Santucci, Hume, il castello e la capitale

Antonio Santucci, professore di storia della filosofia all'Università di Bologna, mette in evidenza come al desiderio dichiarato di cercare i fondamenti certi per la conoscenza dell'uomo Hume faccia seguire un processo di ricerca nel quale hanno una costante presenza il dubbio e la complessità. Anche in campo morale è impossibile dare una soluzione univoca alle questioni di fatto: nessun momento della vita dell'uomo può essere controllato esclusivamente dalle passioni o dalla ragione; la vita non prevede contrapposizioni assoluti, ma un concorso collaborativo - anche se conflittuale - delle diverse facoltà dell'uomo.

 

A. Santucci, Sistema e ricerca in David Hume

 

O ci si accontentava di un “castello o di un villaggio di frontiera” oppure si abbandonavano i metodi seguiti allora e si puntava diritto alla capitale, ossia alla natura umana.

L'alternativa era radicale per il ventenne scozzese e non valeva rimandarla. Cosí il disegno sistematico trascurava i riferimenti, li accoglieva senza citarli e distinguerli. I classici avevano lasciato sentenze memorabili, ma si trattava di materiale ipotetico per un seguace di Newton. Per questo occorreva riferirsi ai “recenti filosofi inglesi” che avevano portato la scienza dell'uomo su un nuovo terreno. L'esperienza e l'osservazione ne erano diventate la base, ciò che consentiva di liquidare le stravaganze metafisiche e le querelles dell'età cartesiana a proposito dei rapporti tra l'anima e il corpo. Tutto qui o bisognava elevare gli esperimenti al massimo grado di generalità e rendere universali i princípi della scienza? Nelle pagine dei moralisti si versavano, in ogni caso, le controversie lasciate in eredità dal secolo precedente. Esse erano dominate dalle lezione di Hobbes e dal suo tentativo di renderle autonome dalla teologia rivelata. L'impulso o desiderio dell'uomo, aveva detto l'autore del Leviatano, si dirige verso la conservazione della vita e il conseguimento di ciò che egli sente come piacere: questo egoismo che pure è ragionevole, ossia naturale, conduce nondimeno all'anarchia e bisogna contrapporvi un diverso principio per cui il bene e il male siano determinati dalla volontà di un sovrano: tale appariva la coerente soluzione di un antropologo pessimista. Dopo di ciò si capisce, però, come il moto di reazione si complicasse enormemente, a seconda che la disputa toccasse il merito morale dell'egoismo o quello teologico o quello politico e il consenso eventuale in uno di essi si scontrasse con il dissenso in un altro.

Se ne rinvigoriva la religione naturale, impegnata a combattere il fanatismo delle Chiese e le certezze della tradizione. Ma anche qui il nucleo platonico d'origine non bastava a tenere insieme le tendenze deistiche che si scoprivano, volta a volta, vicino all'ortodossia o al panteismo alle dottrine ateistiche dei “liberi pensatori”. [...]

Hume nella seconda Enquiry [nella seconda edizione della Ricerca sull'intelletto umano] parlerà dell'astratta dottrina etica nata con Malebranche [...] e ricca di seguaci in una età filosofica che escludeva il sentimento e pretendeva di fondare tutto sulla ragione. [...] Ora non c'è dubbio che dal sospetto suscitato da una tale dottrina morale, e dalla questione se davvero si possa dare all'etica un fondamento razionale, Hume fosse spinto ad avvicinare il lavoro dei moralisti sperimentali [...].

Hume accenerà a una natura che ci spinge a giudicare, come a “sentire e a respirare”, a una ragione schiava delle passioni. [...] Rimproverato per una certa freddezza nello studio della morale, lo scozzese obiettava: “Esistono diversi modi di considerare lo spirito e il corpo. Li si può esaminare da anatomista o da pittore, se ne possono scoprire le origini e i princípi piú segreti oppure la grazia e la bellezza degli effetti. Penso che sia impossibile mettere d'accordo queste due prospettive. Un anatomista è tuttavia in grado di dare un buon consiglio al pittore o allo scultore [...]”.

 

(A. Santucci, Sistema e ricerca in David Hume, Laterza, Bari, 1969, pagg. 14-16, 22)