Presentiamo
in questa lettura la famosa proposta popperiana della “possibilità di
falsificazione” come criterio di demarcazione fra scienza e non scienza.
K. R.
Popper, Logik of Scientific Discovery, trad. it. Logica della scoperta scientifica, di M. Trinchero, Einaudi, Torino, 1970,
pagg. 21-25
Il criterio di demarcazione inerente alla logica induttiva – cioè il dogma positivistico del significato – è equivalente alla richiesta che tutte le asserzioni della scienza empirica (ovvero tutte le asserzioni “significanti”) debbano essere passibili di una decisione conclusiva riguardo la loro verità e falsità; diremo che devono essere deducibili in modo conclusivo. Ciò significa che la loro forma dev'essere tale che sia il verificarle sia il falsificarle debbano essere logicamente possibili. Cosí Schlick dice: “[...] un'asserzione autentica deve essere passibile di verificazione conclusiva”; e Waismann afferma ancor piú chiaramente: “Se non è in alcun modo possibile determinare se un'asserzione è vera, allora l'asserzione non ha alcun significato. Infatti il significato di un'asserzione è il metodo della sua verificazione”.
Ora, secondo me, non esiste nulla di simile all'induzione. È pertanto logicamente inammissibile l'inferenza da asserzioni singolari “verificate dall'esperienza” (qualunque cosa ciò possa significare) a teorie. Dunque le teorie non sono mai verificabili empiricamente. Se vogliamo evitare l'errore positivistico, consistente nell'eliminare per mezzo del nostro criterio di demarcazione i sistemi di teorie delle scienze della natura, dobbiamo scegliere un criterio che ci consenta di ammettere, nel dominio della scienza empirica, anche asserzioni che non possono essere verificate.
Ma io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall'esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di esser scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall'esperienza.
(Cosí l'asserzione “Domani qui pioverà o non pioverà” non sarà considerata un'asserzione empirica, semplicemente perché non può essere confutata, mentre l'asserzione “Qui domani pioverà” sarà considerata empirica).
Contro il criterio di demarcazione che ho proposto qui si possono sollevare diverse obiezioni. In primo luogo può sembrare piuttosto sciocco il suggerire che la scienza, la quale dovrebbe darci informazioni positive, si debba caratterizzare dicendo che soddisfa un criterio negativo come la confutabilità. Ma nei §§ 31-46 mostrerò che quest'obiezione ha poco peso, perché la quantità di informazione intorno al mondo fornita da un'asserzione scientifica è tanto piú grande quanto maggiore è la possibilità che essa entri in conflitto, in virtú del suo carattere logico, con possibili asserzioni singolari. (Non per nulla chiamiamo “leggi” le leggi di natura: quanto piú vietano, tanto piú dicono).
Ancora: si potrebbe tentare di rivolgere contro me stesso le critiche che ho rivolto al criterio di demarcazione induttivistico: potrebbe infatti sembrare che contro la falsificabilità come criterio di demarcazione sia possibile sollevare critiche simili a quelle che io, per parte mia, ho sollevato contro la verificabilità.
Questo attacco non può darmi noia. La mia proposta si basa su un'asimmetria tra verificabilità, e falsificabilità, asimmetria che risulta dalla forma logica delle asserzioni universali. Queste, infatti, non possono mai essere derivate da asserzioni singolari, ma possono venir contraddette da asserzioni singolari. Di conseguenza è possibile, per mezzo di inferenze puramente deduttive (con l'aiuto del modus tollens della logica classica), concludere dalla verità di asserzioni singolari alla falsità di asserzioni universali. Un tale ragionamento, che conclude alla falsità di asserzioni universali, è il solo tipo di inferenza strettamente deduttiva che proceda, per cosí dire, nella “direzione induttiva”; cioè da asserzioni singolari ad asserzioni universali.
Una terza obiezione può forse sembrare piú seria. Si può dire che, anche ammettendo l'asimmetria, è ancora impossibile, per varie ragioni, che un qualsiasi sistema teorico possa mai essere falsificato in modo conclusivo. Infatti è sempre possibile trovare qualche scappatoia per sfuggire alla falsificazione: per esempio, introducendo ad hoc un'ipotesi ausiliaria oppure trasformando, ad hoc, una definizione. È anche possibile adottare la posizione che consiste, semplicemente, nel respingere qualsiasi esperienza falsificante, senza che ciò conduca a contraddizioni. È vero che di solito gli scienziati non procedono in questo modo, ma tale procedimento è logicamente possibile; e il meno che si possa sostenere è che questo fatto rende dubbio il valore del criterio di demarcazione che ho proposto.
Devo ammettere che questa critica è giusta; ma non per questo è necessario che io ritiri la mia proposta di adottare la falsificabilità come criterio di demarcazione. Nel § 20 e in quelli seguenti proporrò infatti che il metodo empirico venga caratterizzato come un metodo che esclude precisamente quei modi di sfuggire alla falsificazione che, come giustamente insiste il mio critico immaginario, sono logicamente ammissibili. Secondo la mia proposta, ciò che caratterizza il metodo empirico è la maniera in cui esso espone alla falsificazione, in ogni modo concepibile, il sistema che si deve controllare. I1 suo scopo non è quello di salvare la vita a sistemi insostenibili, ma, al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si rivela piú adatto, dopo averli esposti tutti alla piú feroce lotta per la sopravvivenza.
Il criterio di demarcazione che ho proposto conduce anche a una soluzione del problema dell'induzione di Hume; del problema, cioè, della validità delle leggi di natura. La radice di questo problema è l'apparente contraddizione tra quella che può essere chiamata “la tesi fondamentale dell'empirismo” – la tesi secondo cui soltanto l'esperienza può decidere della verità o della falsità delle asserzioni della scienza – e la realizzazione humeana dell'inammissibilità delle argomentazioni induttive. Questa contraddizione nasce soltanto se si assume che tutte le asserzioni empiriche della scienza debbano essere “decidibili in modo conclusivo”; se cioè si assume che tanto la loro verificazione quanto la loro falsificazione debbano essere entrambe possibili in linea di principio. Se rinunciamo a questa esigenza e ammettiamo come empiriche soltanto quelle asserzioni che sono decidibili in un unico senso – unilateralmente decidibili e, piú specificamente, falsificabili – e possono essere controllate per mezzo di tentativi sistematici di falsificarle, allora la contraddizione svanisce: il metodo della falsificazione non presuppone alcun'inferenza induttiva, ma soltanto le trasformazioni tautologiche della logica deduttiva, la cui validità è fuori discussione.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. III, pagg. 497-499