I - 1. La madre di Cicerone, raccontano, si chiamava Elvia: di nobile famiglia, condusse una vita tranquilla e onesta. Invece, le notizie relative al padre sono discordi:
2. c'è chi sostiene che sia nato e poi cresciuto nella bottega di un cardatore, altri fanno discendere la sua stirpe da Tullo Attio, un energico re volsco che combatté con i Romani non senza risultati.
3. Pare che il primo membro della famiglia ad essere soprannominato Cicerone sia stato persona d'importanza; per questo i suoi discendenti non rifiutarono l'appellativo, anzi lo conservarono con ogni riguardo, senza curarsi di chi li derideva (ed erano in molti).
4. In latino, infatti, cicer significa cece: quell'antenato sembra che avesse sulla punta del naso un'escrescenza carnosa, aperta in mezzo proprio come un cece, da cui gli sarebbe derivato il soprannome.
5. Quando il nostro Cicerone, soggetto di questo scritto, agli esordi della carriera politica aspirava alla sua prima carica, i suoi amici gli consigliarono di rifiutare l'appellativo e di mutarlo con un altro; ma lui, con la spavalderia propria dei giovani, rispose che avrebbe lottato per dimostrare che il nome Cicerone poteva valere più degli Scauri o dei Catuli.
6. Durante la sua questura in Sicilia, poi, consacrò agli dèi un oggetto d'argento, su cui fece incidere i suoi due primi nomi, Marco e Tullio; al posto del terzo, invece, ordinò per scherzo all'artista di raffigurare un cece. Questo è quanto si tramanda a proposito del nome.
II - 1. Dicono che la madre di Cicerone lo partorì senza dolore né fatica due giorni dopo le Calende del nuovo anno: oggi, in quello stesso giorno, i magistrati rivolgono preghiere e sacrifici alla sacra persona dell'imperatore. La nutrice che lo stava allattando ebbe una visione, con cui le si preannunciava che il bimbo si sarebbe rivelato di estrema utilità per tutti i Romani.
2. Che sogni come questo non siano sempre chiacchiere, come sembra, bensì profezie veritiere, fu lo stesso Cicerone a dimostrarlo velocemente, non appena giunse in età scolare: dato che, brillante d'ingegno, si era creato un nome e godeva di una certa fama tra i compagni, i padri di questi si recavano a scuola a vedere con i loro occhi quel prodigio di Cicerone e saggiare la sua tanto celebrata predisposizione per gli studi e la sua intelligenza. I più rozzi, invece, se la prendevano con i figli vedendo che, quando camminavano per strada con Cicerone, lo tenevano rispettosamente nel mezzo.
3 Il giovane si rivelò capace di abbracciare qualunque dottrina e di non disdegnare alcun aspetto dell'insegnamento o della cultura, proprio come, secondo Platone, dovrebbe fare ogni animo filosofo amante del sapere; alla fine, però, si dedicò tutto alla poesia. Oggi, purtroppo, ci resta solo un poemetto giovanile, intitolato Glauco marino e composto in tetrametri.
4. Con il passare degli anni, conobbe ogni segreto, ogni sfumatura dell'arte poetica e si acquistò la fama di essere in tutta Roma il miglior retore sì, ma anche il più grande poeta.
5. Si riconoscono ancor oggi le sue grandi qualità di oratore, anche se è notevolmente cambiato il modo di esporre in pubblico; quanto alle capacità poetiche, invece, ci sono stati parecchi validi autori dopo di lui e di conseguenza la sua opera, almeno in questo campo, non ha più alcuna importanza, per non dire che è stata dimenticata.
III - 1. Conclusi gli studi elementari, seguì le lezioni dell'accademico Filone che i Romani, tra tutti i discepoli di Clitomaco, apprezzavano particolarmente per le capacità oratorie ed amavano anche come uomo.
2. Sempre nello stesso periodo frequentò il gruppo di politici e senatori eminenti che facevano capo a Mucio Scevola, dalla cui lunga esperienza in campo giuridico egli trasse utilissimi insegnamenti; per qualche tempo, poi, prestò pure servizio militare sotto Silla, impegnato nella guerra marsica.
3. Quando, però, si rese conto che da semplice ribellione locale il conflitto stava degenerando in una guerra civile, che avrebbe portato all'accentrarsi dei poteri in un solo individuo, preferì ritornare a una vita contemplativa, meno impegnata in prima linea; prese, quindi, a frequentare studiosi greci e ad attenersi ai loro insegnamenti finché Silla non si impadronì del potere e la città sembrò tornare alla calma.
4. Durante quel periodo, Crisogono, un liberto di Silla, mise all'asta i beni di un tizio, ucciso perché segnalato nelle liste di proscrizione, e li comprò lui stesso per duemila dracme.
5. Roscio, allora, figlio ed erede della vittima, si risentì molto per l'accaduto e riuscì a dimostrare che le sostanze paterne valevano duecentocinquanta talenti; Silla montò su tutte le furie per essere stato colto in fallo e intentò a Roscio una causa, accusandolo di avere ucciso il padre. Fu Crisogono a macchinare tutto; nessuno, comunque, si schierò dalla parte di Roscio: anzi, per paura della crudeltà di Silla, ci si teneva alla larga dall'imputato. Il giovane fu costretto a fuggire e a vivere in totale isolamento; gli amici, allora, spinsero Cicerone ad abbracciare quella causa, perché - dicevano - non poteva esserci inizio migliore e più illustre per diventare famoso.
6. Se ne assunse, quindi, lui stesso la difesa, ebbe successo e suscitò l'ammirazione di molti; ma temeva la reazione di Silla e quindi se ne partì per la Grecia, non senza aver prima sparso la voce che aveva bisogno di qualche cura.
7. Effettivamente era di costituzione debole, quasi emaciato, e soffriva di problemi digestivi, per cui si riduceva a consumare solo cibi leggeri e per di più a tarda ora. La sua voce, però, era forte e potente, anche se un po' rigida e poco articolata; quando la sforzava su toni più alti, perché magari il discorso richiedeva partecipazione e vigore, si temeva addirittura per la sua salute.
IV - 1. Una volta giunto ad Atene, rimase affascinato dalla scorrevolezza e dall'eleganza dei discorsi di Antioco di Ascalona e ne divenne discepolo; tuttavia, non ne condivideva l'elemento di novità da lui apportato in filosofia:
2. Antioco si era, infatti, già da tempo allontanato dalla cosiddetta "Nuova Accademia" e in modo particolare dalla scuola di Carneade, non si sa se convinto dall'evidenza dei sensi o, come alcuni sostengono, per rivalità e tensioni con i discepoli di Clitomaco e Filone: comunque, aveva mutato le sue convinzioni e aveva abbracciato quasi completamente la dottrina stoica.
3. A Cicerone, invece, piacevano gli insegnamenti dell'Accademia e continuava a coltivarli: addirittura, pensava che se non fosse riuscito a prendere parte attiva alla vita politica del paese, avrebbe passato il resto della sua esistenza, in tutta tranquillità, a studiare filosofia, dopo essersi gettato alle spalle Foro e affari di Stato.
4. Ma un giorno gli giunse notizia della morte di Silla; il suo fisico, grazie agli esercizi, si era irrobustito e ormai mostrava l'aspetto di un giovane forte e sano; la voce aveva un suo timbro, ora, ed era piacevole ascoltarla perché andava armonizzandosi con il resto della persona. Gli amici da Roma (e spesso anche Antioco) incominciarono a scrivergli con una certa insistenza, invitandolo a dedicarsi alla vita pubblica; e ancora una volta Cicerone, come fosse il suo strumento di lavoro, si esercitò ad affinare le qualità oratorie e a rispolverare le sue capacità in politica, frequentando i più famosi retori.
5. Mosso da questo intento, navigò fino in Asia e a Rodi: in Asia seguì le lezioni di oratori quali Senocle di Adramitto, Dionigi di Magnesia, Menippo di Caria, a Rodi quelle del retore Apollonio, figlio di Molone, e del filosofo Posidonio.
6. Si racconta che Apollonio non conoscesse il latino e obbligasse, quindi, Cicerone ad esercitarsi in greco; il giovane accettò di buon grado, perché convinto che da un'esperienza del genere avrebbe tratto maggior profitto per la sua preparazione.
7. Terminato l'esercizio, i presenti, sbalorditi da tanta bravura, fecero a gara tra loro per complimentarsi con lui; solo Apollonio, che pure lo aveva ascoltato, non era contento: rimase seduto a lungo, con il viso pensieroso - mentre Cicerone aveva già concluso da un pezzo -, poi, visto che il giovane sembrava soffrire di questo silenzio, si affrettò a dar spiegazione: "Mi complimento con te, Cicerone, e ti ammiro, ma compiango la sorte della Grecia, perché vedo che i soli beni che ancora ci restavano, la cultura e l'eloquenza, sono ormai, grazie a te, vanto di voi Romani".
V - 1. E così Cicerone si diede, pieno di speranze, alla carriera politica, ma il suo entusiasmo fu frenato da una profezia. Si recò, infatti, all'oracolo di Delfi per domandare come poter diventare davvero famoso e la Pizia gli consigliò di farsi guidare dalla sua natura, non dall'opinione degli altri.
