ROUSSEAU, IL GOVERNO IN GENERALE (CONTRATTO SOCIALE)


Libro Terzo - Capitolo I - Il governo in generale


(...) Io chiamo dunque governo o suprema amministrazione l'esercizio legittimo del potere esecutivo e chiamo principe o magistrato l'uomo o il corpo incaricato di questa amministrazione.


È nel governo che si trovano quelle forze intermedie, i cui rapporti compongono quello del tutto col tutto o del corpo sovrano con lo stato. Si può rappresentare quest'ultimo rapporto come quello degli estremi di una proporzione continua, la cui media proporzionale è il governo. Il governo riceve dal corpo sovrano gli ordini che dà al popolo e, affinché lo stato sia in buon equilibrio, bisogna, fatte tutte le necessarie compensazioni, che vi sia uguaglianza tra il prodotto o potere del governo preso in se stesso e il prodotto o potere dei cittadini, che sono sovrani da una parte, ma sudditi dall'altra.


Inoltre, non si saprebbe alterare uno dei tre termini, senza distruggere subito la proporzione. Se il corpo sovrano vuol governare o se il magistrato vuol dare leggi o se i sudditi rifiutano l'obbedienza, il disordine subentra all'ordine, la forza e la volontà non agiscono più d'accordo e lo stato, ormai dissolto, cade così nel dispotismo o nell'anarchia. In conclusione, come non esiste che una media proporzionale in ciascun rapporto, così non vi è che un buon governo possibile in uno stato; ma poiché mille avvenimenti possono cambiare i rapporti di un popolo, non solo diversi governi possono essere buoni per diversi popoli, ma anche al medesimo popolo in differenti tempi. (... ) Il governo è in piccolo ciò che in grande è il corpo politico che lo racchiude. E una persona morale dotata di certe facoltà, attiva come il corpo sovrano, passiva come lo stato e che può essere scomposta in altri simili rapporti; da ciò sorge, di conseguenza, una nuova proporzione e un'altra ancora in questa, secondo l'ordine delle magistrature finché si arrivi ad un termine medio indivisibile, cioè a un solo capo o magistrato supremo, che può essere rappresentato, in mezzo a questa progressione, come l'unità tra la serie delle frazioni e quella dei numeri interi.


Senza preoccuparci di questa moltiplicazione dei termini, accontentiamoci di considerare il governo come un nuovo corpo nello stato, distinto dal popolo e dal corpo sovrano, intermediario tra l'uno e l'altro.


Vi è questa differenza essenziale tra i due corpi e cioè che lo stato esiste per se stesso, mentre il governo non esiste che per il corpo sovrano. Così la volontà dominante del principe non è o non deve essere che la forza pubblica concentrata in lui: non appena vuol ricavare da se stesso qualche atto assoluto e indipendente, il vincolo del tutto comincia a indebolirsi. Se capitasse poi che il principe avesse una sua volontà particolare più attiva di quella del corpo sovrano, e che egli usasse, per ottenere obbedienza a questa volontà particolare, la forza pubblica che è nelle sue mani, di modo che vi sarebbero due corpi sovrani, l'uno di diritto e l'altro di fatto, immediatamente l'unione sociale svanirebbe e il corpo politico sarebbe dissolto.


Tuttavia perché il corpo del governo abbia una esistenza, una vita reale che lo distingua dal corpo dello Stato, perché tutti i suoi membri possano agire d'accordo e rispondere allo scopo per il quale è stato istituito, bisogna che abbia un io particolare, una sensibilità comune a tutti i suoi membri, una forza, una volontà propria tese alla sua conservazione. Questa esistenza particolare presuppone delle assemblee, dei consigli, un potere deliberante e decidente, dei diritti dei titoli, dei privilegi che appartengano esclusivamente al principe e tali da rendere la condizione del magistrato tanto più onorevole quanto più faticosa. Le difficoltà si trovano nel modo di sistemare, nel tutto, questo tutto subalterno, di modo che non alteri la costituzione generale affermando la propria, di modo da distinguere e sempre la sua forza particolare, destinata alla propria conservazione, dalla forza pubblica, destinata alla conservazione dello Stato; e che, in una parola, sia sempre disposto a sacrificare il governo al popolo e non il popolo al governo.


D'altra parte per quanto il corpo artificiale del governo sia opera di un altro corpo artificiale e non abbia, in certo qual modo, che una vita presa a prestito e subordinata, tuttavia questo non impedisce che egli possa agire con vigore o celerità maggiori o minori, che possa, per così dire, godere di una salute più o meno robusta. Infine, senza scostarsi completamente dallo scopo della sua istituzione, può allontanarsene più o meno secondo il modo in cui stato costituito.


È attraverso tutte queste differenze che nascono i diversi rapporti che il governo deve avere col corpo dello Stato, in base a quei rapporti accidentali e particolari dai quali lo stato stesso viene modificato. Spesso infatti quello che di per sé è il miglior governo può diventare il più vizioso, se i suoi rapporti si sono variati secondo i difetti del corpo politico al quale appartiene.

(J. J. Rousseau, Contratto sociale)