MARCEL PROUST, il tempo ritrovato

 

L'intero giorno, in quella dimora di Tansonville un po' troppo campagna, che aveva appena l'aria d'un luogo di siesta fra una passeggiata e l'altra o durante l'acquazzone: una di quelle dimore dove ogni salotto ha l'aria d'un chiosco tra la verzura e dove, sulla tappezzeria delle camere, le rose dal giardino in una, gli uccelli dagli alberi nell'altra v'hanno raggiunto e vi fan compagnia - isolati nondimeno, giacché erano vecchie tappezzerie dove ogni rosa se ne stava separata quel tanto che avrebbe permesso, se fosse stata viva, di coglierla, ogni uccello di metterlo in gabbia e addomesticarlo, senza nulla delle abbondanti decorazioni delle camere d'oggi dove, su un fondo argenteo, tutti i meli della Normandia son venuti a profilarsi in stile giapponese per allucinare le ore che si trascorrono in letto, - l'intero giorno lo trascorrevo nella mia camera che dava sulle belle verzure del parco e i lilla dell'ingresso, sulle foglie verdi degli alti alberi in riva all'acqua, scintillanti di sole, e sul bosco di Méséglise. E, se un motivo avevo per guardar tutto ciò con piacere, in fondo era soltanto perché potevo dirmi: "E' bello aver tanto verde alla finestra della propria camera", fino al momento in cui nel vasto quadro verdeggiante non riconobbi, questo però dipinto in blu scuro, semplicemente perché piú lontano, il campanile della chiesa di Combray: non già una mia immaginazione di quel campanile, bensí il campanile stesso, che, ponendomi cosí sotto gli occhi la distanza nello spazio e negli anni, era venuto, in mezzo alla luminosa verzura e con tutt'altro tono, cosí scuro da sembrar quasi soltanto disegnato, a iscriversi nel riquadro della finestra. Se poi uscivo un momento di camera, in fondo al corridoio, ch'era orientato differentemente, scorgevo come una fascia di scarlatto la tappezzeria di un salottino, la quale altro non era che una semplice mussolina ma rossa, pronta a incendiarsi se vi batteva un raggio di sole.

 

(Marcel Proust, Il tempo ritrovato)