2. Tornato a Roma, trascorse i primi tempi un po' appartato e si mostrò indifferente e quasi disinteressato alle cariche politiche; c'era chi lo chiamava "il Greco" o "lo Scienziato" - e lui lo sapeva -, ma ciò avveniva negli ambienti più lontani dalla cultura, inclini a certe volgarità.
3 Tuttavia, la sua natura era troppo ambiziosa e per di più risentiva delle pressioni del padre e degli amici che lo incoraggiavano ad agire; fu così che decise di dedicarsi completamente alla carriera forense. La sua ascesa verso il primato non avvenne gradatamente: Cicerone si ritrovò sùbito famoso e netta segnò la differenza con gli altri avvocati del foro.
4 Dicono che, però, anche lui, non meno di Demostene, avesse qualche difficoltà a parlare in pubblico: per questo si mise a frequentare con assiduità le lezioni dell'attore comico Roscio e di quello tragico Esopo.
5 A proposito di quest'ultimo, si narra che una volta, mentre recitava in teatro la parte di Atreo che meditava vendetta contro Tieste, sbucò all'improvviso sul palcoscenico un inserviente; Esopo, allora, in preda a una fortissima tensione emotiva e completamente fuori di sé, lo colpì con lo scettro e lo uccise.
6. L'incontro di Cicerone con il mondo del teatro influenzò profondamente la sua capacità di persuadere l'uditorio. Quei retori, ad esempio, che di solito gridano in assemblea, lui li derideva, dicendo che si servono dell'urlo per mascherare la loro debolezza, proprio come gli zoppi che vanno a cavallo. Aveva, in effetti, una certa predisposizione alla battuta di spirito e agli scherzi, che risultava gradita ed elegante persino in tribunale; alla lunga, però, visto che spesso esagerava, furono in molti a considerarlo un po' meno simpatico e ciò gli costò la fama di maligno.
VI - 1. Cicerone fu eletto questore in un periodo di carestia. Gli venne affidata la Sicilia e la cosa, in un primo tempo, infastidì molto gli abitanti dell'isola, costretti a inviare grano a Roma. Ma in séguito gli tributarono onori come mai avevano fatto con altri magistrati, perché avevano sperimentato quanto fosse meticoloso, giusto nelle decisioni e buono d'animo.
2. Una volta, ad esempio, furono mandati da Roma al pretore di Sicilia parecchi illustri giovani, tutti di nobile famiglia, accusati di insubordinazione e tentata diserzione in guerra: Cicerone se ne assunse la difesa, fu un successo e per loro la salvezza.
3. Qualche tempo dopo, gli capitò un fatto curioso che lui stesso ci racconta: era in viaggio verso Roma e intanto ripensava, compiacendosene, al suo operato, quando in Campania si imbatté in un signore distinto, che gli sembrava un suo amico. Allora, gli domandò che cosa si pensasse a Roma dei suoi successi, come venissero considerati, convinto qual era di aver riempito l'intera città del suo nome e dell'eco delle sue gesta famose.
4. E l'amico, anziché rispondere, gli chiese: "Ma dove sei stato, Cicerone, per tutto questo tempo?". Sul momento ebbe davvero un brutto colpo, perché si rese conto che la sua fama si era persa in città come in un mare aperto e non gli era servita a farsi un nome. Tuttavia, dopo averci riflettuto a mente fredda, si scrollò di dosso molta della sua presunzione, e decise di tendere a un tipo di gloria che non fosse di breve durata: anzi, a una che fosse praticamente irraggiungibile.
5. In realtà, nonostante i buoni propositi, lo accompagnarono tutta la vita la smania di diventare qualcuno e l'eccessivo compiacimento che provava al sentirsi lodare, sensazioni, queste, capaci in più occasioni di sconvolgere i suoi retti intendimenti.
VII - 1. Si gettò, quindi, in politica con passione, guidato da una convinzione: secondo lui, era inconcepibile che gli artigiani, che pure si servono di attrezzi da lavoro inanimati, ne conoscano alla perfezione nomi, collocazione e funzione, mentre il politico, che si occupa degli affari pubblici usando gli uomini come fossero strumenti, non si preoccupi affatto di saperne di più sul conto dei propri concittadini.
2. Per questo si abituò a ricordare a memoria i loro nomi, e non solo: imparò anche i luoghi abitati da ciascuno dei suoi conoscenti, i terreni di cui fossero possessori, gli amici che frequentavano, i vicini di casa. Se, insomma, Cicerone avesse percorso una qualunque strada d'Italia, non avrebbe avuto difficoltà a identificare e poi fornire notizie su campi e ville di amici.
3. Il suo reddito era ben poca cosa, sufficiente appena a coprire le spese, e faceva meraviglia che non accettasse compensi o doni per le sue difese, soprattutto quando si impegnò nel processo contro Verre.
4. Questi era stato pretore in Sicilia e in più occasioni, commettendo ogni tipo di sopruso, aveva agito contro l'interesse dei Siciliani; fu, quindi, da loro processato e condannato per opera di Cicerone, che, in sostanza, non pronunciò parola contro di lui, ma fece sì che, in un certo senso, non ce ne fosse neanche bisogno.
5. I pretori, tutti schierati dalla parte di Verre, continuarono con proroghe e rinvii a rimandare la seduta sino all'ultimo giorno di udienza; a quel punto era chiaro che l'arco di un giorno non sarebbe bastato per le arringhe e quindi il processo non si sarebbe concluso, ma Cicerone, alzatosi, disse di poter fare a meno delle parole: fatti entrare i testimoni, li interrogò e poi ordinò ai giurati di esprimere pure il loro voto.
6. Comunque, anche a proposito di questo processo si tramandano parecchi aneddoti spiritosi. I Romani, ad esempio, chiamano verres il porco castrato. Ebbene, c'era un liberto di nome Cecilio, sospettato di essere giudeo, che voleva mettere in ombra i Siciliani e formulare in prima persona l'accusa contro Verre: "Che c'entra un Giudeo con un porco?", fu il commento di Cicerone al fatto.
7. Verre aveva un figlio giovinetto che, secondo alcune voci, metteva in vendita la propria bellezza. Per questo Cicerone, deriso da Verre per il suo essere effeminato, poté rispondere: "I propri figli conviene biasimarli dentro casa".
8. L'oratore Ortensio, invece, non aveva voluto assumersi apertamente la difesa di Verre: accettò di assisterlo solo quando ci fu da definire la multa e ne ebbe come compenso una Sfinge d'avorio. Una volta che Cicerone gli si rivolse con un linguaggio ambiguo, Ortensio gli rispose di non sapere sciogliere gli enigmi. "Eppure, hai la Sfinge in casa", concluse l'oratore.
VIII - 1. Ottenuta la condanna di Verre, Cicerone ne fece fissare l'ammenda a settecentocinquantamila dracme e per questo fu calunniato di essersi lasciato comprare per diminuire l'importo della multa.
2. I Siciliani, invece, gli furono riconoscenti e lo colmarono di doni, portati personalmente dall'isola a Roma mentre lui ricopriva la carica di edile. Cicerone non trasse alcun guadagno da quelle offerte, piuttosto utilizzò quanto ricevette dalla generosità di quegli uomini per abbassare i prezzi del mercato.
3. Possedeva una bella villa ad Arpino e due poderi non molto grandi, uno nei pressi di Napoli, l'altro a Pompei. Dalla dote della moglie Terenzia aveva ricavato centoventimila dracme; in séguito, ereditò la somma di novantamila denarii.
4. Con questi mezzi trascorreva il suo tempo in maniera dignitosa, anche se modesta, in compagnia di letterati greci e romani che vivevano in casa sua. La sera mangiava pochissimo e mai prima del tramonto del sole, non perché fosse troppo impegnato, ma per seri problemi di salute allo stomaco.
5. Per prevenire eventuali altri disturbi, curò il suo corpo con scrupolo e costanza: numerosi, ad esempio, erano i massaggi e le passeggiate che si imponeva. E proprio grazie a un esercizio così puntuale e costante, si mantenne sano e in grado di affrontare gli impegnativi scontri verbali che costavano tante energie.
6. Lasciò al fratello la casa paterna e andò ad abitare sul Palatino per evitare che i suoi visitatori avessero troppa strada da fare. Ogni giorno, infatti, si recavano da lui e ne frequentavano la casa numerose persone, non meno di quelle che frequentavano i personaggi più ammirati fra i Romani, due uomini grandissimi: Crasso, celebrato per le ricchezze, e Pompeo, per il potere militare.
7. Anche Pompeo, comunque, coltivava l'amicizia di Cicerone: la sua attività politica, infatti, lo aiutò molto a conquistare gloria e potere.
IX - 1. Candidatosi alla pretura, benché si fossero presentati con lui numerosi influenti personaggi, fu eletto primo fra tutti e dimostrò fin da sùbito di saper prendere decisioni imparziali e oneste.
