Platone: Anassagora mi lasciò insoddisfatto ("Fedone")

«Ma ecco che un giorno io sentii un tizio che leggeva un libro di Anassagora, almeno così mi diceva, dove c'era scritto che esiste una Mente ordinatrice, causa di tutte le cose. Io mi rallegrai al pensiero che ci fosse una Mente, causa di tutto e lo trovai giusto: se è così , pensai, questa Mente ordinatrice, deve effettivamente presiedere all'ordine universale e disporre nel modo migliore possibile ogni cosa. Se uno, dunque, volesse trovare la causa di ciascuna cosa, come essa, cioè, nasca, perisca o esista, costui deve scoprire, di ciascuna cosa, il suo modo migliore di essere, di subire o di fare alcunché. «Partendo da questa premessa, io ritenni che un uomo, se avesse voluto indagare su se stesso o sulle altre cose, non avrebbe dovuto far altro che scoprire ciò che è perfetto ed eccellente; questo lo avrebbe necessariamente portato a conoscere anche il pessimo, perché unica è la scienza in proposito. E, così ragionando, io mi rallegravo di aver trovato chi avrebbe potuto insegnarmi, nel modo a me più confacente, le cause di ciò che è, Anassagora, che mi avrebbe detto se la terra è piatta o è rotonda e poi me ne avrebbe spiegato la causa e la necessità, persuadendomi del perché è meglio che sia così ; e se avesse affermato che la terra è il centro dell'universo, mi avrebbe certamente anche spiegato perché è meglio che essa stia al centro. Oh, se mi avesse spiegato tutto questo io ero pronto ad abbandonare ogni altra ricerca sulla causalità delle cose. Naturalmente ero disposto a ricevere un simile insegnamento, anche per ciò che riguarda il sole, la luna e gli altri astri, la loro reciproca velocità, le loro orbite, le altre loro vicende e sentirmi dire perché è meglio che ciascuno di essi produca o subisca simili fenomeni. In effetti io non avrei mai pensato che egli, dichiarando che tiitte queste cose erano state ordinate da una Mente, poi attribuisse loro una causa diversa da questa, che cioè il meglio per esse è di essere come sono; quindi, ritenevo che egli, dopo aver attribuito a ciascuna di esse e a tutte insieme questa causa, avrebbe chiarito quale fosse il meglio per ciascuna e il bene comune a tutte. Ah, a nessun costo avrei ceduto queste speranze e così , con grande entusiasmo, mi gettai sui suoi libri e li lessi di furia per sapere, il più presto possibile, il meglio o il peggio delle cose. «Ah, ma a questa meravigliosa speranza, amico mio, subentrò la delusione, perché, via via che procedevo nella lettura, mi vedevo davanti un uomo che non si serviva affatto della Mente e che ad essa non assegnava alcuna causalità nell'ordine delle cose ma indicava come causa, l'aria, l'etere, l'acqua e altri assurdi principi del genere. Mi pareva che egli facesse precisamente come uno che, mentre dice, per esempio, che Socrate, tutto quel che fa, lo fa con la mente, quando poi si tratta di spiegare le cause di ogni mio gesto, se ne esce col dire che io sto seduto perché il mio corpo è fatto di ossa e di muscoli e che le ossa son rigide e hanno le articolazioni che le separano le une dalle altre, mentre i muscoli son fatti in modo che si possono tendere e allentare, che essi circondano le ossa insieme alla carne e alla pelle che tutto racchiude e che, quindi, grazie alle ossa che fanno leva sulle loro giunture e ai muscoli che si tendono e si allentano, io ho la possibilità di piegare le membra e che, quindi, per questo motivo, ora sto qui seduto con le gambe piegate. E del fatto che io ora sto parlando con voi, potrebbe tirare in ballo un sacco di cause simili, la voce, per esempio, l'aria, l'udito e altre del genere, ma non quelle che sono le vere ragioni, cioè che, siccome gli ateniesi han pensato bene di condannarmi, io, a mia volta, ho ritenuto che fosse più opportuno restarmene seduto qui e più giusto subire la pena che essi hanno decretato. Ah, vi assicuro, perdinci, che queste ossa e questi muscoli sarebbero, a quest'ora, già a Megara o in Beozia, sicure che lì sarebbero state certo assai meglio, se io non avessi, invece, ritenuto più giusto e più bello, anziché tagliare la corda e fuggire, pagare alla patria qualunque pena essa mi avesse inflitto. Chiamare cause tutte queste cose, mi sembra proprì o un'assurdità: al massimo uno può dire che, senza ossa, senza muscoli e tutto il resto, io non potrei fare ciò che voglio, ed avrebbe ragione, ma affermare che di tutto ciò che faccio - che è pure il frutto di un mio pensiero -, la causa sono i muscoli e le ossa e non la conseguenza di una scelta del meglio, è proprio un voler deformare il senso delle parole. Perché questo, infatti, significa non capire che una cosa è la causa vera e propria e un'altra è la condizione senza la quale la causa non potrà mai essere tale. E io credo proprio che per quest'ultima, molta gente, andando a tentoni, come nel buio, usi un termine che non le spetta, definendola impropriamente come se fosse la vera causa. Ne viene di conseguenza che c'è chi dice che attorno alla terra v'è, come un vortice d'aria e che, per questo essa si mantiene sospesa e ferma nello spazio e chi ancora la immagina come una larga madia e, sotto, l'aria che la sostiene. Ma quel potere in virtù del quale e terra e aria e cielo sono ora disposti nel miglior modo possibile, costoro non lo ricercano affatto, né pensano che esso abbia una forza divina, ma credono di poter trovare, un giorno, un Atlante più robusto e più longevo dell'antico, capace di sostenere l'universo intero e non si accorgono che, invece, è proprio il Bene e ciò che si conviene a realizzare e a tenere unite le cose. E io, invece, quanto volentieri sarei diventato discepolo di chiunque mi avesse insegnato a far luce su questa vera causa. Ma siccome essa mi sfuggiva, né io ero in grado di scoprirla da me, né di apprenderla da altri, allora, decisi di cambiar rotta e tu, Cebete, vuoi, forse, che ti racconti come mi sono adoperato in questa mia nuova ricerca?»
Platone, "Fedone", 97 b -99 d

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