ROUSSEAU, LA LEGGE (CONTRATTO SOCIALE)
Libro
Secondo - Capitolo VI - La legge
In base al patto sociale noi
abbiamo dato esistenza e vita al corpo politico; bisogna ora dargli movimento e
volontà con la legislazione, poiché l'atto originario con cui questo corpo si
forma e si unisce non stabilisce ancora nulla di ciò che deve fare per
conservarsi. (...)
Ho già detto che non vi può
essere volontà generale sopra un oggetto particolare. Nella realtà tale oggetto
particolare o è nello Stato o è fuori dallo Stato: se è fuori, una volontà che
gli è estranea non è affatto generale riguardo a esso, se è nello Stato ne fa
parte; allora si forma tra il tutto e la sua parte un rapporto che ne fa due
esseri separati, di cui uno è la parte e l'altro è il tutto meno quella stessa
parte. Ma il tutto meno una parte non è più il tutto e finché permane questa
situazione di rapporto non vi è più un tutto, ma due parti disuguali: da ciò
consegue che la volontà di una parte non è assolutamente generale rispetto
all'altra.
Ma quando tutto il popolo
decide su tutto il popolo, non considera allora che se stesso, e se si forma un
rapporto, questo si stabilisce tra l'oggetto intero osservato da un punto di
vista con l'oggetto intero osservato da un altro punto di vista, senza alcuna
divisione del tutto. In questo caso la materia su cui si decide è generale, come
la volontà stessa che decide. E' questo l'atto che io chiamo legge.
Quando dico che l'oggetto
delle leggi è sempre generale, intendo dire che la legge considera i sudditi
come un corpo solo e le azioni come astratte, mai un uomo in quanto un
individuo, né una particolare azione in se stessa. In tal modo la legge può
certamente stabilire che vi saranno dei privilegi, ma non ne può conferire a una
determinata persona, la legge può fissare parecchie classi di cittadini
stabilire anche i requisiti che permetteranno l'accesso a queste classi, ma non
può indicare determinati individui perché vi siano ammessi: può stabilire un
governo regio e il principio della successione ereditaria, ma non può eleggere
un re, né nominare una famiglia reale: in una parola ogni funzione che abbia
riferimento a un oggetto particolare non appartiene al potere legislativo.
Date queste premesse, si vede
subito che non è più necessario chiedere a chi spetti fare le leggi dato che
esse sono atti della volontà generale come non è più necessario chiedere se il
principe sia superiore alle leggi, poiché anch'egli è un membro dello stato, o
se la legge possa essere ingiusta poiché nessuno è ingiusto verso se stesso, o
come mai si possa essere liberi e contemporaneamente sottomessi alle leggi,
poiché le leggi non sono che il concretarsi delle nostre volontà.
Si vede anche come, dovendo la
legge riassumere in sé l'universalità della volontà e quella dell'oggetto, non
possa essere legge ciò che un uomo, chiunque esso sia, comanda di testa propria:
ciò che anche il corpo sovrano dispone su di un punto particolare, non è una
legge, ma un decreto, non un atto del potere sovrano, ma della magistratura. Io
chiamo dunque repubblica qualunque stato retto dalle leggi, sotto qualunque
forma di amministrazione possa presentarsi, poiché solo in questo caso
l'interesse pubblico governa e la cosa pubblica ha un suo peso ogni governo
legittimo repubblicano. (...)
(J. J.
Rousseau, Contratto sociale)