2. Una volta, ad esempio, si racconta che giunse al cospetto di Cicerone, accusato di furto, Licinio Macro, un uomo che in città si era conquistato una posizione con le proprie forze, ma anche avvalendosi degli aiuti finanziari di Crasso. Licinio aveva piena fiducia nei propri mezzi e anche nell'interessamento degli amici: per questo non aspettò neanche che i giudici terminassero di votare e se ne tornò a casa. Qui si rasò a zero la testa e velocemente indossò una veste bianca, poi, convinto di esserne uscito assolto, fece ritorno in tribunale. Ma, giunto nell'atrio, gli venne incontro Crasso che gli comunicò che tutti avevano votato contro: Licinio tornò a casa, cadde malato e poco dopo morì. Il caso di Licinio garantì a Cicerone la fama di essere uomo capace di dirigere il tribunale con grande onestà.
3. Un'altra volta, gli si presentò davanti, rivolgendogli non so che domanda, Vatinio, che, nel corso delle sue arringhe, si comportava con i magistrati in maniera dura e arrogante. Cicerone non gli diede sùbito risposta, ma rimase pensoso per parecchio tempo. "Se fossi io pretore, non impiegherei così tanto a rispondere", commentò Vatinio. "Ma io non ho un collo come il tuo", ribatté, a sua volta, Cicerone.
4. Due o tre giorni prima che scadesse il termine della sua carica, si presentò a Cicerone un tal Manilio, su cui gravava l'accusa di furto. Questo Manilio, apprezzato e benvoluto dal popolo, si era fatto strada tramite Pompeo, di cui era amico.
5. A Cicerone chiese qualche giorno per rispondere alle accuse che gli venivano mosse, ma l'oratore gli concesse solo quello seguente, provocando, così, l'irritazione del popolo, perché solitamente i magistrati lasciavano agli imputati almeno dieci giorni di tempo per organizzare la difesa.
6. Per questo i tribuni fecero salire Cicerone sul palco degli imputati e lo accusarono di avere agito scorrettamente nei confronti di Manilio; ma l'oratore, ottenuto il permesso di parlare, fece notare come, in qualunque occasione, nei limiti concessi dalla legge, si fosse mostrato benevolo e umano con gli accusati: ragion per cui gli sembrava ingiusto che Manilio non potesse approfittare della sua disponibilità. Ecco perché aveva stabilito come data del processo quell'unico giorno che ancora gli restava di carica: rinviare l'udienza al pretore successivo non sarebbe stato un modo per aiutare Manilio.
7. Queste parole fecero incredibilmente mutare opinione al popolo: tra grida di acclamazione, chiesero a Cicerone di assumersi lui la difesa di Manilio ed egli accettò volentieri, anzitutto per fare un favore a Pompeo, in quel momento fuori Roma. Fu così che, alzatosi, diede inizio al suo discorso, scagliandosi con forza contro gli oligarchi e gli avversari politici di Pompeo.
X - 1. La sua elezione a console fu caldeggiata dagli aristocratici non meno che dalla massa popolare: chi davvero desiderava il meglio per la città, necessariamente appoggiava la sua candidatura e il motivo è il seguente.
2. Il mutamento operato da Silla nel sistema politico romano da principio aveva suscitato qualche perplessità; in séguito, però, con il passare del tempo, i più si erano abituati e, nell'insieme, sembrava anche che la repubblica avesse raggiunto un assetto più o meno stabile. Ma c'era anche chi, spinto da interessi privati, tentava di sconvolgere e rivoluzionare il sistema, facilitato, in questo, dall'assenza di Pompeo, impegnato a combattere contro i re del Ponto e dell'Armenia: a Roma non c'era, quindi, nessuna forza politica in grado di tenere testa a questi sovversivi.
3. Il loro capo, un uomo audace e ambiguo, dalle mire ambiziose, si chiamava Lucio Catilina: di colpe ne aveva tante, tutte gravi, ma tra le altre quelle di avere abusato della figlia, ancora vergine, e di avere ucciso suo fratello. Quando, poi, lo assalì il timore di finire in tribunale per azioni tanto turpi riuscì a convincere Silla a iscriverlo nelle liste di proscrizione fra i condannati a morte (mentre, in realtà, era ancora vivo e vegeto).
4. Una volta scelto un capo come Catilina, questi scellerati si scambiarono numerosi pegni di fedeltà: arrivarono addirittura a uccidere un uomo e a mangiarne le carni. I giovani Romani che Catilina riuscì a corrompere furono davvero molti: egli garantiva a ciascuno di loro ogni sorta di piacere, vino e donne a volontà, e copriva generosamente tutte le spese necessarie.
5. Ormai si stava spingendo alla rivolta l'intera Etruria e la maggior parte della Gallia Cisalpina, Roma, poi, correva il rischio di assistere a un vero e proprio sovvertimento dell'ordine sociale interno: i più ricchi, infatti, che erano poi anche uomini nobili e famosi, avevano speso tutto per allestire giochi in teatro, organizzare banchetti, finanziare campagne elettorali e costruire case lussuose. Perciò non avevano più neanche un soldo, mentre il potere economico era passato nelle mani dei ceti più modesti. La situazione era talmente compromessa che sarebbe bastata davvero una piccola spinta per far precipitare tutto nelle mani di chi osava rovesciare un governo, già in crisi per conto suo.
XI -1. Tuttavia, Catilina voleva prima assicurarsi un punto di riferimento che fosse saldo, e per questo si mise in corsa per il consolato. Naturalmente la sua speranza era quella di avere come collega Caio Antonio, uomo incapace per carattere di scegliere tra il bene e il male, ma un possibile valido alleato se aiutato a scegliere da qualcun altro.
2. Di un pericolo del genere si era accorta la maggior parte degli ottimati, che promosse, allora, la candidatura di Cicerone. Il popolo accolse con calore la proposta e Catilina cadde, mentre vennero eletti Cicerone e Caio Antonio.
3. Eppure, fra gli aspiranti alla carica Cicerone era il solo a essere nato da un padre cavaliere e non senatore.
XII - 1. I piani di Catilina, tuttavia, ai più non erano ancora noti e, prima dello scontro definitivo, grandi lotte preliminari attendevano il consolato di Cicerone.
2. C'erano, ad esempio, quelli, né pochi né deboli, che erano stati esclusi dalla vita politica secondo la nuova legislazione sillana. Per prima cosa, posero la loro candidatura e cercarono di ingraziarsi il favore del popolo, lanciando accuse giuste e fondate contro il governo tirannico di Silla (ma non era quello il momento più opportuno per mettere sottosopra lo Stato). I tribuni, dal canto loro, avanzarono proposte di legge informate agli stessi scopi e principî: anzitutto, l'istituzione di un decemvirato plenipotenziario che, avendo facoltà di agire in Italia, in Siria e persino nei territori conquistati poco prima da Pompeo, potesse vendere l'agro pubblico, intentare cause a proprio arbitrio, mandare gente in esilio, fondare colonie, appropriarsi del denaro attinto dalle casse dello Stato, provvedere al sostentamento delle milizie e arruolare indiscriminatamente secondo necessità.
3. Tra tutti i personaggi di spicco che si mostrarono favorevoli al provvedimento, il più convinto era Antonio, collega di Cicerone, che sperava di essere uno dei dieci. Non sembra che egli fosse all'oscuro dei piani sovversivi di Catilina, e neanche li disapprovava, perché oppresso dai debiti: soprattutto questo incuteva paura nella parte migliore della città.
4. Cicerone, preoccupato per tale situazione di disagio e di pericolo, assegnò ad Antonio la provincia di Macedonia e rifiutò quella della Gallia, a lui affidata; riuscì così, favorendolo in questo modo, a trarre il collega dalla sua parte e, per usare una metafora teatrale, a dargli un ruolo di comprimario nella lotta per la salvezza della patria.
5. Forte, quindi, dell'appoggio del compagno, divenuto buono e arrendevole, Cicerone prese coraggio e diede inizio alla campagna ostruzionistica contro i sovvertitori. Per prima cosa pronunciò in Senato una requisitoria contro la proposta di legge, così bene argomentata da far restare a bocca aperta i suoi sostenitori, incapaci di controbattere alcunché.
6. Qualche tempo dopo, però, i tribuni tornarono all'attacco e, dopo aver predisposto tutto nei minimi particolari, convocarono i consoli alla presenza del popolo. Cicerone, per nulla intimorito, chiese al Senato di seguirlo e si presentò al pubblico: come prima mossa, bocciò in pieno quella legge e indusse, così, i tribuni a non riprovare neanche con altre proposte, tanta fu la forza del discorso che li soverchiò.
XIII - 1. Infatti, quest'uomo riuscì a dimostrare ai Romani, meglio di chiunque altro, di quanto fascino la parola sappia arricchire un contenuto già di per sé onesto; rivelò, inoltre, che se ci si impegna a fondo, la giustizia diventa una forza imbattibile e che il buon governante, al momento di agire, deve scegliere sempre la via della rettitudine, non dell'adulazione, e saper sfrondare il discorso, in funzione della sua utilità, di ogni elemento che possa infastidire chi ascolta.
