Del
celebre economista inglese David Ricardo riportiamo questo brano, tratto
dall’opera Princípi dell’economia politica (1817) in cui sono presenti
la distinzione fra valore d’uso e valore di scambio e il rapporto fra lavoro e
valore, che saranno poi ripresi da Marx.
D. Ricardo, Principi dell’economia politica
È stato osservato da Adam Smith che “la parola valore ha due significati diversi, e talvolta esprime l’utilità di una cosa, talvolta il potere che questa cosa conferisce al suo possessore di comperare altre cose. Il primo può chiamarsi valore d’uso; il secondo valore di scambio. Le cose, egli continua, che abbiano il piú grande valore d’uso, spesso non hanno che poco o nessun valore di scambio; ed all’opposto quelle che abbiano il piú grande valore di scambio, non hanno che poco o nessun valore d’uso”. L’acqua e l’aria sono utilissime; eppure, nelle circostanze ordinarie, non si può ottenere nulla in cambio di esse. Viceversa l’oro, quantunque in paragone all’acqua e all’aria sia poco utile, si permuta con una gran copia di altri beni.
Dunque l’utilità non è la misura del valore di scambio, benché ne formi un elemento essenziale. Se una merce non fosse utile in nessun modo – in altri termini, se non potesse contribuire in nessun modo ai nostri bisogni – essa sarebbe priva di valore di scambio, per scarsa che fosse, o quale che fosse la quantità di lavoro occorrente per procurarsela.
Possedendo dell’utilità, le merci derivano il loro valore di scambio da due fonti: dalla loro scarsità e dalla quantità di lavoro richiesto per ottenerle.
Vi sono alcune merci, il cui valore è determinato soltanto dalla loro scarsità. Nessun lavoro può aumentare la quantità di simili oggetti, e perciò il loro valore non può diminuire in seguito ad un aumento dell’offerta. Alcune statue e pitture rare, vini di qualità speciale, che possono esser fatti soltanto con uve raccolte in un determinato terreno, la cui estensione sia assai limitata, sono tutti di questo tipo. Il loro valore è del tutto indipendente dalla quantità di lavoro originariamente necessario a produrli, e varia col variare delle ricchezze e dei gusti di coloro che sono desiderosi di possederli.
Tuttavia, queste merci formano una piccolissima parte della massa delle merci giornalmente cambiate sul mercato. La massima parte degli oggetti desiderati si procura con il lavoro; e possono moltiplicarsi senza alcun limite – non soltanto in un paese, ma in molti – se noi siamo disposti ad impiegare il lavoro necessario per ottenerli.
Parlando dunque di merci, del valore di scambio e delle leggi che regolano i loro rispettivi prezzi, intendiamo sempre soltanto quelle merci, la cui quantità può essere aumentata con l’esercizio dell’industria umana, e sulla cui produzione la concorrenza opera senza freni.
Nei primi periodi della società il valore di scambio di queste merci, o la regola che determina quanto di una di esse sarà dato in cambio di un’altra, dipende quasi esclusivamente dal confronto fra le quantità di lavoro impiegate per ciascuna di esse.
“Il prezzo reale di ogni cosa, dice Adam Smith, ciò che ogni cosa costa realmente all’uomo che ha bisogno d’acquistarla, è la pena e la fatica di acquistarla. Ciò che ogni cosa vale realmente per l’uomo che l’ha acquistata, e che vuol disporne o cambiarla con un’altra, è la pena e la fatica che essa può risparmiare a lui ed imporre ad altri”.
Il lavoro fu il primo prezzo, la primitiva moneta con cui si pagarono tutte le cose. Ancora, “in quel primitivo e rozzo stato della società che precede e l’accumulazione del capitale e l’appropriazione della terra, la proporzione fra le quantità di lavoro necessario ad acquistare differenti oggetti sembra essere il solo dato su cui si regola lo scambio di uno con un altro. Se per esempio in un popolo di cacciatori uccidere un castoro richiede ordinariamente un lavoro doppio che uccidere un cervo, un castoro si cambierà naturalmente con due cervi, o ne varrà due. È naturale che ciò che è ordinariamente il prodotto del lavoro di due giorni o di due ore valga il doppio di ciò che è ordinariamente il prodotto del lavoro di un giorno o di un’ora”.
Che questo sia realmente il fondamento del valore di scambio di tutte le cose, eccettuate quelle che non possono essere aumentate dall’industria umana, è in economia politica una dottrina di somma importanza; in quanto da nessuna fonte si originano, in questa scienza, tanti errori e tanta differenza d’opinioni, quanto dai significati vaghi che si attribuiscono alla parola valore.
Se la quantità di lavoro incorporato nelle merci determina il loro valore di scambio, ogni accrescimento della quantità di lavoro deve aumentare il valore di quella merce su cui viene esercitato, come ogni diminuzione deve abbassarlo.
F. Tonon, Auguste Comte e il problema
storico-politico nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze,
1975, pagg. 123-124