Ryle, Sulla distinzione fra mente e corpo

In questa prima lettura Ryle osserva che la distinzione fra la mente e il corpo, di cui il piú autorevole esponente è stato Descartes, viene accettata quasi da tutti.

 

G. Ryle, The concept of mind, London, 1949; trad. it. Lo spirito come comportamento, a cura di F. Rossi-Landi, Einaudi, Torino, 1955, pagg. 7-9

 

C'è sulla natura e il luogo delle menti o spiriti una dottrina tanto comune fra teorici e anche fra profani, che possiamo chiamarla officiale. Molti filosofi, psicologi e religiosi accettano, con qualche minore riserva, i suoi articoli principali; le riconoscono certe difficoltà, ma tendono a considerarle superabili senza lederne l'architettura. Noi qui sosterremo che sono gli stessi principi centrali a non reggere, e a venire anzi in conflitto con tutto ciò che sappiamo delle menti quando non speculiamo su di esse.

Secondo la dottrina officiale, che dobbiamo soprattutto a Descartes, ogni essere umano, con l’eccezione forse degli idioti e dei lattanti, ha – alcuni preferiscono dire è – sia un corpo che una mente. I due pezzi, comunemente, sono incollati; ma può darsi che dopo la morte del corpo la mente continui a funzionare.

I corpi umani stanno nello spazio, e come tali sono soggetti alle leggi meccaniche che governano ogni corpo. Osservatori esterni possono controllarne processi e stati. Cosí la vita corporale dell'uomo è affar pubblico come quella degli animali o come il comportamento di alberi cristalli e pianeti.

Le menti invece, non stanno nello spazio, sicché la loro operazione non è soggetta alle leggi meccaniche. Di quello che si svolge in una mente le altre nulla possono dire, si tratta di roba privata. Io solo posso pormi in contatto con gli stati e i processi della mia mente. Ognuno vive dunque due storie parallele: la pubblica del suo corpo e la privata della sua mente; la prima fatta di eventi del mondo fisico, la seconda del mentale.

Si è discusso se la censura che ognuno esercita su se stesso riguardi tutti gli episodi della sua storia privata o solo una loro parte; secondo ha dottrina officiale, resta il fatto che di almeno alcuni fra essi si avrebbe conoscenza diretta e indiscutibile. Coscienza, autocoscienza e introspezione danno sugli stati e le operazioni della mente informazioni autentiche e di prima mano. Si può essere piú o meno incerti di ciò che va accadendo intorno a noi nel mondo fisico, ma non già di una parte almeno del contenuto presente della nostra mente.

La biforcazione in due vite e due mondi è di solito espressa col dire che cose ed eventi del mondo fisico, compreso il corpo, sono esterni mentre le opere della mente sono interne. Naturalmente l'antitesi si presenta come metafora consapevole; se le menti non stanno nello spazio, non se ne può parlare come di cose spazialmente interne a qualcos’altro, o come accoglienti cose che si muovono nel loro interno. Ma spesso tale consapevolezza è dimenticata; e sorprendiamo cosí i teorici a speculare come mai certi stimoli, la cui sorgente fisica sta metri o chilometri fuori della pelle di una persona, generino risposte mentali nel suo cranio, o come una decisione presa cosí metta in moto le estremità di quella persona.

Il problema dell'influsso reciproco di mente e corpo è notoriamente arduo anche quando “interno” ed “esterno” sono costruiti come metafore. La mente vuole e il braccio esegue; l'occhio vede e la mente percepisce; una smorfia ci indica uno stato d'animo e si spera che uno sculaccione promuova moralità: d'accordo. Ma i rapporti fra gli episodi delle due storie, definitoriamente esclusi da entrambe, restano misteriosi. Non sono descrivibili fra gli avvenimenti di un'autobiografia interiore né fra quelli di una biografia scritta da altri in base a ciò che una persona ha fatto. Sfuggono sia all'introspezione che all'esperimento da laboratorio, ondeggiano in una specie di altalena intellettuale fra il fisiologo e lo psicologo, ognuno dei quali crede ogni volta di essersene sbarazzato.

Sotto a questa presentazione parzialmente metaforica della dicotomia sembra esserci un'assunzione piú profonda, e cioè che vi siano proprio due diversi tipi di esistenza o status, l'uno fisico e l'altro mentale, cosí come una moneta è testa o croce, un animale maschio o femmina. Una barriera dividerebbe ciò che sta necessariamente e nello spazio e nel tempo da ciò che sta nel tempo soltanto: ciò che è materia o funzione della materia da ciò che è coscienza o funzione della coscienza. Gli oggetti materiali, si sente dire, son posti in un campo comune, detto “spazio”, e c'è una connessione meccanica fra quanto avviene a diversi corpi in diversi settori dello spazio. L'accadere mentale riguarda invece campi isolati detti “menti”, e a parte forse la telepatia non si dà connessione causale diretta fra ciò che accade nei vari campi. Una mente può farsi sentire a un'altra solo attraverso il medium pubblico del mondo fisico. La mente è luogo a se stessa, e ognuno ci vive come uno spettrale Robinson Crusoe. Possiamo vederci, udirci, scuoterci nei nostri corpi; ma siamo senza rimedio ciechi e sordi a quanto avviene nelle menti altrui, e non possiamo operare su di esse.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 175-176