2. Prova dell'eleganza delle sue parole la fornì in occasione dei giochi allestiti mentre era console. Usava, infatti, che in teatro i cavalieri assistessero con il popolo agli spettacoli, mescolati casualmente in mezzo alla gente. Il pretore Marco Otone, per onorare la carica, fu il primo a operare una distinzione tra i posti riservati ai cittadini e quelli assegnati ai cavalieri: per questi ultimi scelse la medesima sistemazione a cui hanno diritto ancora ai giorni nostri.
3. Il popolo giudicò la decisione come un segno di disprezzo nei suoi confronti: per questo, non appena Otone si presentò in teatro, volarono insulti e fischi, mentre i cavalieri lo accolsero con festosi applausi. La folla, allora, raddoppiò i fischi e quelli batterono le mani ancora più forte.
4. In un attimo si passò alle offese reciproche e il teatro cadde nel disordine totale. Cicerone, non appena ne fu informato, raggiunse il luogo dello scontro: qui chiamò fuori il popolo e davanti al tempio di Bellona lo rimproverò, facendo mille raccomandazioni. Alla fine, quando la folla rientrò in teatro, applaudì calorosamente Otone, facendo a gara con i cavalieri nel tributargli onori e riconoscimenti.
XIV - 1. Dopo i primi tentativi, caratterizzati da paure e stati d'ansia, i congiurati, stretti intorno a Catilina, ritrovarono il loro coraggio e ripresero a incontrarsi: nel corso delle loro riunioni si esortavano l'un l'altro a essere più intraprendenti nel gestire il colpo di Stato, da attuarsi prima che Pompeo tornasse (correva voce che questi fosse già sulla strada per Roma con tutte le sue truppe).
2. I più accesi sostenitori di Catilina erano gli ex-soldati di Silla, sparsi un po' per tutta Italia, ma concentrati in particolar modo nelle città dell'Etruria, dove i più bellicosi carezzavano la speranza di nuove rapine e saccheggi dei beni a portata di mano.
3. Scelto come capo Mallio, uno di quelli che si erano distinti sotto Silla per valore militare, si coalizzarono con Catilina e giunsero a Roma per sostenerne la candidatura. Si era, infatti, ripresentato per le elezioni a console, con l'intenzione, questa volta, di uccidere Cicerone approfittando dell'inevitabile confusione che si viene a creare in tempo di comizi.
4. Anche gli dèi sembrarono preannunziare gli eventi futuri con presagi, scosse sismiche e saette. Esistevano pure testimonianze attendibili, fornite da diverse persone: ma non furono ritenute prova sufficiente per incriminare un personaggio famoso e potente come Catilina.
5. Per questo Cicerone, fatta rinviare la data dei comizi, invitò Catilina a presentarsi in Senato e gli pose alcune domande circa le voci che sul suo conto circolavano in città.
6. E lui, convinto che tra i senatori ce ne fossero molti desiderosi di una ventata di novità, volle uscire allo scoperto anche con i suoi congiurati; diede, così, a Cicerone una risposta a dir poco folle: "Esistono due corpi: uno magro e deperito ma con la testa, l'altro forte e possente ma privo del capo. Che cosa faccio di così grave se voglio mettere la testa dell'uno sul corpo dell'altro?".
7. Il primo a spaventarsi per questa doppia allusione al Senato e al popolo fu proprio Cicerone che, armatosi di corazza, si fece accompagnare da tutti i nobili e da molti giovani da casa al Campo Marzio:
8. qui lasciò che il mantello gli scivolasse dalle spalle, mettendo, così, in mostra l'armatura e rivelando apertamente a chi guardava il pericolo che si stava correndo. La gente, irritata da questa situazione, si strinse intorno a lui: alla fine, il giorno delle votazioni, bocciò per la seconda volta la candidatura di Catilina ed elesse consoli Silano e Murena.
XV - 1. Non era passato ancora molto tempo che già gli uomini di Catilina confluivano tutti in Etruria e là venivano loro distribuiti i compiti: il giorno stabilito per insorgere era, infatti, prossimo. Nello stesso periodo, una sera, intorno a mezzanotte, si presentarono a casa di Cicerone alcuni tra i più potenti e influenti cittadini romani, Marco Crasso, Marco Marcello e Scipione Metello. I tre, bussato alla porta e chiamato il portinaio, gli ordinarono di svegliare Cicerone e di informarlo della loro visita.
2. Era successo questo: dopo cena, il custode aveva portato a Crasso alcune lettere, consegnate da uno sconosciuto, e indirizzate a varie personalità del mondo romano, una sola, anonima, allo stesso Crasso.
3. Naturalmente Crasso l'aveva letta: il messaggio in essa contenuto preannunciava un'orribile strage ad opera di Catilina e gli consigliava di abbandonare la città. Non aveva neanche aperto le altre lettere, ma, in preda al panico, si era precipitato da Cicerone, anche per tentare di scagionarsi in qualche modo dall'accusa che gli veniva mossa, di intendersela con Catilina.
4. Cicerone, dopo aver riflettuto tutta la notte, appena fece giorno convocò il Senato: portò con sé le lettere, le distribuì ai destinatari e chiese loro di leggerne il contenuto a voce alta. Tutte svelavano, con gli stessi termini, i particolari della congiura.
5. Inoltre, l'ex-pretore Quinto Arrio diede pubblicamente notizia degli schieramenti in Etruria; ci fu anche chi rivelò che Mallio, forte di un poderoso manipolo, si aggirava nervosamente per le città etrusche in attesa di notizie provenienti da Roma. Alla fine il Senato decise con un apposito decreto di affidare la gestione dell'intera vicenda ai due consoli: una volta investiti dell'incarico, avrebbero dovuto fare il possibile per salvare la città. Non era questa una procedura abituale da parte del Senato, ma la si adottava solo quando si temeva qualche grosso pericolo.
XVI - 1. Cicerone, non appena ricevette i pieni poteri, incaricò Quinto Metello di occuparsi degli affari esteri; lui, invece, preferì sovrintendere alla politica interna. Ogni giorno camminava per strada scortato da un numero così elevato di uomini che, quando faceva ingresso nel Foro, le sue guardie del corpo riempivano buona parte dell'intera piazza. Catilina, intanto, che non riusciva più ad aspettare, decise di recarsi personalmente da Mallio, presso il suo esercito; prima, però, lasciò un ordine ben preciso a Marcio e Cetego: i due, armati di pugnale, avrebbero dovuto recarsi di buon mattino a casa di Cicerone, come per dargli il buongiorno; quindi, gettatiglisi ai piedi, ucciderlo a tradimento.
2. La nobile Fulvia, però, si presentò dall'oratore in piena notte e gli rivelò l'esistenza del complotto, raccomandandogli di guardarsi da Cetego e Marcio.
3. I congiurati, la mattina seguente, si presentarono alla porta, ma fu loro impedito di entrare: si adirarono, imprecarono fermi all'ingresso, ma il loro comportamento destò ancora più sospetti. Cicerone, allora, uscito di casa, convocò in assemblea il Senato nel tempio di Zeus Stesio (o Statore, come lo chiamano i Romani), che si erge all'inizio della Via Sacra per chi sale verso il Palatino.
4. Vi si recò anche Catilina con i compagni, per potersi difendere dalle accuse, ma nessun senatore volle star loro vicino: atteso, quindi, che prendessero posto, tutti si sedettero altrove.
5. Appena Catilina aprì bocca, si fece sùbito rumore; alla fine Cicerone si alzò in piedi e gli ordinò di andarsene dalla città. "Sì, perché ci deve essere un muro tra chi vuole governare con le parole e chi con le armi".
6. Catilina partì sùbito con trecento armati, si circondò di fasci e scuri come fosse un magistrato, infine, innalzate le insegne, si diresse velocemente verso Mallio. Raccolse ventimila uomini: quando passava per le città, ne persuadeva gli abitanti ad insorgere. La guerra era ormai inevitabile: Antonio fu inviato a combatterla.
XVII 1 A Roma Catilina aveva lasciato alcuni dei congiurati da lui corrotti: a tenerli uniti e a far loro coraggio era rimasto Cornelio Lentulo detto "Sura". Questi, nato da nobile famiglia, era tuttavia vissuto in maniera deplorevole: tempo prima, quando era senatore, lo avevano scacciato dall'ordine per immoralità, ora, invece, ricopriva la carica di pretore per la seconda volta, perché solitamente faceva così chi voleva riacquistare la dignità senatoria.
2. Riguardo al motivo per cui veniva soprannominato "Sura", si dice questo. Ai tempi della dittatura di Silla, Lentulo, approfittando del suo ruolo di questore, prelevò dalle casse dello Stato forti somme di denaro, che poi dissipò per uso personale.
3. Allora Silla, irritato, gli chiese conto del suo comportamento alla presenza del Senato: e lui, fatto un passo avanti, con aria di grande disprezzo, disse che non avrebbe dato alcuna giustificazione, ma presentò la gamba, proprio come hanno l'abitudine di fare i bambini quando sbagliano nel gioco della palla.
