Platone: Contro l'oligarchia, che è governo dei ricchi ("Repubblica")
«La forma di governo che viene dopo di questa», ripresi, «sarà, credo, l'oligarchia».
«Ma quale costituzione intendi per oligarchia?», domandò.
«Quella basata sul censo», risposi, «nella quale i ricchi comandano e i poveri non partecipano al governo».
«Capisco», disse.
«Quindi bisogna innanzitutto spiegare come avviene il passaggio dalla timarchia all'oligarchia?» «Sì ».
«Eppure», dissi, «questo passaggio è chiaro anche a un cieco».
«In che senso?» «Questa forma di governo», risposi, «è rovinata da quel ripostiglio che ognuno ha pieno d'oro.
Dapprima infatti trovano il modo di fare grosse spese e a tale scopo stravolgono le leggi, alle quali disobbediscono essi
stessi e le loro donne».
«è probabile», disse.
«Poi, credo, rendono il popoì o simile a loro spiandosi e invidiandosi l'un l'altro».
«è probabile».
«Da allora in poi», ripresi, «continuano ad arricchirsi e quanto più apprezzano il denaro, tanto più disprezzano la virtù.
La virtù e la ricchezza non si distinguono forse per il fatto che entrambe stanno come sul piatto di una bilancia e inclinano
sempre in direzioni opposte?» «Sicuro!», rispose.
«Perciò, quando in una città sono onorate la ricchezza e i ricchi, saranno maggiormente disprezzate la virtù e gli
onesti».
«è chiaro».
«E si ha cura di ciò che di volta in volta è apprezzato, mentre si trascura ciò che è disprezzato».
«Proprio così ».
«Di conseguenza questi individui, anziché battaglieri e ambiziosi, alla fine diventano avidi di ricchezze e di guadagno,
lodano e ammirano il ricco e gli conferiscono il potere, mentre disprezzano il povero».
«Certamente».
«E allora promulgano una legge con la quale impongono come limite della costituzione oligarchica una determinata
quantità di ricchezze, maggiore dove l'oligarchia è più forte, minore dove è più debole, interdicendo dalle cariche chi non
possiede un patrimonio che raggiunga il censo prescritto; e realizzano il loro scopo con la forza delle armi o, prima ancora
di giungere a questo, stabiliscono una tale forma di governo con il terrore. Non è così ?» «è proprio così ».
«In poche parole, ecco com'è questa costituzione».
«Sì », disse: «ma qual è il suo carattere? E quali sono i difetti che abbiamo individuato in essa?» «Il primo», risposi, «è
rappresentato dal suo stesso limite. Pensa un po' se si scegliessero i piloti delle navi in base al censo e non si affidasse
questo compito a un povero, anche se fosse più bravo a guidare una nave...» «Questa gente farebbe una brutta
navigazione!», esclamò.
«E non sarebbe lo stesso per qualsiasi altra carica?» «Credo di sì ».
«Eccetto nel governo di una città?», chiesi. «O anche in questo?» «Tanto più in questo, quanto più la carica è gravosa
e importante», rispose.
«Ecco dunque un grave difetto dell'oligarchia».
«Pare di sì ».
«E quest'altro è forse inferiore al precedente?» «Quale?» «Il fatto che questo regime comporti inevitabilmente la
presenza non di una, ma di due città, quella dei ricchi e quella dei poveri, che pur coabitando tentano sempre di colpirsi a
vicenda».
«Per Zeus, non è affatto inferiore», rispose.
«Ma non è neppure bello non poter magari affrontare una guerra perché si è costretti a ricorrere al popoì o armato e a
temerlo più dei nemici, oppure a non farvi ricorso e apparire proprio in battaglia oligarchici nel vero senso della
parola,(15) e nello stesso tempo non voler contribuire alle spese per avarizia».
«No, non è bello».
«E ti sembra corretto ciò che prima abbiamo disapprovato, ossia il fatto che in questa forma dì governo le stesse
persone esercitino contemporaneamente il mestiere di contadino, commerciante e guerriero?» «Niente affatto!».
«Guarda dunque se questo male, che è il più grave di tutti, non colpisce per prima l'oligarchia».
«Quale?» «La facoltà di vendere tutti i propri beni e comprare quelli di un altro, e dopo averli venduti abitare nella
città senza appartenere ad alcuna delle classi sociali in essa presenti - commercianti, artigiani, cavalieri e opliti -, ma solo
con la reputazione di povero e indigente».
«Sì », disse, «è la prima a esserne colpita».
«Una cosa del genere non è certo vietata nei regimi oligarchici: altrimenti non ci sarebbero alcuni cittadini straricchi e
altri completamente poveri».
«Giusto».
«Considera anche questo: quando un individuo simile era ricco e spendeva, era forse più utile alla città per gli scopi di
cui parlavamo poc'anzi? O aveva solo l'apparenza di uno dei governanti, ma in realtà non era né governante né suddito,
bensì un dissipatore dei beni a sua disposizione?» «è così », rispose: «nonostante le apparenze, non era altro che un
dissipatore».
«Vuoi dunque», ripresi, «che definiamo questo individuo un fuco domestico, malanno della città, come in un favo
nasce il fuco, malanno dell'alveare?»(16) «Proprio così , Socrate», rispose.
«Ebbene, Adimanto, la divinità ha creato tutti i fuchi alati senza pungiglione, ma di questi a due zampe alcuni li ha
resi inoffensivi, altri li ha dotati di terribili pungiglioni? E quelli privi di pungiglione da vecchi finiscono per diventare dei
pezzenti, mentre quelli che ne sono provvisti hanno tutti fama di malfattori?» «Verissimo», rispose.
«Pertanto», proseguii, «è chiaro che in una città in cui tu vedi dei pezzenti si nascondono ladri, borseggiatori,
profanatori di templi e delinquenti d'ogni genere».
«è chiaro», disse.
«E nelle città rette a oligarchia non vedi forse dei pezzenti?» «Lo sono quasi tutti», rispose, «tranne i governanti».
«Non dobbiamo allora credere», continuai, «che in queste città ci siano molti malfattori dotati di pungiglione,
sorvegliati e trattenuti a forza dalle autorità?» «Sì , dobbiamo crederlo», rispose.
«E non diremo che costoro vi nascono a causa dell'ignoranza, della cattiva educazione e della costituzione vigente?»
«Sì , lo diremo».
«Tale dunque sarà la città oligarchica, e tanti, o forse ancora più numerosi, saranno i suoi mali».
«Più o meno», ammise.
Platone, "Repubblica", libro VIII, 550 c, e seguenti
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