L'unico modo per formare
correttamente la volontà generale è quello della partecipazione all'attività
legislativa di tutti i cittadini, come accadeva nella p-lis greca: l'idea che un
popolo si dia rappresentanti che poi legiferano in suo nome è la negazione
stessa della libertà.
J.-J. Rousseau, Il contratto
sociale III, 15
La sovranità non può essere
rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa
consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si
rappresenta: o è essa stessa o è diversa, non c'é una via di mezzo. I deputati
del popolo non sono dunque, né possono essere, i suoi rappresentanti, ma
soltanto i suoi commissari: non possono concludere nulla in maniera definitiva.
Ogni legge che il popolo in persona non abbia ratificata è nulla, non è una
legge. Il popolo inglese ritiene di esser libero: si sbaglia di molto; lo è
soltanto durante l'elezione dei membri del parlamento. Appena questi sono
eletti, esso è schiavo, non è nulla. Nei brevi momenti della sua libertà, l'uso
che ne fa giustifica davvero che esso la perda.
L'idea dei rappresentanti è
moderna; essa ci viene dal governo feudale, da quell'iniquo e assurdo governo
nel quale la specie umana si è degradata e in cui il nome di uomo era in
disonore. Nelle antiche repubbliche e persino nelle monarchie, il popolo non
ebbe mai rappresentanti: la parola stessa era ignorata...
Presso i Greci tutto ciò che il
popolo doveva fare lo faceva direttamente: sedeva continuamente in pubblica
assemblea nella piazza. Ma quel popolo viveva in un clima mite, non era avido,
i suoi lavori erano fatti dagli schiavi, la grande questione che lo occupava
era la libertà. Non avendo piú gli stessi vantaggi, come conservare gli stessi
diritti? I vostri climi piú aspri creano piú numerosi bisogni, per sei mesi
all'anno non è possibile tener sessione nella pubblica piazza, i vostri
linguaggi sordi non possono venire intesi all'aria aperta, voi vi preoccupate
piú del vostro guadagno che della vostra libertà e temete assai meno la
schiavitú che la miseria.
E che! la libertà non si conserva
se non con l'aiuto della schiavitú? Forse è cosí, i due estremi si toccano.
Tutto ciò che non è naturale ha i suoi inconvenienti e la società civile piú di
ogni altra cosa. Vi sono talune posizioni sfortunate in cui non si può
conservare la propria libertà se non a spese di quella altrui, e in cui il
cittadino non può esser perfettamente libero se lo schiavo non è ridotto alla
piú estrema schiavitú. Tale era la posizione di Sparta. Quanto a voi, popoli
moderni, non avete schiavi, ma lo siete voi stessi: pagate con la vostra
libertà quella degli schiavi. Avete un bel vantare questa diversità di
situazione: io trovo in essa piú viltà che umanità.
Non intendo dire con questo che
occorra avere degli schiavi né che il diritto di schiavitú sia legittimo, ché
anzi ho dimostrato il contrario. Espongo soltanto i motivi per cui i popoli
moderni, che si credono liberi, hanno dei rappresentanti mentre i popoli antichi
non ne avevano. Comunque sia, non appena un popolo si dà dei rappresentanti,
esso non è piú libero, non esiste piú.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XV, pagg. 908-909)