4. Gamba, in latino, si dice sura: ecco perché lo chiamarono così. Fu poi citato in giudizio una seconda volta, ma riuscì a corrompere alcuni dei giudici. Se la cavò per soli due voti: "Con un giudice ho gettato i miei soldi", fu il commento, "per venire prosciolto mi bastava un voto solo".
5. Uno con siffatto temperamento prendeva ordini da Catilina; e per di più contribuivano a rovinarlo del tutto con vuote speranze falsi indovini e imbroglioni, che lo incantavano raccontandogli oracoli di loro invenzione, spacciandoli come verbo della Sibilla. A Roma dovevano esserci per volontà divina tre Corneli, padroni assoluti della città: per due di essi, Cinna e Silla, l'oracolo si era già compiuto, mentre al terzo ed ultimo, Sura per l'appunto, gli dèi stavano offrendo il potere: doveva, però, accettare e sùbito, a qualunque condizione, non sprecare un'occasione del genere aspettando il momento più opportuno, come faceva Catilina.
XVIII - 1. Il piano escogitato da Lentulo era esiziale. Aveva infatti deciso di eliminare tutti i senatori (e chi tra i privati cittadini avesse un qualche potere), di bruciare la città e di non risparmiare nessuno tranne i figli di Pompeo: bisognava, piuttosto, catturarli vivi e tenerli in ostaggio, per scendere poi a patti con il padre, sul cui rientro dalla grande spedizione militare circolavano ormai voci sicure.
2. Per passare all'azione si stabilì una notte dei Saturnali; armi, stoppa e zolfo furono, così, portate in casa di Cetego, dove rimasero nascoste.
3. Si disposero cento uomini in altrettante parti di Roma, ciascuno assegnato alla sua postazione, per trasformare la città in un rogo in breve tempo, grazie a tanti focolai. Altri ostruirono gli acquedotti e si tennero pronti a uccidere chi fosse accorso ad attingere acqua.
4. Mentre a Roma fervevano i preparativi per la rivolta, il caso volle che in città si trovassero due ambasciatori degli Allobrogi, una popolazione che, insofferente del predominio romano, versava allora in misere condizioni di vita.
5. I seguaci di Lentulo, ritenendo che potessero rivelarsi utili per spingere la Gallia alla ribellione, li misero a parte della congiura e consegnarono loro due lettere: una indirizzata al Consiglio degli Allobrogi, a cui si prometteva la libertà, un'altra a Catilina, invitandolo a liberare gli schiavi e farli marciare contro Roma.
6. Insieme agli ambasciatori inviarono anche un certo Tito di Crotone a portare il messaggio a Catilina.
7. Ma disegni di questo genere, degni di uno sbandato, dedito soprattutto al vino e alle donne, non rimasero un mistero per Cicerone, che seppe agire con la lucida e calcolata determinazione di chi, dotato di un'intelligenza superiore, per di più non beve. Poteva, inoltre, contare su alcuni informatori esterni che lo aiutavano nel condurre le ricerche; dal canto suo, si intratteneva segretamente con molti di quelli che sembravano aderire alla congiura e dava loro fiducia. Fu così che, venuto a conoscenza dei rapporti di collaborazione con gli Allobrogi, tese un agguato notturno al crotoniate e intercettò le due lettere; lo aiutarono gli stessi Allobrogi, passati dalla sua parte: questo, però, nessuno lo sapeva.
XIX - 1. Appena fece giorno, raccolto il Senato al tempio della Concordia, diede pubblica lettura delle lettere e raccolse le testimonianze degli informatori. Parlò anche Giunio Silano: secondo la sua deposizione, c'era chi aveva sentito dire da Cetego che presto avrebbero ucciso tre consoli e quattro pretori. Dello stesso tenore furono pure le rivelazioni dell'ex-console Pisone.
2. Si inviò, allora, a casa di Cetego il pretore Caio Sulpicio, che rinvenne una grande quantità d'armi: frecce, pugnali e spade, tutte affilate di recente.
3. Seguì il verdetto finale del Senato, che accordava l'impunità a Tito di Crotone per via della sua collaborazione. Lentulo, invece, dopo essere stato smascherato, si dimise formalmente dalla carica (era pretore); spogliatosi, quindi, della toga pretesta sotto gli occhi dell'intero Senato, indossò una veste dal colore più adatto alle circostanze.
4. Messo, poi, agli arresti domiciliari, fu consegnato ai pretori insieme con i suoi. Venne la sera e il popolo era ancora lì riunito ad aspettare; si presentò, allora, Cicerone ed espose i fatti ai suoi concittadini, da cui si fece accompagnare a casa di un amico suo vicino, dove poter passare la notte: la sua, infatti, era occupata dalle donne, impegnate a celebrare con riti segreti i misteri dedicati a una dea, che i Romani chiamano Bona, i Greci Ginecea.
5. Ogni anno la cerimonia si svolge nell'abitazione del console e viene presieduta dalla moglie o dalla madre, alla presenza delle vergini Vestali. Una volta in casa dell'amico, preferì appartarsi e meditare: non che ci fossero molte persone intorno a lui, ma aveva bisogno di calma per riflettere su cosa fare dei congiurati.
6. Nelle sue intenzioni si proponeva di non ricorrere alla pena capitale, anche se adatta a punire colpe così gravi, e due erano le cause della sua esitazione: una innata bontà d'animo e il timore che sembrasse abusare del suo potere di console, attaccando così duramente uomini di famiglia nobile e per di più amici di potenti. D'altra parte, trattarli con troppa indulgenza significava correre il rischio di pericolose vendette da parte loro.
7. Se, infatti, si fosse inflitta loro una pena più mite di quella capitale, non solo non sarebbero stati comunque soddisfatti, ma avrebbero reagito con tutta la loro arroganza, perché la rabbia per la punizione subita sarebbe andata ad aggiungersi ai precedenti motivi del loro odio. Lo stesso Cicerone, poi, che già non aveva fama di uomo forte e virile, agli occhi dell'opinione pubblica avrebbe fatto la figura del pavido.
XX - 1. Ma, mentre l'oratore era indeciso sul da farsi, le donne intente a sacrificare assistettero a un prodigio. Quando il fuoco sull'altare sembrava spento, dalla cenere e dalla corteccia bruciata si levò una fiamma robusta e luminosa,
2. che intimorì le presenti. Le vergini Vestali, invece, ordinarono a Terenzia, moglie di Cicerone, di recarsi quanto prima dal marito e di spingerlo a passare all'azione per il bene dello Stato, in base alle decisioni prese: la dea, infatti, gli inviava quel grande segno di fuoco per garantirgli salvezza e gloria.
3. Terenzia non era affatto una donna timida né dolce di carattere, bensì ambiziosa: come ci attesta lo stesso Cicerone, preferiva decisamente condividere con lui le preoccupazioni politiche che scaricargli addosso quelle della casa e della famiglia. Per questo Terenzia non indugiò a raccontargli tutto, per filo e per segno, e ad istigarlo contro i congiurati; lo stesso fecero il fratello Quinto e Publio Nigidio, compagno di studi filosofici, dei cui consigli in campo politico Cicerone assai spesso si giovava in circostanze particolarmente gravi.
4. Il giorno dopo in Senato si discusse della pena da infliggere ai congiurati. Il primo a cui si chiese un parere fu Silano; secondo lui, bisognava gettarli in carcere e punirli con la morte.
5. A uno a uno tutti gli altri acconsentirono alla sua proposta, finché non si giunse a Caio Cesare, che sarebbe diventato in séguito dittatore.
6. A quei tempi era ancora giovane e la sua carriera appena agli inizi, ma quanto a idee politiche e a speranze si era già incamminato per quella strada che lo avrebbe portato a trasformare il governo romano in una monarchia. Gli altri ancora non lo capivano, ma Cicerone nutriva molti sospetti sul suo conto, anche se, purtroppo, non aveva alcuna prova certa; tuttavia, non era raro sentir dire in giro che Cicerone lo aveva quasi colto in flagrante, ma Cesare era riuscito a sfuggirgli.
7. Tra queste voci si ascoltava anche la diceria che Cicerone avesse agito così a bella posta: che avesse, cioè, trascurato volutamente il capo d'accusa contro Cesare perché temeva la reazione di un uomo potente e dei suoi amici. Una cosa, comunque, era evidente a tutti: era molto più probabile che i congiurati si salvassero grazie a Cesare, piuttosto che Cesare fosse punito per causa loro.
XXI - 1. Quando, dunque, toccò a Cesare esprimere il suo parere, alzatosi in piedi, dichiarò che non si doveva condannare a morte i congiurati, ma anzitutto confiscare loro i beni; proponeva, poi, il confino in varie città italiane, scelte da Cicerone, dove, incatenati, fossero sottoposti a stretta sorveglianza, finché almeno non si fosse sconfitto Catilina.
2. La proposta sembrò ragionevole e assai convincente chi l'aveva fatta: ma a dare il colpo di grazia fu lo stesso Cicerone.
