avendo ricevuto le ali dalla natura.
2 Ce ne sono altri che si sollevano un po’
dal basso, poiché la parte migliore della loro anima li spinge dal piacere alla
bellezza, ma, essendo incapaci di vedere le vette e non avendo un altro punto
sul quale appoggiarsi, cadono in basso, insieme con la loro parola “virtú”,
verso la vita pratica, verso la scelta fra le cose terrene, dalle quali prima
avevano cercato di elevarsi.
3 E c’è finalmente una terza schiatta di
uomini divini che hanno una forza maggiore e una vista piú acuta, i quali
vedono con uno sguardo penetrante lo splendore di lassú e si elevano al di
sopra delle nubi e della nebbia terrena e, disdegnando tutte le cose mondane,
gioiscono di quel luogo vero e familiare, come un uomo che, dopo tanto
vagabondare, torna alla sua patria bene governata.
(Plotino, Enneadi, Rusconi, Milano, 1992, pag. 931)