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Secondo - Capitolo III - La volontà generale può
sbagliare?
Da quanto si è detto qui sopra deriva che la volontà generale è sempre retta e tende sempre all'utilità pubblica, ma non ne consegue che le deliberazioni del popolo siano sempre fornite della stessa rettitudine. Si vuole sempre il proprio bene, ma non sempre, lo si vede; non è mai possibile corrompere un popolo, ma spesso lo si inganna, ed è soltanto allora che sembra che egli voglia il male.
Vi è di sovente molta differenza tra la volontà di tutti e la volontà generale: questa riguarda solo l'interesse comune, l'altra l'interesse privato e non è che una somma di particolari volontà; ma se si toglie da queste volontà stesse quelle che con le loro richieste in più o in meno si eliminano tra loro, resterà come risultato della somma delle differenze la volontà generale.
Se, quando il popolo sufficientemente informato delibera, non vi fosse alcuna comunicazione tra i cittadini, dal gran numero delle piccole differenze balzerebbe sempre fuori la volontà generale e la deliberazione sarebbe sempre buona. Ma quando si creano delle fazioni, delle associazioni particolari a spese del tutto, la volontà di ciascuna di queste associazioni diventa generale in rapporto ai suoi membri e particolare in rapporto allo stato: si può dire allora che non vi sono più tante volontà quanti sono gli uomini, ma soltanto quante sono le associazioni; le differenze diventano meno numerose e danno quindi un risultato meno generale. Infine, quando una di queste associazioni è così grande da prevalere su tutte le altre, non avrete più per risultato una somma di piccole differenze, ma una differenza unica: allora non vi è più volontà generale ed il parere che predomina soltanto un parere particolare.
È dunque necessario, perché si abbia chiaramente l'espressione della volontà generale, che non vi siano società particolari nello stato e che ogni cittadino non ragioni che con la sua testa. (...)
(J. J. Rousseau, Contratto sociale)