Giungemmo al mercato mentre il sole volgeva al tramonto, e lì notammo una grande quantità di merci in vendita, non certo preziose, ma la cui scarsa qualità veniva tenuta facilissimamente nascosta dall'oscurità. Poichè, dunque, anche noi avevamo portato un mantello che era frutto di un furto, approfittammo subito dell'occasione più che opportuna e ci mettemmo ad agitare in un angoletto un lembo della stoffa, perchè qualche compratore per caso potesse essere attirato dallo splendore della veste . E non si dovette attendere a lungo che un contadino, che non era del tutto sconosciuto ai miei occhi, con la moglie che lo accompagnava, si avvicinò e prese ad esaminare accuratamente il mantello. Ascylto a sua volta pianta gli occhi sulle spalle del compratore ed improvvisamente tacque rimanendo senza fiato. E nemmeno io riuscivo a guardarlo senza essere tutto agitato,perchè mi sembrava proprio che fosse quello che aveva trovato la mia tunica abbandonata. Era proprio lui . Ma poichè Ascylto non credeva ai propri occhi e non voleva fare qualcosa di imprudente, si avvicinò come se volesse comprarla e si mise a tastarne un lembo dalle spalle del contadino, meticolosamente. XIII Che incredibile botta di fortuna! Quel bifolco non era curioso e fino a quel momento non aveva ancora frugato tra le cuciture, ma cercava di sbarazzarsi del mantello con aria seccata e come se si trattasse dello straccio di un barbone. Ascilto, rendendosi conto che il malloppo non era stato toccato e che il tipo non era un'aquila come venditore, mi prende in disparte e mi fa: «Ti rendi conto, fratello mio, che abbiamo di nuovo in mano il tesoro che tanto mi ha fatto piangere? Il mantello è proprio quello e a quanto pare dentro ci sono ancora le monete d'oro che fino ad oggi nessuno ha toccato. Che si fa dunque, e a che titolo possiamo rivendicare la nostra roba?». E io, gongolando non solo per il fatto di vedermi davanti il bottino ma anche perché la sorte mi aveva liberato dalla vergogna del sospetto, gli dissi che non bisognava ricorrere a maneggi, ma che era meglio basarsi sul codice senza tanti sotterfugi, in modo tale che, se quei due non volevano restituire la roba al legittimo proprietario, la faccenda venisse portata davanti al pretore. Al contrario Ascilto aveva paura della legge e diceva: “ma chi ci conosce in questo luogo, e chi si fiderà di noi se lo diciamo? Io ho deciso proprie di comprare, benchè sia nostro, l’oggetto che abbiamo riconosciuto e con pochi soldi riappropriarci del tesoro, piuttosto che venire ad un processo che non si sa come possa finire: “cosa può fare la legge, dove regna solo il denaro, o dove la povertà non può vincere nulla? […]”. Ma fatta eccezione per un unico doppio asse, che avevamo destinato a comprare ceci e lupini, eravamo a mani vuote. Così, perché nel frattempo la preda non ci sfuggisse, decidemmo di vendere il mantello ad un prezzo anche più contenuto perché la ricompensa di un maggior guadagno rendesse meno grave la perdita. Non appena iniziammo a spiegare la merce, la donna dal capo velato, che era rimasta col contadino, dopo averne esaminato con attenzione le caratteristiche, vi getta sopra entrambe le mani e a gran voce esclama : “al ladro !”. Noi per tutta risposta, sconvolti, per non far vedere che non stavamo facendo nulla, afferrammo la tunica strappata e sporca e con medesimo ardore ci mettemmo a proclamare che erano nostri i cenci che essi possedevano. Ma la discussione non era affatto su un piano di parità, infatti anche i rivenditori che si erano avvicinati attratti dal baccano, ridevano - come è logico che accada – delle nostre pretese, perché loro reclamavano una veste preziosissima e noi un panno buono nemmeno per farci stracci. Finalmente Ascilto riuscì una buona volta a far cessare le risa e, imposto il silenzio: “E’ chiaro – disse – che a ciascuno stanno a cuore moltissimo le proprie cose; loro ci restituiscano la nostra tunica e si riprendano il loro mantello”. Anche se il contadino e la donna approvavano lo scambio, degli avvocati, o meglio dei ladri di strada, che volevano far qualche soldo sul mantello, pretendevano che entrambi gli oggetti venissero depositati presso di loro e che un giudice il giorno seguente dirimesse la questione. E non esaminavano solo gli oggetti che apparivano essere nella controversia, ma ben di più, perché evidentemente entrambe le parti erano sospettate di furto. Ormai si era deciso per il sequestro, ed ecco che un tizio mai visto fra i rivenditori, calvo, con la fronte ricoperta da bernoccoli, che era solito talvolta anche trattare cause in tribunale, si era gettato sul mantello e proclamava che lo avrebbe presentato in giudizio il giorno dopo. Del resto appariva chiaro che non cercavano altro che – una volta che la veste fosse stata consegnata – spartirsela fra loro furfanti, e che noi non venissimo al dibattito per paura di essere incriminati. Era la stessa cosa che anche noi desideravamo. Così la sorte esaudì il desiderio di entrambe le parti. Infatti il contadino, indignato che noi pretendessimo che venisse presentato in giudizio il suo straccio, gettò la tunica in faccia ad Ascilto e, dato che non avevamo più motivo di lamentarci, ci ordinò di consegnare il mantello, che era l’unico motivo del contendere, e, recuperato - come credevamo - il tesoro, ce ne andammo di filato all’albergo e, chiuse le porte, ci mettemmo a ridere dell’intelligenza dei rivenditori non meno che dei calunniatori, perché con le loro trovate astute ci avevano restituito il denaro.
(Petronio, Satyricon, sat.12-15)