Poincaré, Osservazioni di epistemologia

Sottolineando l’ineliminabile componente soggetiva, Poincaré svolge una critica puntuale alla teoria dell’induzione e alla pretesa essenzialista dell’epistemologia ottocentesca.

 

H. Poincaré, La scienza e l’ipotesi, ad. it. di F. Albergamo, La Nuova Italia, Firenze, 1949, pagg. 110-115

 

Che cosa è dunque una buona esperienza? È quella che ci fa conoscere qualcosa piú di un fatto isolato: è quella che ci permette di prevedere, cioè di generalizzare. E invero, senza generalizzazione la previsione è impossibile. Le circostanze in cui si opera non si riprodurranno mai tutte insieme. Il fatto osservato non ritornerà quindi giammai; la sola cosa che si possa affermare è che in circostanze analoghe si produrrà un fatto analogo. Per prevedere bisogna dunque almeno invocare l'analogia, cioè bisogna generalizzare. Per cauti che si sia, è necessario interpolare; l'esperienza non ci dà che un certo numero di punti isolati; bisogna riunirli con un tratto continuo: e ciò costituisce una vera generalizzazione. Ma si fa di piú: la curva da tracciare passerà tra i punti osservati e vicino a essi, non per i punti stessi. Cosí non ci si limita a generalizzare l'esperienza, la si corregge; e il fisico che volesse astenersi da queste correzioni e contentarsi veramente dell'esperienza pura e semplice, sarebbe costretto a enunciare delle leggi ben straordinarie.

I fatti bruti non ci possono dunque bastare; ecco perché ci occorre la scienza ordinata e generalizzata. Si dice spesso che bisogna sperimentare senza idee preconcette. Questo non è possibile; non solamente ciò equivale a rendere sterile ogni esperienza, ma, anche se lo si volesse, non si potrebbe. Ciascuno porta in sé la concezione del mondo, da cui non ci si può disfare tanto facilmente. Bisogna bene, per esempio, che noi ci serviamo del linguaggio, e il nostro linguaggio è impastato di idee preconcette: non può esserlo d'altro. Solo che esse sono idee preconcette incoscienti, mille volte piú pericolose delle altre. Diremo che facendone intervenire altre, di cui avremo piena coscienza, aggraveremo il male? Io non lo credo: credo piuttosto che esse si faranno reciprocamente contrappeso, e vorrei quasi dire serviranno di antidoto; generalmente, si accorderanno male tra di loro; entreranno in conflitto le une con le altre, e perciò ci costringeranno a esaminare le cose da diversi aspetti. È abbastanza per liberarcene: non si è piú schiavi quando si può scegliere il padrone. Cosí, in virtú della generalizzazione, ciascun fatto osservato ce ne fa prevedere un gran numero; solo che noi non dobbiamo dimenticare che il primo solo è certo e che tutti gli altri sono soltanto probabili. Per quanto saldamente stabilita ci possa sembrare una previsione, non siamo mai assolutamente sicuri che l'esperienza non la smentirà, se cercheremo di verificarla. Ma la probabilità è spesso assai grande, per potercene accontentare. Val meglio prevedere senza certezza che non prevedere affatto. Non si deve dunque mai disdegnare di fare una verifica, quando se ne presenti l'occasione. Ma ogni esperienza è lunga e difficile, i lavoratori sono poco numerosi; e il numero dei fatti che ci occorre prevedere immenso; di fronte a questa massa, il numero delle verificazioni dirette che potremo fare sarà sempre una quantità trascurabile. Da questo poco che possiamo direttamente raggiungere bisogna trarre il miglior partito; fa d'uopo che ciascuna esperienza ci permetta il maggior numero possibile di previsioni e col piú alto grado di probabilità possibile. Il problema è di aumentare, per dir cosí, il rendimento della macchina scientifica.

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 750-751