3. Egli, infatti, si alzò in piedi e mise in discussione entrambe le richieste, esprimendo il suo favore tanto per la prima proposta quanto per quella di Cesare. Tutti gli amici dell'oratore, però, pensavano che in realtà a Cicerone sembrasse più vantaggiosa la proposta di Cesare, perché così non si sarebbe tirato addosso l'accusa di aver mandato a morte degli uomini. Fu per questo che espressero la loro preferenza per la seconda soluzione: persino Silano cambiò idea e ritrattò la sua proposta, sostenendo che la massima pena per un senatore romano era il carcere, non la morte.
4. A queste parole il primo a opporre resistenza fu Lutazio Catulo, seguito sùbito dopo da Catone: questi, lasciando trapelare dal suo discorso i fortissimi sospetti che nutriva sui rapporti tra Cesare e la congiura, riuscì a infondere tanto coraggio nei senatori presenti da indurli a votare tutti per la pena capitale.
5. Quando si arrivò a parlare della confisca dei beni, Cesare disse di no: non era giusto, secondo il suo punto di vista, bocciare la parte più moderata della sua proposta e applicare quella più severa. Molte furono le voci di protesta; egli, allora, chiese l'intervento dei tribuni, che, però, non lo ascoltarono. Ci pensò Cicerone a dirimere la questione, rinunciando a ottenere la confisca dei beni.
XXII - 1. Accompagnato dal Senato, Cicerone raggiunse i congiurati, che non erano raccolti tutti nello stesso luogo, ma sparsi qua e là, sotto la sorveglianza dei pretori.
2. Come prima mossa, si recò sul Palatino, prese Lentulo e lo condusse lungo la Via Sacra in mezzo al Foro: lo circondavano i cittadini più ragguardevoli, armati come guardie del corpo, mentre la gente, che sfilava in silenzio dietro al gruppo, osservava inorridita il succedersi degli eventi. Ma i più spaventati, i più stupiti erano i giovani, a cui sembrava quasi di essere iniziati a chissà quali ancestrali riti, appannaggio di una solida aristocrazia.
3. Attraversato, dunque, il Foro e fermatosi dinanzi al carcere, consegnò Lentulo al carnefice e gli ordinò di ucciderlo. Stessa fine per Cetego e per gli altri imputati che, condotti a uno a uno sul posto, vennero condannati a morte.
4. Nel Foro c'erano ancora molti congiurati che, riunitisi, ignoravano cosa stesse accadendo e aspettavano la notte per poter liberare i loro compagni, creduti vivi e in grado di reagire. Cicerone li vide e gridò loro: "Sono vivi!". In realtà, i Romani, quando non volevano pronunziare parole ritenute di cattivo auspicio, si servivano di questa espressione per indicare l'esatto contrario.
5 Intanto era calata la sera. Cicerone se ne tornava a casa, attraversando il Foro: la folla che lo accompagnava non restava più in silenzio, non rispettava con ordine la fila, ma ne scandiva il passaggio per i diversi quartieri con grida e acclamazioni, chiamandolo salvatore e fondatore della patria. Numerose luci illuminavano le anguste stradine e sulle porte si collocavano fiaccole e torce.
6. Salite sui tetti, le donne accendevano fuochi in segno di rispetto e anche per meglio vedere quell'uomo che procedeva, solennemente scortato dagli aristocratici della città. Tra questi, quasi tutti avevano condotto con successo grandi guerre ed erano entrati in Roma trionfando, recando nuovi grandi possedimenti di terra e di mare. Tuttavia, mentre camminavano e si scambiavano idee, su un punto erano tutti d'accordo: il popolo romano doveva sì riconoscenza a molti comandanti e generali di allora, per le ricchezze, il bottino e il potere che la città aveva guadagnato, ma la gratitudine per la salvezza e l'incolumità andava solo e unicamente a Cicerone, capace di annientare un pericolo di quel peso e di tali proporzioni.
7. Ciò che più pareva meravigliarli non era tanto che egli avesse sventato la congiura, punendone i responsabili, ma soprattutto la sua abilità nel soffocare la più grande insurrezione politica di tutti i tempi con il minimo danno, senza creare turbolenze e rivolte.
8. Infatti, non appena si seppe in giro della fine di Lentulo e Cetego, la maggior parte di quelli che avevano appoggiato Catilina, lo abbandonarono e si allontanarono. Catilina, nel frattempo, stava combattendo contro Antonio insieme ai pochi rimasti al suo fianco: morirono tutti, lui e i suoi uomini.
XXIII - 1. Tuttavia, c'era già chi era pronto a criticare Cicerone per il suo modo di agire e a fargli del male. Guidavano questa schiera i magistrati eletti per il nuovo anno: Cesare come pretore, Metello e Bestia come tribuni.
2. Appena saliti in carica (Cicerone era ormai prossimo alla scadenza del mandato consolare), impedirono all'oratore di parlare in pubblico: collocarono, infatti, alcuni seggi sui rostri della tribuna e gli vietarono tassativamente di aprire bocca. Se proprio voleva - gli intimarono -, poteva salire per giurare, come si fa quando si depone una carica; una volta giurato, però, doveva scendere immediatamente.
3. Si fece silenzio intorno a lui: Cicerone pronunciò il suo giuramento, ma non adottò la formula solita, tradizionale, bensì una nuova, molto particolare, che sottolineva il suo ruolo di salvatore della patria e di custode del potere di Roma. Tutto il popolo giurò con lui.
4. Fu un duro colpo per Cesare e i tribuni, che tramarono sùbito nuovi intrighi a danno dell'avversario: tra l'altro, presentarono una proposta di legge per richiamare Pompeo e il suo esercito, così da annientare il potere di Cicerone.
5. Ma, per fortuna dell'oratore e di tutta la città, era allora tribuno Catone, che pose il veto alle richieste dei suoi avversari (e colleghi), rispetto ai quali godeva degli stessi diritti, ma di maggiore stima presso il popolo.
6. Sciogliere le loro trame fu per lui un gioco da ragazzi; tenne, poi, un discorso pubblico, teso a esaltare quanto Cicerone aveva fatto durante il suo consolato, così da fargli decretare i più grandi onori mai visti prima di allora e attribuirgli il titolo di "padre della patria". Pare che Cicerone sia stato il primo a cui fu tributato un tale riconoscimento, visto che Catone lo aveva chiamato così alla presenza del popolo.
XXIV - 1. E infatti acquistò allora in città un grandissimo potere; tuttavia, agli occhi di molti seppe rendersi odioso non per essersi comportato male, ma perché riuscì a infastidire parecchia gente con quel suo lodarsi e celebrarsi continuamente.
2. Non era possibile che si riunisse il Senato o il popolo o il tribunale senza che lo si dovesse stare a sentire, mentre parlava per l'ennesima volta di Catilina o Lentulo.
3. Finì col riempire degli encomi di sé persino i suoi libri, le sue opere; e la sua oratoria, così dolce e aggraziata, la rese un peso insopportabile per chi stava ad ascoltare, come se, per un qualche destino, fosse sua questa prerogativa, quella, cioè, di annoiare il pubblico.
4. Ciononostante, benché tutto preso da una tale smisurata ambizione, non provò mai invidia per il prossimo: fu, anzi, assai generoso nel celebrare gli uomini vissuti prima di lui o suoi contemporanei (lo si può leggere nelle sue opere).
5. Di lui si ricordano, in proposito, numerose affermazioni: di Aristotele, ad esempio, diceva che era un fiume d'oro, dei dialoghi di Platone che se Giove parlava, parlava così.
6. Teofrasto, poi, era solito definirlo un piacere tutto suo. Quando, infine, gli si chiedeva quale delle orazioni di Demostene gli sembrasse più bella, rispondeva: "La più lunga". È vero, alcuni di quelli che si vantano di imitare Demostene, si attaccano a una frase di Cicerone, scritta in una lettera inviata a uno dei suoi amici: "In qualche passo delle sue orazioni Demostene sonnecchia". Costoro, però, dimenticano le importanti parole d'ammirazione di cui Cicerone spesso si servì per definire quest'uomo; non ricordano, inoltre, che intitolò Filippiche i discorsi contro Antonio, quelli a cui sicuramente lavorò con maggiore impegno.
7. Dei retori e dei filosofi a lui contemporanei, allora ben noti, non ce n'è uno che egli non abbia reso ancora più famoso, parlando o scrivendo in suo favore. Al peripatetico Cratippo, ad esempio, fece ottenere la cittadinanza romana da Cesare, che allora era già in carica, e fece sì che l'Areopago gli domandasse di restare in Atene a insegnare ai giovani, come se fosse un onore per la città.
8. A questo proposito, esistono, poi, delle lettere che Cicerone scrisse ad Erode, altre al figlio, con cui li esorta ad abbracciare la filosofia di Cratippo. Quanto al retore Gorgia, invece, lo accusò di indurre il figlio ai piaceri e al vizio del bere, e impedì, quindi, al giovinetto di frequentarlo.
9. Fu questa probabilmente l'unica delle lettere scritte in greco (insieme a un'altra, indirizzata a Pelope di Bisanzio), dettata dalla collera: nel caso di Gorgia fece bene a stroncarlo, perché aveva fama di essere uomo dissoluto e meschino; ma, per quel che riguarda Pelope, mostrò un animo davvero piccino, dato che lo rimproverò per avere impedito agli abitanti di Bisanzio di accordargli tramite il voto alcune onorificenze.
