Rousseau
concorda con Montesquieu sulla necessità di una divisione netta fra potere
legislativo e potere esecutivo.
J.-J.
Rousseau, Il contratto sociale, III, 1
Ogni azione
libera ha due cause che concorrono a produrla: una morale, cioè la volontà che
determina l'atto, l'altra fisica, cioè la potenza che lo esegue. Quando mi
dirigo verso un oggetto, occorre in primo luogo che io voglia andarci, in
secondo luogo che i miei piedi mi ci portino. Un paralitico che voglia correre,
o un uomo agile che non voglia, rimarranno entrambi fermi. Anche nel corpo
politico si ritrovano le medesime cause di mobilità: anche in esso si
distinguono la forza e la volontà. Questa viene detta potere legislativo,
quella potere esecutivo. Nulla viene fatto o deve essere fatto senza il
loro concorso.
Abbiamo visto
come il potere legislativo appartenga al popolo e non possa appartenere che ad
esso. Per contro è facile vedere - in base ai princípi sopra stabiliti - che il
potere esecutivo non può appartenere al complesso dei cittadini che formano
l'organo legislativo o sovrano; infatti tale potere consiste soltanto in atti
particolari che non sono di competenza della legge, né pertanto del sovrano, i
cui atti non possono essere che leggi.
Alla forza
pubblica occorre quindi un agente proprio, che la unisca e la metta in opera
secondo le direttive della volontà generale, che serva alla comunicazione fra
lo Stato e il sovrano e che svolga in qualche modo nella persona pubblica il
compito svolto nell'uomo dall'unione dell'anima e del corpo. È questa nello
Stato la ragione d'essere del governo, erroneamente confuso con il sovrano, di
cui non è che il ministro.
Che cos'è
dunque il governo? Esso è un corpo intermedio stabilito fra i sudditi e il
sovrano per la loro mutua comunicazione, incaricato dell'esecuzione delle leggi
e del mantenimento della libertà, sia civile che politica.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XV,
pag. 905)