Platone: Abolizione della proprietà privata e comunismo dei beni ("Repubblica")

«Quindi la causa del massimo bene per la città si è rivelata la comunanza dei figli e delle donne per i sorveglianti». «Certamente». «E così siamo d'accordo anche con le conclusioni a cui siamo giunti in precedenza: da qualche parte infatti abbiamo detto che i guardiani non devono avere né abitazioni, né terra, né altri possedimenti, ma devono ricevere dagli altri cittadini il nutrimento, come compenso per il servizio di guardia, e consumare tutto in comune, se vogliono realmente essere guardiani». «Giusto», disse. «Allora, ripeto, le conclusioni precedenti e quelle attuali rendono i nostri uomini ancor più veri guardiani, e fanno sì che non dilanino la città chiamando "mia" non la stessa cosa, ma chi una cosa chi l'altra, e non trascinino nella propria abitazione, diversa per ognuno di loro, ciò che possono procurarsi indipendentemente dagli altri, comprese mogli e figli diversi, che facendo parte della loro cerchia privata procureranno piaceri e dolori privati? Al contrario le nostre norme li portano a tendere tutti allo stesso scopo, perché il loro concetto di "proprio" è unico, e a provare, per quanto è possibile, gli stessi dolori e gli stessi piaceri?» «Proprio così !», esclamò. «E non si allontaneranno da loro, per così dire, i processi e le accuse reciproche, dato che non possiedono nulla di personale tranne il corpo e tutto il resto è in comune? Di conseguenza non accade loro di essere immuni da tutte quelle discordie che insorgono tra gli uomini a causa del denaro, dei figli e dei parenti?»(9) «è ben necessario che siano liberati da tutto questo», rispose. «Tra loro poi non ci saranno neanche processi legittimi per violenze e ingiurie, poiché proclameremo bello e giusto il principio della difesa reciproca tra coetanei, stabilendo l'incolumità fisica come una necessità inderogabile». «Giusto», disse. «E questa legge», aggiunsi, «è giusta anche per un altro motivo: chi si adirasse con qualcuno, sfogherebbe la sua collera su di lui e avrebbe meno occasioni di passare a contese più gravi». «Senza dubbio». «Il più anziano avrà comunque il compito di comandare e punire tutti i più giovani». «è chiaro». «Ed è anche chiaro che un giovane non cercherà mai di usare violenza a uno più anziano o di percuoterlo, a meno che, naturalmente, non glielo ordinino i governanti. Credo inoltre che non gli mancherà di rispetto in altro modo, perché basteranno a trattenerlo questi due guardiani, il timore e la reverenza: la reverenza, che gli impedisce di alzare le mani su chi potrebbe essere il suo genitore, e il timore che altri vengano in aiuto della persona offesa in qualità di figli o di fratelli o di padri». «Sì , accade questo», disse. «In ogni caso le leggi assicureranno la pace tra gli abitanti?» «Sì , una grande pace». «Non essendoci dunque discordia tra i guardiani, non c'è nessun pericolo che il resto della città sia in conflitto con loro o al proprio interno». «No di certo». «Esito persino a elencare, poiché non è il caso, i mali meno gravi da cui saranno liberati: ad esempio i poveri non aduleranno i ricchi e saranno immuni da tutte le strettezze e le pene che li travagliano quando si tratta di educare i figli e procurarsi i mezzi per l'indispensabile mantenimento dei servi, come prendere denaro a prestito, negare il debito contratto, lasciare in custodia alle donne e ai servi, perché lo amministrino, ciò che hanno guadagnato con ogni mezzo, insomma, caro amico, tutti gli affanni che soffrono per queste ragioni, evidenti, ignobili e non degni di essere menzionati». «Questo è evidente anche per un cieco!», esclamò. «Si libereranno dunque di tutti questi mali, e vivranno una vita più felice di quella, già felicissima, che vivono gli atleti vincitori ad Olimpia». «In che senso?» «Quegli atleti sono ritenuti felici solo per una piccola parte dei beni che toccano ai nostri guardiani, la cui vittoria è più bella e il cui mantenimento a spese dello Stato è più completo. Essi infatti riportano una vittoria che vale la salvezza di tutta quanta la città; per questo motivo vengono ricompensati, assieme ai loro figli, con i mantenimento e ogni altro mezzo necessario per vivere, ricevono doni onorifici dalla loro città finché sono vivi e una volta morti ottengono una degna sepoltura». «Si tratta di onori davvero belli», disse. «Ti ricordi», domandai, «che nella discussione precedente qualcuno, non so più chi,(10) ci ha rimproverato di non rendere felici i guardiani, che pur potendo possedere tutti i beni dei concittadini non hanno nulla? E noi abbiamo risposto che avremmo esaminato questo problema in seguito, se si fosse presentata l'occasione, ma che per il momento rendevamo i guardiani guardiani e la città quanto più possibile felice, ma non plasmavamo questa felicità mirando a una sola delle sue classi?» «Mi ricordo», rispose. «Ebbene, ora la vita degli ausiliari, se davvero ci sembra di gran lunga migliore e preferibile a quella dei vincitori di Olimpia, ti appare forse analoga alla vita dei calzolai o di altri artigiani o dei contadini?» «Non mi sembra», rispose. «Tuttavia è giusto ripetere anche adesso ciò che avevo detto allora: se il guardiano cercherà di diventare felice a tal punto da non essere neppure un guardiano, e non gli basterà una vita così equilibrata, sicura e, come diciamo noi, ottima, ma un'opinione stolta e puerile sulla felicità si insinuerà in lui e lo indurrà ad appropriarsi per quanto può dei beni della città, egli riconoscerà che Esiodo era realmente saggio quando asseriva cne in un certo senso "la metà vale più del tutto"». (11) «Se seguirà il mio consiglio», disse, «persevererà in questo genere di vita». «Tu dunque», continuai, «approvi che le donne abbiano in comune con gli uomini l'educazione, i figli e la sorveglianza degli altri cittadini nella maniera che abbiamo descritto, e sia che restino in città, sia che vadano in guerra, debbano coadiuvarli nella guardia e nella caccia a mo' di cani e partecipare a tutte le attività nei limiti del possibile; e riconosci che, così facendo, agiranno nel modo migliore e non andranno contro la natura del rapporto tra sesso femminile e sesso maschile, secondo il quale sono nati per avere una reciproca comunanza?» «Lo riconosco», rispose. «Ci resta dunque da analizzare», ripresi, «se anche negli uomini, come negli altri esseri viventi, si può venficare questa comunanza, e se sì , come?» «Hai anticipato la supposizione che stavo per fare», disse. «Per quanto riguarda la guerra», incominciai, «credo sia chiaro in che modo combatteranno». «Come?», domandò. «Scenderanno in campo assieme, e condurranno con sé in guerra tutti i figli già maturi, affinché osservino, come i figli degli artigiani, ciò che dovranno fare una volta adulti; oltre a guardare, i ragazzi dovranno prestare servizio di assistenza in tutte le operazioni militari e ed essere aiutanti dei genitori. Non ti sei accorto di quello che succede nelle arti, ad esempio che i figli dei vasai osservano e assistono i padri per molto tempo, prima di porre mano alla fabbricazione dei vasi?» «Certo».

Platone, "Repubblica", libro V

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