Platone: Il dio non è un usuraio... ("Alcibiade minore")

Dopo che ebbero così parlato ed ebbero chiesto cosa dovessero fare per allontanare i mali presenti, l'interprete divino non rispose altro - il dio evidentemente non glielo permetteva - ma chiamò l'incaricato e disse: «Agli Ateniesi il dio Ammone dice questo: dice che la pia riservatezza dei Lacedemonii gli piace molto più di tutti i sacrifici dei Greci». Tanto disse, niente di più. Ebbene, con la pia riservatezza mi pare che il dio non intendesse altro che la loro preghiera; e in effetti è molto diversa dalle altre: gli altri Greci offrono chi buoi dalle corna dorate, altri danno in dono agli dèi offerte votive, chiedono nelle preghiere ciò che capita, sia beni sia mali, per cui gli dèi, udendoli proferire preghiere blasfeme, non accettano queste processioni sontuose né i sacrifici. Penso si debba usare molta cautela e riflessione su cosa bisogna dire e cosa no. Troverai anche in Omero altri racconti simili a questi. Egli dice ad esempio che i Troiani, ponendo un campo, «sacrificavano agli immortali ecatombi perfette» (16) e l'odore delle vittime, dalla pianura, i venti lo portavano fino al cielo «dolce; ma i beati non se lo spartivano né lo volevano: infatti molto odiavano Ilio veneranda e Priamo e il popolo di Priamo armato di buona lancia».(17) Così non ricevevano alcun vantaggio dai sacrifici e inutilmente offrivano doni, invisi com'erano agli dèi. Difatti non credo sia nella natura degli dèi lasciarsi corrompere da doni, come un meschino usuraio; ma anche noi facciamo un discorso ingenuo, quando ci reputiamo superiori in questo ai Lacedemonii. E infatti sarebbe terribile se gli dèi guardassero alle nostre offerte e ai nostri sacrifici, e non all'anima, se uno sia pio e giusto. Ma credo che guardino ad essa molto più che a queste processioni e a questi sacrifici sontuosi, che pure nulla impedisce a un privato o a una città di offrire ogni anno, pur avendo commesso numerosi errori verso gli dèi e numerosi verso gli uomini; ma gli dèi, dato che non si lasciano corrompere, disprezzano tutte queste cose, come dice il dio e l'interprete degli dèi. è dunque possibile che, presso gli dèi e gli uomini che hanno senno, giustizia e assennatezza siano stimate in modo speciale. Assennati e giusti non sono altri se non coloro che sanno ciò che bisogna fare e dire nei confronti degli dèi e degli uomini.(18) Vorrei sapere anche che cosa mai in proposito hai in mente. ALCIBIADE: Socrate, non ho un pensiero diverso dal tuo e dal dio: infatti non sarebbe sensato che io mi esprimessi contro il dio. SOCRATE: Non ricordi che affermavi di essere in grande difficoltà, per la paura che, senza avvedertene, non avessi a chiedere nella preghiera dei mali, reputandoli dei beni? ALCIBIADE: Sì certo. SOCRATE: Vedi dunque come non sia sicuro per te andare a pregare il dio, per il rischio che possa avvenire questo: che, sentendoti pronunciare preghiere blasfeme, il dio rifiuti questo sacrificio e tu non abbia a ritrovarti tra le mani in più qualcosa di diverso. Io dunque penso che sia molto meglio restare tranquilli; non mi sembra infatti, per via della tua esaltazione - questa infatti è la definizione migliore per l'insensatezza - che tu voglia servirti della preghiera dei Lacedemonii. è quindi necessario aspettare finché non si sia appreso come bisogna comportarsi verso dèi e verso gli uomini.

Platone, "Alcibiade Minore"

INDIETRO