Il
filosofo tedesco Heinrich Richert (1863-1936) sviluppò il neokantismo in una
“filosofia dei valori” che presupponeva la distinzione fra “scienze della
natura” e “scienze dello spirito”. Per Richert i valori non appartengono al mondo
reale, anche se la loro natura si manifesta nell’atto del giudizio sulla realtà
stessa. In questa lettura egli afferma che una “visone del mondo” che non
comprenda anche i valori, non è abbastanza ampia, né adeguata. I valori sono
“un mondo a sé stante al di là del soggetto e dell’oggetto”.
H. Richert, Vom
Begriff der Philosophie, in “Logos” I, 1910, 1, pagg. 10-11; trad. it. Sul concetto di filosofia, in Filosofia, valori, teoria della
definizione, Milella, Lecce, 1987, pagg. 11-13
Per risolvere il problema della Weltanschauung, ci vengono meno sia l’oggettivismo che il soggettivismo del tipo finora preso in considerazione, e la ragione di ciò è evidente. Il loro concetto del mondo non è abbastanza ampio. Entrambi conoscono soltanto delle realtà, e anche se assumiamo che tale realtà sia la piú immensa delle realtà possibili essa resterà pur sempre soltanto una parte del mondo. Oltre alle realtà esistono dei valori, la cui validità noi vogliamo comprendere. Soltanto questi due mondi insieme formano quello che merita di essere chiamato “mondo” e bisogna stare attenti a non considerare tali valori che noi contrapponiamo alle realtà, essi stessi realtà. Lo capiremo meglio stando attenti ai legami tra valori e realtà, e ricordando che la realtà si compone di oggetti e soggetti.
Vi sono oggetti che, come si suol dire, hanno un valore insito in loro, e che poi vengono chiamati essi stessi valori. Per esempio un’opera d’arte è una siffatta realtà oggettiva. Ma è facile vedere come il valore insito non è identico alla sua realtà.
Tutto ciò che è reale in un quadro, la tela, i colori la vernice, non fa parte dei valori legati a esso. Perciò chiameremo tali realtà-oggettive, legate ai valori “beni”, per distinguerle dai valori insiti in esse. Anche i “valori” economici di cui parla l’economia nazionale, sono, dunque, non dei valori ma dei “beni”, e anche in altri casi non sarà difficile distinguere tra beni e valori.
Il valore è, tuttavia, legato a un soggetto, che valuta degli oggetti, e si potrebbe ora credere che una realtà diventi un bene, un quadro un’opera d’arte, soltanto per il fatto che dei soggetti attribuiscono loro un valore. L’atto di valutazione coincide, dunque, forse, con il valore stesso? A volte si tende a rispondere positivamente a tale domanda oppure si distingue tra valore e valutazione come tra “sentimento”, la gioia e il dolore, e atto della sensazione. Come la gioia esiste soltanto in quanto sentita, cosí esisterebbero i valori soltanto in quanto valutazione di un soggetto. Il valore stesso sarebbe quindi una realtà, piú precisamente un’esistenza psichica, e una scienza dei valori farebbe quindi parte della psicologia.
Questa opinione diffusissima nasconde uno dei pregiudizi piú sconcertanti della filosofia e la confusione tra valore e valutazione si trova anche laddove ci si è resi conto che la psicologia, come scienza dell’esistenza psichica, non sa che farsene della problematica dei valori. Dobbiamo perciò mettere assolutamente in risalto il fatto che bisogna distinguere i valori tanto dall’atto psichico della valutazione da parte di un soggetto, quanto dagli oggetti in cui sono insiti, o dai beni. I valori sono sempre e comunque legati a delle valutazioni, ma sono soltanto legati a esse, e sono perciò non identici alle valutazioni reali. Il valore come valore appartiene a una sfera concettuale totalmente diversa dalla valutazione, e contiene anche un problema completamente diverso. Quando si tratta di un atto di valutazione, si può chiedere se esiste o meno, ma la risposta non ci dice nulla sul valore stesso. Se si tratta del valore come valore, allora la domanda se esiste o meno non ha senso.
Si potrà chiedere soltanto se “vale” oppure no, e questa domanda non è identica a quella sull’esistenza della valutazione. Di ciò ci si può rendere facilmente conto con dei valori teorici, cioè con delle verità scientifiche. La domanda se il valore teorico di un teorema è valido, se, come si suol dire, è vero, non sarà identica alla domanda se tale validità è riconosciuta e se il valore teorico viene effettivamente valutato. Un valore può avere validità senza un atto di valutazione, che prenda posizione nei suoi riguardi. In tal modo sono per esempio valide tutte le verità non ancora scoperte dalla scienza.
Ma anche se non esistessero dei valori validi indipendentemente da ogni valutazione, si dovrebbe comunque distinguere nettamente tra i concetti del valore e della valutazione, cosí come tra i concetti del valore e del bene.
In breve, i beni e le valutazioni non sono dei valori bensí connessioni tra realtà e valori. I valori perciò non si trovano né nel mondo degli oggetti, né in quello dei soggetti; essi formano un mondo a sé stante al di là del soggetto e dell’oggetto. E se, dunque, il mondo è costituito da realtà e valori, allora il contrasto tra questi due mondi è al contempo il contrasto che nasconde il problema del mondo. Tale contrasto è molto piú grande di quello tra oggetto e soggetto. Ora, i soggetti si trovano assieme agli oggetti da un lato, come realtà, formando una parte del mondo. Dobbiamo opporre loro i valori dall’altra parte, e chiederci quale rapporto ci sia tra entrambe le parti, e come possono essere eventualmente unite. Vediamo cosí che da un ampliamento del concetto del mondo nasce un nuovo problema fondamentale per la filosofia. Solo affrontando il rapporto tra valore e realtà si tratterà veramente il problema del mondo, e si potrà sperare di dare una Weltanschauung che sia piú di una semplice spiegazione della realtà.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 254-255