Rousseau è
convinto che la società e la cultura abbiano snaturato l'uomo, che nasce
fondamentalmente buono. Il compito dell'educazione sarà quindi quello di
salvaguardare il bambino dagli effetti che possono avere su di lui società e
cultura. Il vero maestro non è colui che insegna qualcosa, ma colui che lascia
che il bambino sviluppi liberamente la propria natura.
a) I tre maestri (J.-J. Rousseau, Emilio o dell'educazione, I)
Noi nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forze, nasciamo sprovvisti di
tutto e abbiamo bisogno di assistenza, nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di
giudizio. Tutto ciò che non abbiamo alla nascita e di cui abbiamo bisogno da
grandi, ci è dato dall'educazione.
Questa educazione ci viene dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose.
Lo sviluppo interno delle nostre facoltà e dei nostri organi è l'educazione
della natura; l'uso che ci si insegna a farne è l'educazione degli uomini;
l'acquisto di una nostra propria esperienza sugli oggetti che ci colpiscono è
l'educazione delle cose.
Ciascuno di noi è dunque formato da tre specie di maestri. Il discepolo
in cui le loro diverse lezioni si contraddicono, è male allevato, e non sarà
mai d'accordo con se stesso: colui nel quale esse concorrono pienamente e
tendono agli stessi fini, è il solo che va verso il suo scopo e vive con
coerenza. Ed è il solo ad essere educato bene.
b) Non insegnare oggi quello che puoi insegnare domani (J.-J. Rousseau, Emilio o dell'educazione, II)
Che si deve pensare di questa barbara educazione che sacrifica il
presente a un avvenire incerto, che sovraccarica il fanciullo di catene di ogni
specie e comincia con il renderlo infelice, per preparargli in un lontano
futuro non so che presunta felicità, di cui v'è da temere che non godrà
giammai? Quand'anche ritenessi teoricamente ragionevole il fine ultimo di
questa educazione, come potrei vedere senza sdegno dei poveri sventurati
sottoposti a un giogo insopportabile e condannati ai lavori forzati come
galeotti, senza alcuna certezza che tante pene debbano essere utili un giorno!
L'età della spensieratezza trascorre tra i pianti, i castighi, le minacce, la
schiavitú. Si pretende di tormentare l'infelice per il suo bene e non si vede
come, cosí facendo, si solleciti la morte, che lo coglierà nel bel mezzo di
queste tristi esperienze. Chissà quanti fanciulli periscono vittime della
stravagante saggezza di un padre o di un maestro? Felici di sfuggire alla sua
crudeltà, il solo profitto che traggono dai mali che ha fatto loro patire è di
morire senza rimpiangere la vita, di cui non hanno conosciuto che i tormenti.
[...]
Maestri premurosi, siate semplici, discreti e prudenti, non
affrettatevi mai ad agire se non per impedire che altri agisca; non mi
stancherò mai di ripeterlo: rimandate a piú tardi, se possibile, una buona
istruzione, per paura di impartirne adesso una cattiva. Su questa Terra, di cui
la natura avrebbe fatto il primo paradiso dell'uomo, tremate all'idea di far la
parte del tentatore con il voler dare alla fanciullezza innocente la conoscenza
del bene e del male. [...]
c) Il mondo è un globo di cartone (J.-J. Rousseau, Emilio o dell'educazione, II)
Qualunque studio si faccia, senza l'idea delle cose rappresentate, i
segni rappresentativi non sono nulla. Tuttavia si limita sempre il fanciullo a
questi segni, senza mai potergli far comprendere niente di ciò che essi
rappresentano. Pensando di insegnargli la descrizione della Terra, non gli si
insegna a conoscere che delle carte; gli si insegnano nomi di città, di paesi,
di fiumi, che egli non concepisce esistenti in altro luogo che sulla carta dove
gli son mostrati. Mi ricordo di aver visto da qualche parte un testo di
geografia che cominciava cosí: Cos'è il mondo? È un globo di cartone.
Tale è precisamente la geografia dei bambini. Scommetto che dopo due anni di
sfera e di cosmografia non c'è un solo bambino di dieci anni che, in base alle
regole che gli sono insegnate, sappia portarsi da Parigi a Saint-Denis.
Scommetto che non ve n'è uno che sopra una pianta del giardino di suo padre sia
in grado di seguirne le svolte senza smarrirsi.
(J.-J. Rousseau, Emilio o dell'educazione, Mondadori, Milano,
1997, pagg. 9; 72; 99; 121)