XXV - 1. Queste parole furono il frutto della sua ambizione. Spesso, poi, il suo talento di oratore lo portò a passare ogni limite. Una volta, ad esempio, sostenne la causa di Munazio: prosciolto dall'accusa, questi citò in tibunale Sabino, amico di Cicerone, e Cicerone, raccontano, fu preso da un attacco di collera, al punto che disse: "Munazio, è grazie alle tue forze che sei stato assolto, o sono io che, al posto della luce, ho fatto calare una fitta tenebra, qui in tribunale?".
2. Un'altra volta, invece, dalla tribuna tessé le lodi di Marco Crasso ed ebbe successo: qualche giorno dopo, però, ne parlò male ed egli, allora, gli domandò: "Ma come? Non era proprio da qui che tu, l'altro giorno, mi hai tributato un pubblico elogio?". "Sì", fu la risposta, "stavo esercitando la mia eloquenza con un soggetto di poco conto".
3. In un'altra occasione, poi, Crasso disse che a Roma nessuno della famiglia dei Crassi aveva mai vissuto più di sessant'anni; in séguito, però, ritrattò e aggiunse: "Che mi prese quando feci una tale affermazione?". Cicerone controbatté: "Sapevi che i Romani avrebbero ascoltato con estremo piacere parole come queste: ecco perché ti guadagnasti il loro favore".
4. Una volta sempre Crasso disse che gli piacevano gli Stoici, perché convinti che il saggio è ricco. "Bada", rispose Cicerone, "che non ti piacciano piuttosto perché dicono che tutto appartiene al saggio". Crasso, infatti, aveva nomea di essere uomo avido.
5. Uno dei due figli di Crasso, sembrava assomigliare a un certo Assio; per questo sulla madre pesava l'accusa di avere avuto con Assio una tresca vergognosa. Il giovane, presentatosi un giorno al Senato, tenne un discorso che fu molto apprezzato; si domandò a Cicerone che cosa gliene sembrasse ed egli commentò: "Assio di Crasso".
XXVI - 1. In procinto di salpare per la Siria, Crasso desiderava avere in Cicerone un amico più che un nemico. Quindi, lanciandogli segnali di amicizia, disse che intendeva andare a cena da lui; ed egli lo ricevette cordialmente.
2. Pochi giorni dopo, alcuni amici gli riferirono che Vatinio, un suo avversario politico, voleva riconciliarsi e stringere con lui un'amicizia. "Ma come?", commentò Cicerone, "anche Vatinio vuole cenare con me?". Con Crasso, quindi, si comportò come ho detto.
3. Sempre lo stesso Vatinio aveva delle scrofole sul collo: una volta che stava difendendo una causa, Cicerone disse che era un oratore gonfio. Sentì, poi, dire che Vatinio era morto, ma poco dopo venne a sapere che, al contrario, era vivo e vegeto: "Che muoia come un cane chi non è capace a mentire!", fu il suo commento.
4. Quando su votazione popolare fu concesso a Cesare di distribuire terre ai soldati in Campania, furono molti in Senato ad opporsi, e Lucio Gellio, forse il più anziano, disse che non sarebbe successo, almeno finché era vivo lui. "Aspettiamo", controbatté Cicerone: "Gellio, in fondo, non chiede una lunga revoca".
5. C'era un certo Ottavio che si diceva originario della Libia; una volta, mentre Cicerone discuteva una causa, si lamentò perché non sentiva. "Eppure", fu il commento, "hai orecchie bucate".
6. Metello Nepote gli rinfacciò che, con le sue testimonianze, ne aveva mandati a morte più di quanti ne avesse salvati assumendosene la difesa. "Sì", rispose, "riconosco che in me vale più il credito che la potenza del mio discorso".
7. C'era un giovinetto, accusato di aver dato al padre una focaccia avvelenata, il quale, con fare insolente, asserì che avrebbe insultato Cicerone. "Da te preferisco questo che una torta" commentò l'oratore.
8. Una volta, nel corso di una causa, Publio Sestio scelse, tra gli altri difensori, anche Cicerone. Tuttavia, voleva sempre essere lui a parlare e non permetteva a nessuno di aprire bocca. Quando si procedette alla votazione, era ormai chiaro che i giudici lo avevano assolto. Cicerone allora gli disse: "Approfitta oggi dell'occasione, Sestio: domani sarai di nuovo un uomo qualunque".
9. Durante un processo, Cicerone chiamò a testimoniare Publio Costa. Costui aveva la pretesa di essere un esperto di questioni legali, ma in realtà era un incapace e per di più ignorante. Quando, interrogato, rispose di non sapere niente, Cicerone aggiunse: "Probabilmente credi che ti stia facendo domande di diritto!". Un'altra volta, durante un litigio, Metello Nepote non faceva altro che chiedergli: "Chi è tuo padre, Cicerone?". Alla fine l'oratore sbottò: "Quanto a te, tua madre ti ha reso la risposta alquanto difficile". La madre di Nepote era, infatti, una donna dissoluta, e il figlio stesso era un tipo volubile.
10. Una volta, ad esempio, abbandonò all'improvviso la sua carica di tribuno e salpò per raggiungere Pompeo, che si trovava in Siria; ma, giunto sul posto, se ne ripartì in modo ancora più inspiegabile.
11. Quando, poi, seppellì il suo maestro Filagro - e lo fece con particolare sollecitudine -, collocò sulla sua tomba un corvo di pietra. E Cicerone commentò: "Questo sì che è stato un gesto davvero assennato: ti ha sicuramente insegnato a volare più che a parlare".
12. Quando infine, durante un processo, Marco Appio esordì dicendo che il suo amico lo aveva pregato di essere diligente, eloquente e leale, Cicerone domandò: "E tu sei un uomo con il cuore di ferro, al punto da non accontentare la richiesta del tuo amico in nessuna di queste tre qualità?".
XXVII - 1. Ora, l'usare motti piuttosto pungenti all'indirizzo di nemici o avversari politici, lo si può considerare tipico dell'oratore; ma che Cicerone se la prendesse con chiunque incontrasse solo per suscitare le risate dei presenti, fece di lui una figura particolarmente odiosa.
2. Citerò alcuni esempi anche di questo genere di battute. Marco Aquinio aveva due generi in esilio e Cicerone lo chiamava "Adrasto".
3. Lucio Cotta era censore e grande amante del vino. Una volta che Cicerone era impegnato in campagna elettorale per la carica di console, gli venne sete; mentre beveva, circondato da un gruppo di amici, disse loro: "Fate bene a temere che il censore infierisca contro di me: bevo acqua".
4. Una volta, incontrato Voconio che conduceva con sé tre figlie, una più brutta dell'altra, declamò ad alta voce: "generò figli anche se Febo non glielo permetteva".
5. Di Marco Gellio si diceva che non fosse nato da genitori di condizione libera; ecco perché quella volta che, rivolto al Senato, lesse per intero alcune lettere con voce forte e chiara, Cicerone commentò: "Non meravigliatevi! È anche lui uno di quelli che reclamano la sua libertà!".
6. Quando, poi, Fausto, figlio di quel Silla che ebbe in Roma il potere assoluto e mandò molti a morte con le sue liste di proscrizione, mise i suoi beni all'asta perché, pieno di debiti, aveva dissipato parecchie delle sue sostanze, Cicerone asserì: "Preferisco le liste del figlio a quelle del padre".
XXVIII - 1. In séguito a un simile comportamento, risultò odioso a molte persone; e i seguaci di Clodio, prendendo spunto da quanto sto per raccontare, gli si scagliarono contro. Clodio era un giovane di buona famiglia, dal carattere superbo e prepotente.
2. Innamorato di Pompea, moglie di Cesare, si introdusse di nascosto nella sua abitazione, dopo essersi truccato da suonatrice di cetra. In casa di Cesare, infatti, le donne stavano celebrando una segreta cerimonia interdetta agli uomini e nessun rappresentante del sesso maschile era presente. Clodio, però, poco più che un ragazzino, ancora imberbe, sperava di intrufolarsi di nascosto in mezzo alle donne e di giungere fino a Pompea.
3. Ma quando in piena notte penetrò nella grande casa, perse l'orientamento: mentre vagava, lo notò una serva di Aurelia, madre di Cesare, e gli chiese il nome. Clodio, costretto a parlare, disse che cercava un'ancella di Pompea, chiamata Abra; quella, allora, resasi conto che non era una voce femminile, levò un grido e chiamò a raccolta le compagne.
4. Sprangarono le porte, frugarono ovunque: alla fine trovarono Clodio rintanato nella stanza di una servetta, grazie a cui era riuscito a entrare. Il fatto divenne di dominio pubblico: Cesare, allora, ripudiò Pompea, mentre si intentò a Clodio un processo, accusandolo di empietà.
