La verità, in quanto inesauribile si offre soltanto a un possesso così fatto che non cessa d'esser tale se si presenta come un compito infinito; anzi, ch'è un compito infinito proprio in quanto è non semplice approssimazione o immagine della verità, ma suo reale ed effettivo possesso. Certo, può sembrare contraddittoria e paradossale questa natura dell'interpretazione, ch'è al tempo stesso possesso effettivo e processo interminabile, e che quindi unisce nello stesso punto stabilità e mobilità, fermezza e continuazione, raggiungimento e ricerca. Ma soccorre ancora l'analogia dell'arte, in cui la lettura è indubbiamente un vero possesso dell'opera eppure il suo senso consiste nell'essere un invito a rileggere; in cui la coscienza d'aver penetrato l'opera è accompagnata dalla consapevolezza di dover procedere a un ulteriore approfondimento: in cui ogni rivelazione è premio e conquista solo come stimolo e promessa di nuove rivelazioni. E se nell'arte ciò che permette di unire senza contraddizione possesso e ricerca è l'inesauribilità stessa dell'opera, tanto più s'intende come ciò possa avvenire nell'interpretazione della verità, dato il carattere assai più intenso e profondo e originario dell'inesauribilità di quest'ultima; sì che apparirà ben chiaro come uno dei cardini fondamentali dell'ermeneutica è, appunto, la compatibilità, anzi la coessenzialità del possesso e del processo, della conquista e della ricerca, della padronanza e dell'approfondimento.
(PAREYSON, ESTETICA VI, 80-81)