La prima e più importante conseguenza derivante dai principi qui sopra stabiliti è che la volontà generale può dirigere le forze dello stato solo secondo i fini che le sono propri e che si identificano col bene comune: infatti se l'urto degli interessi particolari ha reso necessario il formarsi delle società è l'accordo di questi stessi interessi che lo ha reso possibile. Il vincolo sociale è formato da ciò che vi è di comune in questi doverosi interessi e se non vi fosse qualche punto in cui gli interessi concordano, non sarebbe possibile l'esistenza di nessuna società. Orbene, è unicamente in base a questo interesse comune che la società deve essere governata.
Io dico dunque che la sovranità, altro non essendo che l'esercizio della volontà generale, non può mai essere alienata e che il corpo sovrano, il quale è solo un corpo collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso: il potere si può trasmettere ma non di certo la volontà.
Infatti, se non è impossibile che una volontà particolare si accordi, su qualche punto, con la volontà generale, è per lo meno impossibile che questo accordo sia durevole e costante, perché la volontà particolare tende di sua natura alle preferenze e la volontà generale all'uguaglianza. È ancora più impossibile che vi sia un garante di tale accordo e, per quanto esso dovrebbe sempre esistere, sarebbe più un risultato ottenuto per caso che ad arte. Il corpo sovrano può senza dubbio dire: "Io voglio attualmente ciò che vuole quel tale uomo o, quanto meno, ciò che dice di volere", ma non può dire: "Ciò che quell'uomo vorrà domani, io pure lo vorrò ancora", perché è assurdo che la volontà si dia delle catene per l'avvenire e perché non dipende da alcuna volontà il consentire a nulla che sia in contrasto col bene dell'essere che vuole. Se dunque il popolo promette semplicemente di obbedire, egli si dissolve per questo stesso atto, perdendo la sua qualità di popolo: dal momento che egli ha un padrone non vi è più corpo sovrano ed allora il corpo politico è distrutto.
Questo non vuol dire che gli ordini dei capi non possano figurare per volontà generale, finché il corpo sovrano, libero di opporsi, non lo fa: in simili casi, in base al silenzio universale si deve presumere il consenso del popolo. Ma ciò sarà spiegato più lungamente.
(J. J. Rousseau, Contratto sociale)