Popper, Berkeley, gli scienziati e i filosofi

Che cosa è l'“oggetto” della fisica galileiana e newtoniana se non l'idea generale astratta che Berkeley rifiuta con tanta decisione? Il tempo, lo spazio, l'estensione non hanno alcuna realtà; le leggi della fisica non mettono in relazione tra loro enti reali, specifici e determinati; possono al massimo essere utili a spiegare i rapporti fra gli enti che sono oggetto delle sensazioni, ma non descrivono assolutamente nulla: sono ipotesi e strumenti.

Karl R. Popper (1902-1994), in questa critica da parte di Berkeley alla fisica classica coglie l'atteggiamento “strumentalista” che sarà alla base di gran parte della fisica del Novecento, ma vi vede anche le radici di un dibattito filosofico che dal Settecento è arrivato fino ai nostri giorni.

 

K. R. Popper, Tre punti di vista a proposito della conoscenza umana [1956]

 

La Chiesa [ai tempi di Copernico e di Galileo] non aveva nessuna intenzione di prendere in considerazione la verità di un Nuovo Sistema del Mondo che sembrava contraddire un passo del Vecchio Testamento. Ma questa non era la sua ragione principale: una ragione piú profonda fu formulata chiaramente dal vescovo Berkeley, circa cent'anni dopo, nella sua critica a Newton.

Ai tempi di Berkeley il sistema copernicano del mondo si era sviluppato confluendo nella teoria della gravitazione di Newton, e in quest'ultima Berkeley vedeva una seria competitrice della religione. Berkeley era convinto che, se l'interpretazione dei “liberi pensatori” era corretta, la nuova scienza avrebbe messo capo a un declino della fede religiosa e dell'autorità della religione; egli infatti vedeva nel successo della nuova scienza una prova della capacità dell'intelletto umano di scoprire, senza l'aiuto della rivelazione divina, i segreti del nostro mondo, la realtà nascosta dietro l'apparenza.

Ciò, secondo Berkeley, equivaleva a interpretare erroneamente la nuova scienza. Egli analizzò la teoria di Newton con un atteggiamento assolutamente privo di pregiudizi e con grande acume filosofico, e uno sguardo critico alle concezioni di Newton lo convinse che la sua teoria non poteva essere null'altro che un'“ipotesi matematica”, cioè uno strumento conveniente per il calcolo o la predizione dei fenomeni o apparenze, che in nessun modo poteva essere considerata una descrizione di alcunché di reale.

I fisici quasi non si accorsero delle critiche di Berkeley, ma le raccolsero i filosofi, scettici e religiosi. Cosí l'arma diventò un boomerang. Nelle mani di Hume si trasformò in una minaccia per ogni credenza: per ogni conoscenza umana o rivelata. Nelle mani di Kant, che credeva fermamente in Dio e nella verità della scienza newtoniana, si trasformò nella dottrina che la conoscenza teoretica di Dio è impossibile e che la scienza newtoniana deve pagare il riconoscimento della sua pretesa alla verità con la rinuncia alla pretesa di aver scoperto il mondo reale che sta dietro il mondo dell'apparenza; è una scienza vera della natura, ma la natura non è altro che il mondo dei puri fenomeni: il mondo come appare alla nostra mente che l'assimila. Piú tardi, certi pragmatisti basarono tutta quanta la loro filosofia sul punto di vista che l'idea di una conoscenza pura è un errore, che non può esserci conoscenza in nessun altro senso se non in quello di conoscenza strumentale; che la conoscenza è potere, e che la verità è utilità.

Tranne poche brillanti eccezioni, i fisici si mantennero al di sopra di tutte queste dispute filosofiche, che rimasero del tutto inconcludenti. Fedeli alla tradizione inaugurata da Galileo, si votarono alla ricerca della verità, come Galileo l'aveva intesa.

O almeno vi si dedicarono fino a pochissimo tempo fa. Tutto ciò è ora storia passata. Oggi la concezione della scienza fisica fondata da Osiander, dal cardinale Bellarmino e dal vescovo Berkeley ha vinto la sua battaglia senza sparare un solo altro colpo. Senza dibattere ulteriormente il problema filosofico, senza produrre nessun nuovo argomento, il punto di vista strumentalistico (cosí lo chiamerò) è diventato un dogma indiscusso. Ora può essere a ragione chiamato il “punto di vista ufficiale” della teoria fisica - da quando è stato accettato dalla maggior parte dei nostri principali teorici della fisica (esclusi, però, Einstein e Schrédinger). Ed è diventato una parte dell'insegnamento corrente della fisica.

 

(K. R. Popper, Filosofia e scienza, Einaudi, Torino, 1969, pagg. 13-15)