XXIX - 1. Cicerone era amico di Clodio: ai tempi della congiura di Catilina, si era servito di lui come di un collaboratore convinto e guardia del corpo. Per confutare l'accusa di empietà, Clodio si basava sul fatto che non si trovava a Roma il giorno dell'accaduto, ma soggiornava in una località molto lontana. Cicerone, invece, testimoniò di essersi recato a casa sua e di aver conversato con lui su diversi argomenti - il che era vero.
2. Sembrava che Cicerone avesse fornito questa versione dei fatti non per amore della verità, ma piuttosto per giustificarsi agli occhi di sua moglie Terenzia.
3. L'odio che ella provava nei confronti di Clodio era dovuto alla sorella di lui Clodia. Costei, infatti, voleva sposare Cicerone e cercava di raggiungere il suo scopo servendosi di un tal Tullo, nativo di Taranto, compagno e amico fra i più intimi dello stesso Cicerone. Tullo faceva spesso visita a Clodia e la corteggiava: dato che lei abitava vicino, Terenzia ebbe motivo di sospettare.
4. Era una donna dura di carattere e abituata a comandare Cicerone: per questo lo esortò a scagliarsi contro Clodio e a deporre a suo sfavore. Molti degli ottimati testimoniarono contro di lui, accusandolo di aver giurato il falso, di essere un poco di buono, di corrompere le folle, di fare violenza sulle donne. Lucullo presentò come teste anche alcune ancelle, le quali attestarono che Clodio aveva una relazione intima con la più giovane delle sue sorelle, ai tempi in cui essa era moglie di Lucullo.
5. Correva, inoltre, voce certa che Clodio se la intendesse pure con le altre due sorelle: Terzia, sposata a Marcio Re, e Clodia, sposata a Metello Celere. Quest'ultima aveva il soprannome di Quadranzia, perché uno dei suoi amanti le aveva mandato una borsa piena di monete di bronzo, anziché d'argento (i Romani, infatti, chiamano quadrans la più piccola delle loro monete di bronzo). Soprattutto a lei Clodio doveva la pessima fama di cui godeva.
6. Nonostante ciò, quella volta il popolo si oppose a chi testimoniava a carico di Clodio o intendeva colpirlo; i giudici, per paura, si circondarono di un corpo di guardia e quasi tutti scrissero sulle loro tavolette lettere confuse. Tuttavia, sembrarono in maggioranza i voti d'assoluzione (ci fu anche chi disse che qualcuno era stato corrotto).
7. Per questo Catulo, rivolto ai giudici, commentò: "Avete fatto bene a chiedere un presidio armato per la vostra incolumità: temevate che qualcuno vi portasse via il denaro!".
8. Clodio rinfacciò, poi, a Cicerone di non aver conquistato la fiducia dei giudici testimoniando contro di lui. "Venticinque di loro mi hanno creduto, e sono quelli che hanno votato contro di te. Gli altri trenta, semmai, è a te che non hanno dato credito: non per nulla non ti hanno assolto prima di avere incassato il denaro".
9. Cesare, chiamato a testimoniare contro Clodio, non volle deporre e si rifiutò di riconoscere l'adulterio della moglie; piuttosto, l'aveva ripudiata perché la moglie di Cesare doveva essere immune da azioni turpi, è evidente, ma anche da turpi sospetti.
XXX. - 1. Scampato il pericolo ed eletto tribuno, sùbito Clodio prese di mira Cicerone, muovendo e agitando tutto e tutti indistintamente contro di lui.
2. Si guadagnò il favore del popolo proponendo leggi ad esso favorevoli e votò affinché si assegnassero vaste province a ciascuno dei due consoli: la Macedonia a Pisone, a Gabinio la Siria. Fece poi partecipare alla vita politica molti spiantati e si creò un séguito di schiavi, che armò sino ai denti.
3. A quei tempi erano tre gli uomini che detenevano il massimo potere: Crasso, decisamente ostile a Cicerone, Pompeo, che si lasciava corteggiare dagli altri due, e Cesare, pronto a partire per la Gallia con l'esercito. Cicerone si mise sotto la protezione di quest'ultimo: anzi, benché non fosse propriamente un amico - addirittura si sospettava che avesse partecipato alla congiura di Catilina -, gli domandò di poter militare con lui in qualità di luogotenente.
4. Cesare accettò; Clodio, allora, vedendo che così Cicerone sfuggiva ai suoi impegni di tribuno, finse di voler stringere con lui un accordo e addossò ogni colpa a Terenzia. Lo ricordava sempre con affetto e pronunciava sul suo conto discorsi pieni di bontà, come chi non odia e non nutre sentimenti ostili: qualche rimprovero ogni tanto, questo sì, ma sempre con tono bonario. Insomma: alla fine, cancellò completamente ogni suo timore, al punto che Cicerone rinunciò alla carica di luogotenente e si gettò nuovamente in politica.
5. Irritato da questo comportamento, Cesare fomentò Clodio e fece sì che Pompeo si staccasse da Cicerone in maniera definitiva. Quanto a lui, poi, lo accusò davanti al popolo di aver mandato a morte i seguaci di Lentulo e Cetego in modo illegale e vergognoso, senza, cioè, previa discussione di causa.
6. Questo era il capo d'imputazione e fu chiamato a risponderne Cicerone. Era in pericolo, lo citavano in tribunale: si vestì a lutto, lasciò crescere i capelli e andò in giro a supplicare la gente.
7. Dovunque, però, in ogni via incontrava Clodio, che aveva al suo séguito uomini violenti e protervi: senza il minimo pudore, si prendevano con insistenza gioco di lui e ne deridevano il cambiamento e l'aspetto. Spesso, poi, disturbavano le sue preghiere lanciandogli fango e pietre.
XXXI - 1. Tuttavia, in segno di solidarietà con Cicerone, quasi tutto l'ordine dei cavalieri si mutò d'abito, e non meno di ventimila giovani lo seguivano con i capelli sciolti sulle spalle e in atto di supplica. Poi si riunì il Senato per deliberare che il popolo, come fosse lutto nazionale, si vestisse in maniera adeguata. I consoli non erano d'accordo; Clodio, nel frattempo, circondò la Curia di uomini armati e molti senatori, strappandosi il mantello, corsero fuori gridando.
2. Ma la loro vista non suscitò pietà né pudore in gente come quella. A Cicerone non restava che prendere la via dell'esilio oppure affrontare Clodio con le armi e la violenza. Pensò di ricorrere all'aiuto di Pompeo. Costui si era volutamente tenuto fuori da tutto e se ne stava in campagna, nel suo podere albano. Come prima mossa, Cicerone inviò il genero Pisone a intercedere per lui. In un secondo tempo, poi, si recò là di persona.
3. Appena Pompeo ne fu informato, non sopportò l'idea di vederselo davanti: provava una vergogna terribile nei confronti di quell'uomo, che aveva sostenuto per lui ardue battaglie e lo aveva spesso favorito nei suoi giochi politici. Ma allora Pompeo era genero di Cesare e, visto che lui glielo chiedeva, lasciò cadere gli antichi motivi di riconoscenza che lo legavano all'oratore, e, dileguandosi da un'uscita secondaria, evitò l'incontro.
4. Così Cicerone, tradito da Pompeo e rimasto completamente solo, cercò scampo presso i consoli. Gabinio, tuttavia, continuava a essergli ostile, mentre Pisone lo trattò con maggiore cortesia, e gli consigliò di allontanarsi da Roma, di cedere alla violenza di Clodio, di accettare il corso degli eventi, per quanto mutati, e di salvare nuovamente la patria, che navigava in pessime acque per colpa di Clodio.
5. Dopo questa risposta Cicerone si consigliò con gli amici: Lucullo lo esortò a restare perché alla fine avrebbe avuto lui la meglio; altri lo invitarono ad andarsene, perché presto il popolo, sazio dei furori maniacali di Clodio, lo avrebbe rimpianto.
6. Cicerone decise in questa direzione: portò sul Campidoglio la statua di Minerva, che per molto tempo aveva tenuto in casa e venerato sopra ogni altra, e la consacrò, scrivendoci sopra: "A Minerva, sentinella di Roma". Poi, scelti fra gli amici alcuni compagni di viaggio, si allontanò dalla città intorno a mezzanotte e attraversò via terra la Lucania, con l'intenzione di raggiungere la Sicilia.
XXXII - 1. Appena si rese noto che Cicerone era ormai fuggito, Clodio fece votare un decreto sul suo esilio ed espose un editto con cui si vietava di offrire a Cicerone acqua, fuoco e un tetto fino a cinquecento miglia di distanza dall'Italia.
2. Gli altri, invece, quelli che rispettavano Cicerone, neanche considerarono la validità di questo decreto, anzi, dandogli prova di tutto il loro affetto, gli facevano da guida lungo il cammino. Tuttavia, a Ipponio, città della Lucania, chiamata oggi Vibo, Vibio, un uomo che aveva tratto più di un vantaggio dall'amicizia con Cicerone (quando era console, ad esempio, l'oratore lo aveva nominato comandante del genio), non lo volle in casa sua e promise di assegnargli un podere. Così pure, Caio Virgilio, pretore della Sicilia, tra quelli che più si erano serviti di Cicerone per raggiungere i loro scopi, scrisse all'oratore di tenersi lontano dall'isola.