Russell, Sulle antinomie

Russell riduce le antinomie a tre tipi, quelle di contenuto matematico, quelle che si pongono all’interno della logica e quelle che si pongono nel campo della linguistica e che hanno un qualche contenuto empirico.

 

B. Russell, I principi della matematica

 

A prima vista, le antinomie mi paiono essere di tre sorta: quelle matematiche, quelle logiche e quelle di cui si può sospettare che provengano da qualche tranello linguistico piú o meno banale. Tra le antinomie definitivamente matematiche possono essere considerate come tipiche quelle che riguardano il massimo numero ordinale e il massimo numero cardinale.

La prima, scoperta dal Burali Forti, afferma: si sistemino tutti i numeri ordinali in ordine di grandezza; allora l’ultimo di essi, che chiameremo N, sarà il massimo numero ordinale. Sennonché il numero di tutti gli ordinali da 0 fino a N vale N + 1, che è maggiore di N. Né possiamo evitare la contraddizione facendo notare che la serie dei numeri ordinali non ha un ultimo termine; perché anche in questo caso tale serie dovrebbe avere un numero ordinale maggiore di qualunque termine della serie, cioè maggiore di qualunque numero ordinale.

La seconda antinomia, quella concernente il numero cardinale massimo, ha il merito di rendere particolarmente evidente la necessità di una teoria dei tipi. Sappiamo dall’aritmetica elementare che il numero di combinazioni di n oggetti a un numero qualunque per volta è di 2n , cioè che una classe di n termini ha 2n sotto-classi. Possiamo provare che questa proposizione resta vera quando n è infinito. E il Cantor provò che 2n è sempre maggiore di n. Perciò non vi può essere nessun numero cardinale massimo. Eppure si sarebbe detto che la classe contenente ogni cosa avrebbe dovuto avere il maggior numero possibile di termini. Tuttavia, dato, che il numero della classi di cose eccede il numero delle cose, è chiaro che le classi di cose non sono cose.

Delle antinomie ovviamente logiche, una è discussa nel decimo capitolo; l’antinomia piú famosa del gruppo linguistico, quella del mentitore, fu inventata dai greci. Essa è la seguente: supponiamo che un uomo dica: “Io mento”. Se egli mente, il suo enunciato è vero, e perciò egli non mente; se egli non mente, allora, quando egli dice che mente, egli mente. Sia l’una che l’altra ipotesi implicano pertanto le proprie contraddittorie.

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1978, vol. XXXI, pagg. 409-410