Per gli stessi motivi per cui la sovranità è inalienabile, essa è anche indivisibile, infatti o la volontà è generale o non esiste: essa è quella del corpo del popolo o solamente una parte. Nel primo caso questa volontà dichiarata è un vero e proprio atto di sovranità e fa legge, nel secondo è soltanto una volontà particolare o un atto della magistratura; tutt'al più può essere un decreto.
Ma i nostri autori politici, non potendo dividere la sovranità nel suo principio, la dividono nel suo oggetto; la dividono in forza e in volontà, in potere legislativo e in potere esecutivo, in diritti di imposta, di giustizia e di guerra, in amministrazione interna e in potere di trattare con lo straniero: talvolta confondono tutte queste parti, talvolta le separano; come se componessero l'uomo di parecchi corpi, di cui l'uno abbia gli occhi, l'altro le braccia, l'altro i piedi e niente altro. Si dice che i ciarlatani del Giappone tagliano a pezzi un fanciullo sotto gli occhi degli spettatori, poi, gettando in aria tutte le sue membra, una dopo l'altra, lo fanno ricadere vivo e tutto intero. Tali sono all'incirca i giochi di bussolotti dei nostri politici: dopo aver smembrato il corpo sociale con un gioco di prestigio da fiera ne riuniscono i pezzi non si sa come.
Questo errore deriva dal non essersi fatta una chiara idea circa la sovranità e per avere preso per parti di questa autorità quelle che ne erano solo emanazioni: così, per esempio, sono visti come atti di sovranità quello di dichiarare la guerra e quello di fare la pace, il che non corrisponde alla realtà delle cose, poiché ciascuno di questi atti non è una legge, ma soltanto un'applicazione della legge, un atto particolare che determina un caso previsto dalla legge, come si vedrà chiaramente quando sarà determinato il concetto connesso al termine legge.
Osservando ugualmente le altre divisioni, si constaterebbe che tutte le volte in cui si crede di vedere divisa la sovranità, ci si inganna; si constaterebbe che i diritti che si prendono per parti della sovranità sono in realtà subordinati a questa e presuppongono sempre delle supreme volontà, di cui questi diritti non fanno che procedere all'esecuzione. (...)
(J. J. Rousseau, Contratto sociale)